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il corpus scripta


esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

concordanze di «Il»

nautoretestoannoconcordanza
1
1950
non andavano loro per il mondo, nell’anno della
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1950
della guerra era venuto il mondo a svegliarli. C
3
1950
là, tu per sfruttare il contadino, io perché abbiate
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1950
come mosche per salvare il paese? ¶ Mentre parlava, io
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1950
sentivi sparare sul ponte, il giorno dopo erano di
6
1950
tu l’hai fatto il partigiano? ci sei stato
7
1950
Belbo, e i tigli, il cortile basso della Mora
8
1950
Non c’è piú il pino del cancello… ¶ – L
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1950
L’ha fatto tagliare il ragioniere, Nicoletto. Quell’ignorante
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1950
ci penso, mi gira il sangue. Va bene che
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1950
tutti, ma fin che il vecchio è stato vivo
12
1950
niente. L’hanno viziata, il sor Matteo non vedeva
13
1950
per quello stradone, girare il cancello tra il pino
14
1950
girare il cancello tra il pino e la volta
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1950
vigna dopo la vendemmia, il tornar solo in trattoria
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1950
come l’avevo conosciuta il primo inverno, e poi
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1950
ero piú come Cinto, il mondo mi aveva cambiato
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1950
quando stavamo seduti sotto il pino o sul trave
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1950
qualcuno usciva dalla stalla – il discorso finiva sempre che
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1950
qualche volta, se scendeva, il sor Matteo, dicevano «Sí
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1950
coppia di buoi, fare il prezzo dell’uva, manovrare
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1950
poi Padrino dovette vendere il casotto e andare servitore
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1950
vicino allo stradone, sotto il Salto. Tante facce nuove
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1950
facce nuove, la carrozza, il cavallo, le finestre con
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1950
del cancello c’era il giardino, pieno di zinie
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1950
come la frutta – facevano il fiore invece del frutto
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1950
bene Lanzone con lui. Il sor Matteo non morirà
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1950
come faccio a pagare il Consorzio? – Già vecchio com
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1950
Già vecchio com’era, il suo spavento era di
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1950
andò che s’intromise il parroco – quello d’allora
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1950
e io, quando venne il carretto per prendere l
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1950
per la capra, arrivò il parroco – aveva un grosso
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1950
traverso. Padrino girava per il cortile e si tirava
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1950
baffi. – Tu, – mi disse il prete, – non fare la
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1950
gli zoccoli in spalla, il mio fagottino, e quattro
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1950
alla Mora fu Cirino il servitore, col permesso del
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1950
e dietro uno steccato il cavallo da tiro. Sotto
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1950
la tettoia c’era il biroccio verniciato nuovo. Al
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1950
non avevano in terra il battuto ma il cemento
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1950
terra il battuto ma il cemento. In cucina c
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1950
tante tazze, e sopra il camino dei festoni di
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1950
giacca per l’inverno. Il primo lavoro che feci
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1950
una fascina e macinare il caffè. ¶ Chi mi disse
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1950
stava bene, ma che il lavoro andava fatto con
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1950
la chiamarono di sopra, il massaro andò in stalla
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1950
cadde molta neve e il Belbo gelò – si stava
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1950
era soltanto da spalare il cortile e davanti al
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1950
arrostivano le castagne, tirammo il vino, mangiammo due volte
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1950
furono un guaio. Cominciarono il dottore, il cassiere, i
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1950
guaio. Cominciarono il dottore, il cassiere, i tre o
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1950
giovanotti sportivi che pigliavano il vermut al bar, a
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1950
italiani che avevano fatto il loro dovere fossero stati
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1950
E quando è bruciato il deposito… – Che autonomi, c
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1950
di tutto… – Ti ricordi il tedesco… ¶ – Che fossero autonomi
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1950
Che fossero autonomi, – strillò il figlio della madama della
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1950
assassini. ¶ – Per me, – disse il dottore guardandoci adagio, – la
