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invenzioni verbali


Vittorio Alfieri, Mirra, 1786

concordanze di «Che»

nautoretestoannoconcordanza
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1786
D´ALBANIA ¶ Vergognando talor che ancor si taccia, ¶ donna
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se non dal dì che al viver tuo si
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elìce: ¶ provra emmi questa, che al mio dubbio core
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te vengo; e prego, ¶ che udir mi vogli. ¶ Cecri
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e richieggo, ¶ invano ognor, che il suo dolor mi
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quasi ¶ a mezzo già, che al seno mio la
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Ed or, fia vero, ¶ che a me, cui tutti
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io da prima credea, che figlia fosse ¶ del dubbio
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occhi suoi, forse temea che al padre ¶ piacesse meno
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omai si agguagliava; allor che l´alta ¶ scelta di
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immobil nel mio letto, ¶ che dal suo non è
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veggo ¶ in tal martìr, che dal mio fianco antico
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sì feroce ¶ piena crescean, che al fin, contro sua
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voce ¶ mi dice: «A che ne vieni? or via
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ne vieni? or via, che vuoi?...» ¶ Io non potea
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dirmi ¶ il suo martìr, che rattenuto in petto, ¶ me
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appena... ¶ parlar poss´io. — Che mai, ch´esser può
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altro ¶ martìre ha loco, che d´amor martìre. ¶ Ma
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le piacque: è ver, che parve ¶ ella il chiedesse
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sempre un non so che di speme, ¶ che in
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so che di speme, ¶ che in fondo al cor
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e non le dir, che favellato m´abbi. ¶ Colà
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abbi. ¶ Colà verrò, tosto che asciutto il ciglio ¶ io
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pieghevol, timida, e modesta, ¶ che nessun mezzo è mai
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II ¶ CECRI ¶ Cecri ¶ Ma, che mai fia? già l
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volte pria morir vorrei, ¶ che all´adorata nostra unica
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Chi pur creduto avrebbe, ¶ che trarla a tal dovessero
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cor ti schiuda, ¶ sin che n´è tempo. Io
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e dico, e giuro, che il pensier mio primo
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mia figlia. È ver, che amico farmi ¶ d´Epìro
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e cuor, non men che nobile, pietoso ¶ ei mostra
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il caso, re. Ciò che ragion di stato ¶ chiaman
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e dille in un, che a me spiacer non
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vero: altro non tema, ¶ che di far noi con
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ir preparando a ciò che a me non meno
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me non meno ¶ dorria, che a lui. Ma pur
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Infra i rivali illustri, ¶ che gareggiavan teco, ove uno
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ma al mio, ¶ più che pel sangue e pel
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stessa le brama, or che le abborre ¶ più assai
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le abborre ¶ più assai che morte; or ne assegna
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e rinnuova ogni dì, che sposo vuolmi; ¶ ch´ella
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sciorla; ¶ or vo´ morir, che perder non la posso
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dì fatal siam giunti, ¶ che irrevocabil oggi ella pur
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mai fosse!... È ver, che scelto ¶ ella t´ha
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ha sola; è ver, che niun l´astringe... ¶ ma
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il cor, son certo, ¶ che nol potrà. Non la
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l´alto tuo cor che ad ogni cor fa
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giorno al fin, quel che per sempre appieno ¶ far
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l´ora, è questa, ¶ che a te non lice
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o almen dei dirmi, ¶ che in me non hai
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a tua scelta, e che pentita ¶ tu in cor
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pieno ne andrò. Ma, che ti cale in somma
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disperato duol d´uom che niente ami, ¶ e poco
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dopo, deh! dimmi; in che ti spiacqui? ¶ Mirra ¶ ... Oh
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dirò più, non vere: ¶ che risponder poss´io? — Questo
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segni. Amarmi, ¶ io sapea che nol puoi; lusinga stolta
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core entrata m´era, ¶ che tu almen non mi
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pur troppo!) ¶ il far che tu non m´odi
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in me solo ¶ sta, che tu non mi spregi
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assegnar di un dolor, che in me supposto ¶ è
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in gran parte? e che pur, se in parte
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forse altra non ha, che il nuovo ¶ stato a
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altri non vogl´io, che tua. ¶ Che ti poss
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vogl´io, che tua. ¶ Che ti poss´io più
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dire? ¶ Pereo ¶ ... Ah! ciò che dirmi ¶ potresti, e darmi
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queste rive. ¶ Pereo ¶ Oh! che favelli? ¶ Come or sì
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morir... di dolore... ¶ Pereo ¶ Che ascolto? Il duol ti
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tuoi ¶ mezzo alcun proporrai, che te sottragga ¶ a sì
