Umberto Eco, Storia di Angelo Orso, 1992

sui giocattoli dell’infanzia, e mi chiedeva un ricordo

ricordo. Non ho esitato, e ho ricordato Angelo Orso

non me ne ricordavo, e infatti sul momento non

storia. Quando il servizio è stato pubblicato mi ha

Orso? Sì, avrei dovuto. E a poco a poco

a poco tutto mi è tornato alla mente. ¶ Angelo

eravamo noi molto piccoli, e lui nuovo di zecca

saggezza, una claudicante autorevolezza, e via via ne acquistava

in piedi che seduto, e nessuno avrebbe osato metterlo

Angelo Orso aveva braccia e gambe, antropomorfo per natura

gambe, antropomorfo per natura e non per metafora). ¶ Gradatamente

a bordo, Gulliver ubbidito e venerato dai suoi lillipuziani

testa o un arto, e dalle loro carni di

di materiale compresso, friabile e ormai stinto, spuntavano uncini

casa, compresi i trenini e i legnetti da costruzioni

da costruzioni. Col tempo – e travolto da mille incombenze

occhio, il secondo braccio, e poi le gambe. Anche

scontri tra cow-boy e indiani e spesso lo

cow-boy e indiani e spesso lo legava alla

inenarrabili fustigazioni, che noi (e lui, Angelo) accettavamo senza

deve sapere svolgere varie e complesse mansioni. ¶ Erano intanto

intanto passati gli anni e dal torso mutilato del

forse colture di bacilli, e fummo affettuosamente incitati a

a quel lento sventramento e a quell’indecoroso defluire

si formò un lento e ieratico corteo. A fianco

adagiato il quasi estinto, e credo seguissero tutti i

di quel Baal fiammeggiante, e il Caro Estinto arse

il Caro Estinto arse e poi s’estinse. E

e poi s’estinse. E con lui finì certamente

i giocattoli costano meno e si rompono prima, come

cambiano a ogni stagione e non sopravvivono alle dissoluzioni