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1950
che si è messa il fazzoletto tricolore l’indomani
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1950
due aveva al collo, il pretore concluse ch’erano
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1950
mise d’attorno fu il parroco. Convocò subito il
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1950
il parroco. Convocò subito il sindaco, il maresciallo, un
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1950
Convocò subito il sindaco, il maresciallo, un comitato di
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1950
Mi tenne al corrente il Cavaliere, perché lui ce
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1950
d’ottone dal banco. – Il banco dove s’inginocchiava
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1950
come costui… ¶ Dei partigiani il Cavaliere non giudicò. – Ragazzi
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1950
penso che tanti… ¶ Insomma il parroco tirava l’acqua
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1950
Nella riunione in canonica il parroco aveva sfogato il
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1950
il parroco aveva sfogato il veleno. S’eran sfogati
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1950
di quei tempi, – disse il Cavaliere. – La guerra, dicono
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1950
anni fa, e subito il prete ha fatto la
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1950
di farci lo stesso il suo comizio. ¶ E cosí
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1950
la domenica si fece il funerale. Le autorità, i
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1950
a saccheggiare i giardini. Il parroco, parato a festa
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1950
gli occhiali lucidi, fece il discorso sui gradini della
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1950
religione erano tuttora minacciate. Il rosso, il bel colore
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1950
tuttora minacciate. Il rosso, il bel colore dei martiri
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1950
fuori, Dio sa, senza il conforto dei sacramenti – e
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1950
prete fosse qualcosa come il tuono, come il cielo
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1950
come il tuono, come il cielo, come le stagioni
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1950
bisogna invecchiare né conoscere il mondo. ¶ Chi non apprezzò
80
1950
mondo. ¶ Chi non apprezzò il discorso fu Nuto. Sulla
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1950
era in gamba. Batté il ferro l’indomani dicendo
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1950
e negozianti in paese, il sangue era corso per
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1950
per quelle colline come il mosto sotto i torchi
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1950
succedevano. Allora saltò su il camionista – uno di Calosso
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1950
moglie in casa dava il latte al bambino. Gli
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1950
piedi. ¶ Ci arrampicammo per il Salto. Da principio non
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1950
la stradetta e prendemmo il sentiero – ripido che bisognava
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1950
di un filare incocciammo il Berta, il vecchio Berta
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1950
filare incocciammo il Berta, il vecchio Berta che non
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1950
dritto; disse soltanto: – Salutiamo –. Il Berta non mi conobbe
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1950
un tempo, dove finiva il cortile della casa dello
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1950
asciutte e gli strapiombi, il tetto rosso del Salto
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1950
tetto rosso del Salto, il Belbo e i boschi
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1950
e andavamo testardi, sostenuti. ¶ – Il brutto, – disse Nuto, – è
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1950
che siamo degli ignoranti. Il paese è tutto in
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1950
Nuto mi spiegò perché il deputato non tornava. Dal
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1950
sulla piazza di notte. ¶ Il fatto è che Cinto
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1950
in Alessandria, all’ospedale. Il meno invadente era sempre
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1950
meno invadente era sempre il Cavaliere, che sapeva tutto
100
1950
e della cognata. Che il Valino adesso dormisse con
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1950
con la cognata era il meno – che cosa poteva
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1950
le donne urlare quando il Valino si toglieva la
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1950
anche Cinto – non era il vino, non ne avevano
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1950
la polenta, nient’altro; il pane scendevano a cuocerlo
105
1950
e gridato tre mesi – il dottore saliva lassú una
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1950
morta senza nemmeno vedere il prete. Finite le figlie
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1950
prete. Finite le figlie, il vecchio non aveva piú
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1950
campagne e le fiere; il Cola l’aveva ancora
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1950
tante volte. Passai sotto il Salto, passai sotto il
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1950
il Salto, passai sotto il Nido, vidi la Mora
111
1950
coi tigli che toccavano il tetto, il terrazzo delle