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s´invola... — Oh ciel! che dissi? Ah! tosto ¶ ad
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sì barbara guisa, ¶ fuor che furie d´amor... ¶ Mirra
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mi ardirò. Deh! pur che almen tu meco ¶ la
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negai pur sempre. ¶ Mirra ¶ Che sento? oh ciel! ne
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tuo pronunziava... ¶ Mirra ¶ Oimè! Che ardir? che festi? ¶ Venere
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Mirra ¶ Oimè! Che ardir? che festi? ¶ Venere?... Oh ciel
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sdegno ¶ della implacabil Dea... Che dico?... Ahi lassa!... ¶ inorridisco
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pur fai ¶ rabbrividire, inorridir. Che osasti? ¶ Nullo omai de
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è lento troppo, ancor che immenso, il duolo. ¶ Euriclea
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Euriclea ¶ Tremar mi fai... Che mai poss´io? ¶ Mirra
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infamia la morte. Oimè! che dico?... — ¶ Ma tu non
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respiri! oh cielo!... Or, che ti dissi? io cieca
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Non reputarmi ingrata; ¶ né che il dolor de´ mali
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del tuo amor più che materno, e a un
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saldamente afferri ¶ il partito, che solo orrevol resta. ¶ ATTO
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già le ho fatto, che a te venga. ¶ Nessun
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parmi ¶ impossibile; a noi, che di noi stessi, ¶ non
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di noi stessi, ¶ non che di sé, la femmo
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vieni. ¶ Mirra ¶ Oh ciel! che veggo? ¶ anco il padre
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mio paterno aspetto, ¶ più che non temi della madre
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tacerla, ¶ figlia, tu puoi; che il tuo piacer fia
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anzi, creder ci giova che maturi ¶ pensier novelli a
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Havvi tormento al mondo, ¶ che al mio si agguagli
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si agguagli?... ¶ Cecri ¶ Ma, che fia? tu parli ¶ sospirando
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Ciniro ¶ Lascia, deh! lascia, ¶ che il tuo cor ci
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di morte tremendi, ¶ più che il vegliar, mi dan
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giorni infelici trapasso. — ¶ Ma che?... voi pur dell´orrendo
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Ma in somma pur, che far si dee?... ¶ Mirra
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non narrabili angosce. — Da che ferma, ¶ Perèo scegliendo, ebbi
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ma sento anch´oggi, ¶ che nel mio petto di
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il giorno estremo. ¶ Cecri ¶ Che sento?... Oh figlia!... E
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assai lo estimo; ¶ e che null´uomo avrà mia
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voglian gli Dei) pur che soccorso ¶ voi men prestiate
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posso, il dì verrà, che a questo ¶ generoso mio
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Lasciarci? e a noi che resta, ¶ senza di te
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qui pria morta vedermi, ¶ che felice sapermi in stranio
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allor benedirete il giorno, ¶ che partir mi lasciaste. — Al
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sol novello, ¶ deh! concedete, che le vele ai venti
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certo un presagio funesto, che dove ¶ il partir mi
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una invincibil sconosciuta possa: ¶ che a voi per sempre
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voglio ¶ non più vederti, che così vederti. — ¶ E tu
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dì l´augurio fausto, ¶ che dei cari nepoti ella
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io v´ami; ancor che lieta ¶ io di lasciarvi
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Oh sposo!... io tremo, che ai nostri occhi appena
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anco ai sospiri, ¶ par che la invasi orribilmente alcuna
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sola... ¶ Ciniro ¶ Oh cielo! ¶ che osasti mai contro alla
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ahi sconsigliata!) io giunsi, che dal labro ¶ io sfuggir
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io sfuggir mi lasciava; che più gente ¶ tratta è
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alta beltà di Mirra, ¶ che non mai tratta per
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ne fosse. ¶ Ciniro ¶ Oh! che mi narri?... ¶ Cecri ¶ Ecco
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esser più per noi. Che non fec´io, ¶ per
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vita. Alto non duolmi, ¶ che il non poter, con
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intento: ma, più salda, ¶ che all´aure scoglio, ella
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e chiede; e teme, che a lei tolto ¶ sii
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sa: l´egra salute, ¶ che l´effetto pria n
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destar debb´ella, ¶ più che ne desti in noi
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nuovo dì lasciarci ¶ (noi, che l´amiam pur tanto
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sì subito... Oimè! tremo, ¶ che in suo pensier disegni
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suo dolor parlarle, ¶ vedrai che in lei presso a
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poss´io, creder davvero ¶ che non mi abborre Mirra
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dal suo parlar convinto, ¶ che, lungi d´esser de
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faccia andar non vuolsi; ¶ che il troppo lungo rito
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da lor non scerni, ¶ che neppur me tu vuoi
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tu vuoi?... Di me che fia, ¶ se priva io
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ben cruda gioia, ¶ questa che quasi ora in lasciarci
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vuoi così. Piacemi almeno, ¶ che vi acconsentan placidi e
