Bernardino Martirano, Aretusa, 1618

al bel fonte diventi? ¶ Ma poi ch'è fanciul

l'amata sua Aretusa. ¶ 12 ¶ Ma de la Ninfa il

altro che 'l vento. ¶ 16 ¶ Ma la sollicitudine, figliuola ¶ d

terra e genti nove? ¶ Ma si questa è del

notator l'onde solcare. ¶ 31 ¶ Ma sia che tanto amica

Encelado Etna, Ischia Tifeo. ¶ 40 ¶ Ma tutto è nulla insin

fiera quanto può rubare. ¶ Ma non pensar però che

non sol ti converrà, ma armare, ¶ se non vuoi

modo il giovenetto umano: ¶ ma poi che chiaramente gli

appresso star molta brigata, ¶ ma non vi scorge il

d'un olmo sù: ¶ ma la pietà che tien

ferro, o con corda. ¶ 63 ¶ Ma godi, crudo, ch'io

illustre tua nobil vittoria. ¶ 64 ¶ Ma non sì tosto fia

le debba sua sventura: ¶ ma qual serpe ella sta

un pozzo così vile, ¶ ma falle, come in vita

fugge e non ascolta, ¶ ma rigido tien l'animo

da gli occhi bei. ¶ Ma sopra tutti gli altri

le scopre sue pene: ¶ ma ogni or con più

piangendo entrar nel mare. ¶ 84 ¶ Ma la superba, che mutati

ragion d'uccider tanti. ¶ Ma quei sospir saliti a

l'altra onora tanto: ¶ ma Narciso, che 'l mar

la mente più quïeta. ¶ Ma a pena al piè

trovare a sua possanza: ¶ ma costui, che tra tutti

poter rubar Pavia ¶ sforzarsi, ma il pensier gli era

e non l'aspetta ¶ ma par che in Monza

va a pigliar Pavia. ¶ 103 ¶ Ma trova più difficile la

tolto ha l'orgoglio: ¶ ma miracol non è se

a lui si rende. ¶ 121 ¶ Ma chi è quel fier

indegna morte del figliuolo. ¶ 125 ¶ Ma stagna il pianto, bella

superba e gran Cartagine. ¶ 144 ¶ Ma poi che vede che

si mette a chiamarla, ¶ ma Ecco sola li risponde

dipartita acerba e dura: ¶ ma s'io pensato avessi

o ne l'inferno. ¶ 155 ¶ Ma poi che questo omai

li pioveno in bocca; ¶ ma non però l'umore

ove Amor lo trabocca: ¶ ma quanto più ne l

tien le fiamme vive: ¶ ma al fin tanta è

più non può parlar, ma piange e tace. ¶ E