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1950
che toccavano il tetto, il terrazzo delle ragazze, la
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1950
motociclette nel polverone. Ma il grosso platano era là
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1950
veramente, voleva ancora capire il mondo, cambiare le cose
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1950
ragazzo. Canelli è tutto il mondo – Canelli e la
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1950
Belbo – e sulle colline il tempo non passa. ¶ Tornai
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1950
lungo la ferrata. Passai il viale, passai sotto il
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1950
il viale, passai sotto il Nido, passai la Mora
119
1950
scarpe. Erano corsi su il dottore e il pretore
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1950
su il dottore e il pretore col sindaco per
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1950
la guerra, l’internamento, il sequestro – e cercavo di
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1950
trasferirmi nel Messico. Era il confine piú vicino e
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1950
la guerra avrei passato il mare per forza, e
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1950
sera mi s’impannò il camioncino in aperta campagna
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1950
a spaventarmi. In tutto il giorno non avevo incrociato
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1950
E domani?» dicevo. ¶ Ebbi il tempo di studiare tutti
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1950
che hanno in tutto il mondo. Un venticello scricchiolava
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1950
freddo come d’inverno. Il sole era già sotto
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1950
e millepiedi; ci regnava il serpente. Cominciarono gli urli
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1950
selvatici. Non eran loro il pericolo, ma mi fecero
131
1950
pali. Almeno fosse passato il treno. Già varie volte
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1950
telegrafico e avevo ascoltato il ronzío della corrente come
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1950
rompeva l’aria come il canto del gallo – metteva
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1950
buio, proprio buio, accesi il cruscotto. I fari non
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1950
della strada era tutto il lavoro che ci avevano
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1950
mi fece saltare. Spensi il cruscotto; lo riaccesi quasi
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1950
calzonacci bianco sporco sventolavano, il mulo sporgeva il collo
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1950
sventolavano, il mulo sporgeva il collo, tirava. Passandoli avevo
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1950
l’ospedale di Alessandria – il mondo era venuto a
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1950
strada si vedeva appena. Il vento scricchiolava sempre, agghiacciato
141
1950
di Fresno. ¶ Poi venne il treno. Cominciò che pareva
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1950
e già s’intravedeva il fanale. Lí per lí
143
1950
tanto aspettato, ma quando il buio ricadde e la
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1950
dicevo, scommetto che è il paese che fa per
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1950
davanti al cancello. ¶ Adesso il Vecchio era morto, e
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1950
Vecchio era morto, e il Cavaliere era un piccolo
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1950
abiti frusti, e girava il paese con un bastone
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1950
in Francia, e beveva il caffè scostando il mignolo
149
1950
beveva il caffè scostando il mignolo e piegandosi avanti
150
1950
e si capiva che il Vecchio era morto a
151
1950
A modo suo anche il Cavaliere era scappato dal
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1950
paese, era andato per il mondo, ma non aveva
153
1950
di Torino) era morta, il figlio, l’unico figlio
154
1950
figlio, l’unico figlio, il futuro Cavaliere, s’era
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1950
ogni volta si toglieva il cappello. ¶ Dalla piazza si
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1950
i suoi beni, dietro il tetto del municipio, una
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1950
erba, e sopra, contro il cielo, un ciuffo di
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1950
di canne. Nel pomeriggio il gruppo di sfaccendati che
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1950
di sfaccendati che prendevano il caffè, lo burlavano sovente
160
1950
ridevano all’idea che il Cavaliere andasse a caccia
161
1950
qualcosa, per cambiare discorso. Il discorso cambiò, ma si
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1950
ma si vede che il Vecchio non era morto
163
1950
andai subito, per levargli il disturbo di prepararmi l
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1950
ultima terra che portasse il suo nome, perché altrimenti
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1950
interessò, si stupí, scosse il capo. ¶ – Mi rendo conto
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1950
libera e selvatica come il parco dov’è stato
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1950
quei quattro filari disgraziati. Il Cavaliere fece una smorfia
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1950
smorfia spiritosa e scosse il capo. – Sono vecchio, – disse
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1950
né San Grato né il paese. Ma sulle grandi
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1950