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altra ¶ gioia esser può, che di appagar tue brame
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questo ¶ rimedio, il sol, che asciugherà per sempre ¶ il
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amor tuo, la vita ¶ che per te sola io
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mai, ¶ parmi esser certo, che odiarmi almeno ¶ neppur potrai
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almeno ¶ neppur potrai. ¶ Mirra ¶ Che parli tu? Deh! meglio
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immenso ¶ v´aggiungi tu, che di ben altro oggetto
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porrammi in cor, tosto che sgombro ei l´abbia
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sinfonia adattata alle parole, che stanno per recitarsi poi
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recitarsi poi. ¶ «O tu, che noi mortali egri conforte
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cui nulla estingua, altro che morte. — ¶ Fanc. ¶ Benigno a
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al mondo». ¶ Euriclea ¶ Figlia, che fia? tu tremi?... oh
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di sì nobil prole, ¶ che il padre, e gli
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tu sempre umìl... Ma che? ti cangi ¶ tutta d
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core ¶ dell´alta sposa, che ogni laude eccede: ¶ e
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la feral Discordia...». ¶ Mirra ¶ Che dite voi? già nel
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faci... ¶ Ciniro ¶ Oh ciel! che ascolto? ¶ Cecri ¶ Figlia, oimè
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no mai... ¶ Mirra ¶ — Ma che? già taccion gl´inni
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stringe? Ove son io? Che dissi? ¶ Son io già
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me stesso ¶ più insoffribil, che a te: non io
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invincibile tuo lungo ribrezzo, ¶ che per me nutri. Oh
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Oh noi felici entrambi, ¶ che ti tradisti in tempo
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presso a morte assai, che a vita, ¶ stassi: il
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mio petto vibra ¶ quella che al fianco cingi ultrice
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ti prego... Ah! pensa; ¶ che se tu stesso, e
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Mi sforza ¶ già, più che l´ira, or la
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Più suora a te, che madre, ¶ spero, mi avrai
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avrai... Ma, oh ciel! che veggio? O figlia,... ¶ meco
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mi squarci... — ¶ Ma... oimè!... che dico?... Ahi madre!... Ingrata
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figlia indegna son io, che amor non merto. ¶ Al
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fronte... ¶ Cecri ¶ Oh cielo! ¶ che ascolto?... Oh ciel!... Rabbrividir
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ogni miseria mia... ¶ Cecri ¶ Che parli?... Oh figlia!... ¶ Io
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tuo petto. — Oh cielo! ¶ che dirà l´orbo padre
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no, donzella non ha, che incontro basti ¶ al non
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CINIRO, MIRRA ¶ Ciniro ¶ — Mirra, che nulla tu il mio
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a tutti noi: ma, che ai comandi espressi, ¶ e
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tu ne merti; e che in me cessi ¶ l
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cessi ¶ l´immenso amor, che all´unica mia figlia
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io già portai. — Ma che? tu piangi? e tremi
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stessa, coll´infausto fine ¶ che alle da te volute
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del misero Perèo... ¶ Mirra ¶ Che ascolto? Oh cielo! ¶ Ciniro
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padre di Perèo, ¶ io che son padre ed infelice
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incerta; e il vergognarti, ¶ che mai da te non
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esser non puote altro che oscura fiamma, ¶ quella cui
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tanto ascondi. ¶ Mirra ¶ Oimè!... che pensi?... ¶ Non vuoi col
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pur non l´osi, ¶ che amor non senti? E
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sì forte sul volto; ¶ che indarno il labro negheria
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vuoi, di un genitor che t´ama ¶ più che
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che t´ama ¶ più che se stesso, con l
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il generoso ¶ contrasto orribil, che ti strazia il core
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non svelarla al padre, ¶ che tel comanda, e ten
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cruda ¶ esser tu puoi, che a un tempo assai
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sii ¶ più ai genitori che ti adoran sola. ¶ Deh
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e grande: e, ancor che umìl, son certo, ¶ che
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che umìl, son certo, ¶ che indegno al tutto esser
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costo mio. ¶ Mirra ¶ Salva?... Che pensi?... ¶ Questo stesso tuo
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figlia ¶ unica amata; oh! che di´ tu? Deh! vieni
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sì vile fiamma ¶ ardi, che temi... ¶ Mirra ¶ Ah! non
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fiamma; né mai... ¶ Ciniro ¶ Che parli? iniqua, ¶ ove primiero
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la sapesse.. Ciniro... ¶ Ciniro ¶ Che ascolto! ¶ Mirra ¶ Che dico
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Ciniro ¶ Che ascolto! ¶ Mirra ¶ Che dico?... ahi lassa!... non
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nel mio estremo ¶ sospir, che già si appressa,... alle
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al tuo fianco... ¶ Ciniro ¶ Che vuoi tu dirmi?... Oh
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forse?... ¶ Mirra ¶ Oh cielo! ¶ che dissi io mai?... Me
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trafigge. ¶ Ciniro ¶ Figlia... Oh! che festi? il ferro... ¶ Mirra
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ratta ¶ ebbi al par che la lingua. ¶ Ciniro ¶ ... Io
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ella per... Ciniro... ¶ Cecri ¶ Che ascolto? — ¶ Oh delitto!... ¶ Ciniro