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Il Dominio di Meandro, finalmente

Menare le mani non serve

Quello che mi dispiaceva di Zork era il fatto che consistesse, alla fine, in una storia dove c'era più che altro da ammassare tesori, menando le mani, e da perdere vite, subendo offese cruente. Non mancava affatto l'ironia, una risorsa molto preziosa, ma non si può negare che il nocciolo dell'avventura nell'ipotetico Grande Impero Sotterraneo fosse proprio quello.

Io sviluppai invece l'ambizione di scrivere qualcosa che potesse sembrare simile ad un'opera letteraria bislacca ma raffinata, piuttosto che a un esercizio di macelleria virtuale. Cercai di imparare la lezione dell'ironia, però misi da parte asce, spade e temibili creature, sostituendovi oggetti di uso quotidiano, perfino vile, e personaggi squinternati o grotteschi. Morire si poteva morire, ma quasi per caso, e serenamente. Questo era l'incipit del gioco.

Ci vuole soprattutto il dialogo

Il vero problema era rendere il dialogo con la macchina ricco, fluente e rapido. Io credo di aver emulato solo in piccola parte il lavoro fatto dai programmatori di Zork per risolvere questo problema. Tutto sta nel realizzare un parser di qualità.

Un parser (detto esplicitamente in italiano: analizzatore lessico-morfo-sintattico) è un programma in grado di comprendere il significato di una sequenza finita di parole per poi passare il compito a un altro programma che agisca in conformità al significato compreso. Era necessario offrire al giocatore la sensazione di parlare quasi in linguaggio naturale, ovvero il linguaggio che apprendiamo con facilità fin dalla nascita. In effetti, tutti noi abbiamo in testa un meraviglioso parser del linguaggio naturale, ovvero la nostra nativa capacità di comprendonio verbale; ottenerne però una versione a disposizione di una macchina non è affatto un'impresa da poco.

La difficoltà più grossa era legata alla velocità. In teoria ero riuscito a far comprendere al mio Commodore 64 frasi come “posa la scopa e prendi la lanterna”, ma occorreva troppo tempo affinché la cosa fosse di utilità pratica. Qualcuno ha scritto che il computer è uno stupido veloce; ebbene, probabilmente costui non ha mai provato a scrivere un parser: il mio Commodore 64 era abbastanza intelligente, ma lento come un bradipo sonnambulo.

Mi salvò il linguaggio macchina. Mettendo le mani nude dentro la macchina ‒ e mai metafora fu più azzeccata ‒ riuscii con sofferenza e voluttà (c'è chi sostiene che la programmazione sia meglio del sesso, compresa la variante masochistica) a insegnare al programma circa quattrocento parole, e a fargli capire un po' di morfologia e di sintassi.

A quel punto il resto mi parve quasi il discesa: si trattava semplicemente di ideare un mondo e di descriverlo a parole.

I libri: una risorsa insostituibile

Uno dei luoghi più ricchi del Dominio era la Biblioteca di morale combinatoria: una raccolta ordinata di 10.000 volumi, tutti consultabili.

In quel periodo ero molto infatuato dagli esperimenti verbali dell'OuLiPo (acronimo di Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero officina di letteratura potenziale), un gruppo costituito nel 1960 da scrittori e scienziati come Raymond Queneau, François Le Lionnais, Georges Perec, Italo Calvino, Jacques Roubaud e altri. Il gruppo si dedicava (e si dedica) sistematicamente alla ricerca letteraria alimentata da un substrato matematico: il romanzo di Italo Calvino Il castello dei destini incrociati (1973), per esempio, ne fu indubbiamente influenzato.

Anch'io, nel mio piccolo, volli associare la fantasia alle potenzialità dell'elaboratore. Il visitatore del Dominio poteva consultare ciascuno dei volumi puntigliosamente catalogati nella Biblioteca. Eccone cinque esempi.

volume n. 23: Preziosi cuori e languidi desideri

volume n. 476: Il ricordo conduce preziosamente e mellifluamente al piacere

volume n. 1234: Il pensiero di un volto torbidamente perfido

volume n. 4567: Candidi canti e diafani sospiri

volume n. 8642: Il timore di un sentimento turgidamente tenero