qui non si vede. Il Piola dice che una
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1950
ci bruciavano delle fascine. ¶ Il Piola era il suo
172
1950
fascine. ¶ Il Piola era il suo Nuto, un ragazzotto
173
1950
padre l’ha fatto il falò? Ci sarebbe bisogno
174
1950
quest’anno… Dappertutto accendono il falò. ¶ – Si vede che
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1950
dissi. – L’indomani trovi il letto del falò sulle
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1950
ridendo. ¶ – Sí, ma invece il letame lo metti nel
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1950
gli raccontavo cos’è il porto di Genova e
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1950
raccontavo al ragazzo, sporse il labbro come per imboccare
179
1950
labbro come per imboccare il clarino e scosse il
180
1950
il clarino e scosse il capo con forza. – Fai
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1950
La Mora era come il mondo, – dissi. – Era un
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1950
degli anni di musicante, il discorso piú vecchio, di
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1950
sapeva cos’era, se il calore o la vampa
184
1950
sull’orlo si accendeva il falò davano un raccolto
185
1950
campagnolo. Un vecchio come il Valino non saprà nient
186
1950
Belbo, Gaminella di fronte, il Salto di fianco, e
187
1950
che vive, che ha il suo respiro e il
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1950
il suo respiro e il suo sudore. E di
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1950
eppure hanno anche quelli il loro bello – ogni vigna
190
1950
d’erba. C’era il porto, questo sí, c
191
1950
laggiú come me». Invece il figlio non l’avevo
192
1950
averla nelle ossa come il vino e la polenta
193
1950
paese, della Stazione, portavano il parasole. Gli raccontai che
194
1950
e mangiavano, suonavano tutto il giorno. Anche noi ragazzi
195
1950
finestre facevano luce, sembrava il fuoco, e si vedevano
196
1950
e sentivamo di notte il lupo lamentarsi che aveva
197
1950
portato in basso e il Pa l’ha trovato
198
1950
l’ha trovato sotto il fango e le pietre
199
1950
di una roncola contro il legno, e a ogni
200
1950
batteva le ciglia. ¶ – È il Pa, – disse, – è qui
201
1950
la menta del fondo, il Valino alzò appena la
202
1950
chinò a far su il fastello, poi cambiò idea
203
1950
si mettono per dare il verderame. ¶ – C’è un
204
1950
Qualcosa manca sempre, – disse il Valino. – Aspettavo Nuto per
205
1950
stavo io, c’era il camino che non tirava
206
1950
poi rotto quel muro? ¶ Il Valino mi disse che
207
1950
ancora sepolti nei boschi. ¶ Il Valino mi guardò con
208
1950
tapino, gli chiederebbe se il mondo dev’essere sempre
209
1950
a tutti quanti, che il mondo è mal fatto
210
1950
fatto e bisogna rifarlo. ¶ Il Valino non mi disse
211
1950
bere un bicchiere. Raccolse il fastello dei salici e
212
1950
e non rispose. Allora il Valino fece un passo
213
1950
Cinto saltò via e il Valino incespicò e si
214
1950
lo guardava. ¶ Senza parlare, il vecchio s’incamminò per
215
1950
con Cinto, e che il vecchio avesse menato a
216
1950
sentire l’afa e il sudore. Io studiavo la
217
1950
arrivammo alla strada, sotto il muretto della riva, in
218
1950
venduta l’uva o il grano, attaccavano il cavallo
219
1950
o il grano, attaccavano il cavallo e partivano sul
220
1950
poi la cascina, e il mattino dopo li trovavano
221
1950
letto dell’osteria, sotto il quadro della Madonna e
222
1950
quadro della Madonna e il ramulivo. Oppure partivano sul
223
1950
si chiamano i bastardi. ¶ – Il figlio del Maurino, – disse
224
1950
bastardi. Si vede che il Maurino aveva bisogno di
225
1950
della strada c’era il Belbo. Era qui che
226
1950
portati in giro tutto il pomeriggio per le coste
227
1950
soltanto con Nuto, perché il Valino mi lasciasse entrare
228
1950
finita la festa e il torneo di pallone, l
229
1950
brusío delle mosche, prendevo il caffè alla finestra guardando
230
1950
un sindaco che guarda il paese dal balcone del
231
1950
non è andato per il mondo, non ha fatto
232
1950
bisogna capirle, aggiustarle, che il mondo è mal fatto
233
1950
rabbia le fascine mettendoci il piede sopra, o giocavo
234
1950
sul biroccio per vedere il mondo, una bella mattina
235
1950
succedeva. La mattina prendevo il caffè e scrivevo delle
236
1950
dietro alle mie lettere. ¶ Il caffè lo presi un
237
1950
davanti alla piazza scottante. Il Cavaliere era il figlio
238
1950
scottante. Il Cavaliere era il figlio del vecchio Cavaliere
239
1950
ai miei tempi era il padrone delle terre del
240
1950
strane che nessuno sapeva il loro nome. Le persiane
241
1950
che poteva aver fatto il Valino in tanti anni
242
1950
scappato, quello era pure il mio destino. Eppure io
243
1950
destino. Eppure io per il mondo, lui per quelle
244
1950
questa stanza». ¶ Arrivai sotto il fico, davanti all’aia
245
1950
all’aia, e rividi il sentiero tra i due
246
1950
delle pietre per scalini. Il salto dal prato alla
247
1950
volta – erba morta sotto il mucchio delle fascine, un
248
1950
marce e schiacciate. Sentii il cane di sopra scorrere
249
1950
di sopra scorrere lungo il filo di ferro. ¶ Quando
250
1950
la testa dagli scalini, il cane impazzí. Si buttò
251
1950
a salire, e vidi il portico, il tronco del
252
1950
e vidi il portico, il tronco del fico, un
253
1950
quello? Mi guardò sotto il sole, aveva in mano
254
1950
a batter gli occhi; il cane urlava e strappava
255
1950
cane urlava e strappava il filo. Il ragazzo era
256
1950
e strappava il filo. Il ragazzo era scalzo, aveva
257
1950
guardavano. Gridai che cercavo il Valino. Non c’era
258
1950
al cane e prese il filo e lo tirò
259
1950
lo tirò, che rantolava. Il ragazzo si alzò dalla
260
1950
piedi e strisciò verso il cane. Era zoppo, rachitico
261
1950
Era zoppo, rachitico, vidi il ginocchio non piú grosso
262
1950
suo braccio, si tirava il piede dietro come un
263
1950
diedi un’occhiata sotto il portico, dietro il fico
264
1950
sotto il portico, dietro il fico, alle melighe, se
265
1950
di quella donna. ¶ Calmato il cane, non mi dissero
266
1950
io dissi che, se il Valino tornava, lo aspettavo
267
1950
quella che aveva legato il cane – era scalza e
268
1950
nell’aia (di nuovo il cane si avventò), dissi
269
1950
stato bambino. Chiesi se il pozzo era sempre là
270
1950
si chinò e raccolse il rastrello caduto davanti all
271
1950
dalla riva se vedeva il Pa. Allora dissi che
272
1950
magra cognata. Disse che il medico aveva guardato la
273
1950
letto che esclamava e il dottore il giorno prima
274
1950
esclamava e il dottore il giorno prima che morisse
275
1950
avrebbe fatto perdere anche il latte. Il dottore l
276
1950
perdere anche il latte. Il dottore l’aveva strapazzata
277
1950
che non era mica il latte, ma le fascine
278
1950
pensarci prima, aveva detto il dottore, ma adesso non
279
1950
l’indomani era morta. ¶ Il ragazzo ci ascoltava appoggiato
280
1950
Allora vado a cercare il Valino –. Volevo starmene solo
281
1950
Cosí mi misi per il prato e costeggiai la
282
1950
stato un paese intiero, il mondo. Se di qui
283
1950
Per lui Gaminella era il mondo e tutti gliene
284
1950
loro avrei raccontato glorioso il grande fatto. ¶ Adesso Cinto
285
1950
chiesi chi aveva fatto il trapianto. Lui cianciava, si
286
1950
eppure a guardarsi intorno, il grosso fianco di Gaminella
287
1950
stato sul carro quando il Pa era andato a
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ferrata a veder passare il treno. ¶ Gli raccontai che
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ero andato. Sapevo che il vecchio, le figlie, i
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quelle lunghe colline sotto il sole avevo detto: «Sono
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le campagne e feci il lattaio a Oakland. La
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Oakland. La sera, traverso il mare della baia, si
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la pena di traversare il mondo per vedere chiunque
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cassiera, e adesso tutto il giorno mi guardava attraverso
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giorno mi guardava attraverso il banco, mentre friggevo il
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il banco, mentre friggevo il lardo e riempivo bicchieri
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un senso a tutto il baccano sotto le stelle
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mentre fuori gli facevano il pieno della benzina, lui
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da fuori non sfiatarono il clacson. Nora, dalla cassa
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a casa aveva fatto il conducente, i paesi dove
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la radio sui ballabili. Il mio amico strinse le
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corsa dei cavalli, anche il parroco ascoltava i ballabili
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ancora, e aveva vinto il Tiberio, la banda di
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e secondo lui meritava il premio quel Nuto del
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gridò che facessi smettere il clacson. Versai un’altra
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davvero, senza paura? Eppure il paese era grande, ce
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la donna cattiva. Veniva il giorno che uno per
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Nuto ha voluto imboccare il clarino – dice che è
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e stavamo a prendere il fresco sul poggiolo della
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poggiolo della mia stanza. Il poggiolo dà sulla piazza
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tornare a casa sotto il mattino. Uno vuol fare
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piazza come questa sembra il mondo. Uno crede che
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mondo. Uno crede che il mondo sia cosí… ¶ Nuto
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bene. Credevo che tutto il mondo fosse come la
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nessun male, ma viene il giorno che anche loro
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a lasciarle tempo, vuota il sacco. ¶ Ma Nuto quella
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quella sera non vuotò il sacco. Cambiò discorso. ¶ Disse
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a pregar la madonna il parroco bisogna che li
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disse Nuto, – la vince il parroco. Chi è che
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l’illuminazione, i mortaretti, il priorato e la musica
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i soldi? Fan lavorare il servitore, la donnetta, il
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il servitore, la donnetta, il contadino. E la terra
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era uno, lo chiamavano il Ghigna, che si dava
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ignoranti, che non guastassero il nome. Il Ghigna han
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non guastassero il nome. Il Ghigna han fatto presto
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dovevano muoversi nel ’45 quando il ferro era caldo. Allora
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era caldo. Allora anche il Ghigna sarebbe stato un
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qualcosa di fatto. Avevate il coltello dal manico… ¶ – Io
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se lui avesse portato il fazzoletto rosso e maneggiato
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passano per tutti. ¶ – Se il sor Matteo ce l
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mi ero dimenticato. Qui il caldo piú che scendere
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ingrosso, taglio corto. Ma il discorso mi piace. E
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stalla, beviamo un bicchiere. ¶ Il giorno che tornai al
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di Gaminella, conoscevo già il vecchio Valino. L’aveva
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vi toccava spartire. Adesso il casotto l’ha comprato
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già due cascine e il negozio. Poi dicono i
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fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che
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Dalla straduccia che segue il Belbo arrivai alla spalliera
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di grosse pietre annerite, il fico storto, la finestretta
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simile, o magari che il casotto fosse crollato; tante
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alla riva, convinto che il mondo finisse alla svolta
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seduto sul trave dietro il casotto o sulla spalletta
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Belbo, e Padrino, venduto il casotto di Gaminella, se
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campi per vedere sotto il cielo le vigne del
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e mattina correva lungo il Belbo facendomi pensare a
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tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il
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il mondo. Adesso che il mondo l’ho visto
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Alba. C’è Nuto, il mio amico del Salto
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non fosse che per il gusto di andarsene via
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anni, e con tutto il mondo che ho visto
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ancora che cos’è il mio paese? ¶ C’è
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mi piace sapere che il mondo è rotondo e
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è arrivato a suonare il clarino in banda oltre
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parte dove si leva il sole. Ne parliamo ogni
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le rive, nelle aie. Il paese è molto in
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d’agosto. Tanto meglio, il va e vieni della
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forestiera, la confusione e il baccano della piazza, avrebbero
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sulla piazza è andato il ballo, e si sentivano
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le coppie di buoi, il profumo, il sudore, le
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di buoi, il profumo, il sudore, le calze delle
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c’era rimasto, Nuto il falegname del Salto, il
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il falegname del Salto, il mio complice delle prime
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per dieci anni suonato il clarino su tutte le
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della vallata. Per lui il mondo era stato una
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sempre quella e sotto il sole sa di gerani
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alle finestre e davanti. Il clarino è appeso all
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ceste nella riva sotto il Salto – una riva di
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di festa ha posato il clarino alla morte del
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si trovava l’idiota, il deficiente, il venturino. Figli
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l’idiota, il deficiente, il venturino. Figli di alcoolizzati
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nella riva o dentro il Belbo, a caccia di
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chiari e boscosi sotto il sole, di notte nidi
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lui sotto una tettoia il sabato sera alla Stazione
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né gli occhi – via il clarino il bicchiere, via
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occhi – via il clarino il bicchiere, via il bicchiere
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clarino il bicchiere, via il bicchiere la forchetta, poi
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forchetta, poi di nuovo il clarino, la cornetta, la
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assolo, poi la merenda, il cenone, la veglia fino
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ripensandoci, – c’è soltanto il guaio ch’è un
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diceva ch’è meglio il vizio delle donne… ¶ – Già
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lui, la cornetta, e il mandolino, andando per lo
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musicante, Arboreto, che suonava il bombardino. Faceva tante serenate
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dissi a Nuto, – che il Cola vuol vendere? ¶ – Soltanto
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che ti vende anche il letto. ¶ – Di sacco o
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malattia, una disgrazia, come il tifo di sua sorella
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in calore, le tornò il sangue sulla faccia. Adesso
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un notaio a vedere il Nido e le terre
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allora in licenza per il grano, seppe tutto a
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conti, e nominato tutore il notaio. Cosí il Nido
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tutore il notaio. Cosí il Nido rimase chiuso, e
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pestare quei solchi, che il mondo è grande e
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del Belbo. Si teneva il libro sulle ginocchia e
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tanto tempo, risentii suonare il piano. ¶ L’inverno prima
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cascina di boscaioli, dove il bell’uomo veniva a
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nei boschi, ch’era il figlio naturale del padrone
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delitti, degli avvelenamenti, e il ragazzo veniva accusato e
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è lo stesso, che il sangue è rosso dappertutto
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casa l’amico toscano. Il sor Matteo non si
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passeggiava per la campagna. Il parasole non usava piú
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capo scoperto, anche sotto il sole. ¶ Irene non voleva
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tutti. La sera che il sor Matteo ebbe la
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la bocca storta. ¶ Quando il sor Matteo uscí dal
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le rimase in tasca il biglietto del treno. Tornò
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a voce bassa. ¶ Per il funerale tagliammo tutti i
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suo padre si davano il cambio, gli erano sempre
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la padrona di tutto. Il sor Matteo non diceva
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assai se si ficcava il cucchiaio in bocca. I
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la signora e ficcava il naso dappertutto. ¶ Ma Arturo
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per non vedere piú il Nido sulla collina, per
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del lutto e che il sor Matteo non parlava
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cominciò a comandare. Vendette il pianoforte, vendette il cavallo
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Vendette il pianoforte, vendette il cavallo e diverse giornate
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primo settembre. Con tutto il loro tè e le
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sugli sdrai a guardare il cielo sopra la colombaia
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m’ero lavato bene il collo, cambiata la camicia
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spine. Perché non prendevo il biroccio? mi disse Silvia
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ci porta e guarda il cavallo. ¶ Mi piacque poco
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Mi ero lavato bene il collo e la schiena
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mi stava vicino sotto il parasole e sapeva di
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terra per non stancare il cavallo, e Silvia tenne
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Ci voltammo a guardare il campanile di Calosso, mostrai
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schianti delle fucilate. Portai il cavallo all’ombra dei
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stanghe per legare, staccai il biroccio e allargai il
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il biroccio e allargai il fieno. Irene e Silvia
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dovevo tener d’occhio il cavallo e intanto vedere
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a fiori era proprio il piú bello. ¶ Con Nuto
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nelle stalle dell’osteria. Il Bizzarro della Stazione ci
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era per bersela. Versarono il vino, che friggeva ancora
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dei cavalli correrete voi. ¶ Il Bizzarro si mise a
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ridere e si asciugò il sudore col fazzoletto rosso
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la mano e imboccò il clarino. Suonarono un pezzo
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tutte quelle candele sotto il sole, i colori dei
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aveva visto la fiamma. ¶ Il padre era uscito fuori
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e chiamare. ¶ Adesso tutto il casotto bruciava e Cinto
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scendere nel prato perché il padre l’avrebbe visto
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visto come di giorno. Il cane diventava matto, abbaiava
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matto, abbaiava e strappava il filo. I conigli scappavano
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filo. I conigli scappavano. Il manzo bruciava anche lui
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anche lui nella stalla. ¶ Il Valino era corso nella
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mano. Cinto, sempre stringendo il coltello, era scappato nella
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alto contro le foglie il riflesso del fuoco. ¶ Anche
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di lí si sentiva il rumore della fiamma come
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fiamma come un forno. Il cane ululava sempre. Anche
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aveva piú sentito né il cane né altro, gli
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piano era salito verso il noce, stringendo il coltello
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verso il noce, stringendo il coltello aperto, attento ai
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e gli fecero vedere il padre morto disteso sotto
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un crivello. Cinto cercava il suo coltello, lo chiedeva
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d’albere nella piana, il luccichío dell’acqua. Me
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mi parve mezzo insonnolito. ¶ Il giorno dopo ci fu
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visto che Cinto era il solo vivo della famiglia
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dal notaio e che il notaio l’aveva dovuta
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corsa anche dal prete. ¶ Il prete la fece piú
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fece piú bella. Siccome il Valino era morto in
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fuori sui gradini, mentre il prete dentro borbottava su
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strada margherite e trifoglio. Il prete non ci venne
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morisse quel giorno che il prete era venuto a
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volta sue nuove. E il Nido era chiuso. ¶ Anche
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come prenderle e rifarsi. ¶ Il suo Matteo s’era
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un fazzoletto rosso, mostrava il collo e le orecchie
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non succedeva piú che il massaro mi menasse una
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salivano i temporali e il sereno, e il mattino
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e il sereno, e il mattino spuntava, era sempre
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mattino spuntava, era sempre il paese dove i treni
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Mora l’Arturo e il suo toscano, ma lei
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sembrava d’accordo anche il sor Matteo – il ragioniere
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anche il sor Matteo – il ragioniere veniva alla Mora
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San Marzano, portava sempre il torrone a Santina – ma
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Silvia sparí. Rientrò soltanto il giorno dopo, con una
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non c’era solo il ragioniere ma un bell
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bell’uomo che sapeva il francese e l’inglese
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uscí l’indomani mattina. Il ragioniere lo seppe e
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era sempre vestito come il modello di un sarto
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doveva tornarci. ¶ Ma venne il giorno che il sor
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venne il giorno che il sor Matteo piantò una
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tutta la notte e il giorno dopo. ¶ Poi anche
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a Genova. Allora prese il treno per Genova, portandosi
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a prenderla a Genova il sor Matteo, dopo che
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e voleva buttarsi sotto il treno. Il sor Matteo
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buttarsi sotto il treno. Il sor Matteo la calmò
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Canelli, imparare a montare il cavallo e correre con
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un cavallo che tira il biroccio ha dei vizi
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Canelli che bastava, pagando il biglietto, piantare la mano
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era mica per salvare il nome a lei ma
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occhi, e quando scendeva il sentiero guardavo il passo
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scendeva il sentiero guardavo il passo, il sobbalzo, lo
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sentiero guardavo il passo, il sobbalzo, lo scatto della
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mise a letto, venne il dottore da Canelli, venne
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della Stazione – Irene aveva il tifo e ci moriva
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l’indomani c’era il prete. ¶ XXVI. ¶ Di tutto
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e nell’estate battono il grano, vendemmiano, nell’inverno
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I ragazzi, le donne, il mondo, non sono mica
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cambiati. Non portano piú il parasole, la domenica vanno
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che in festa, dànno il grano all’ammasso, le
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intieri con l’osteria, il municipio e i negozi
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Bormida, di passare anche il mare. ¶ – Ma non è
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ma quand’ho fatto il soldato e girato i
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ancora, ma io avevo il coltello e allora si
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una gamba e ripeteva: – Il papà si è impiccato
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bruciato la casa… anche il manzo. I conigli sono