parolescritte
interroga:  scripta  ·  bsu  ·  civita

il corpus scripta


esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Enzo Striano, Il resto di niente, 1986

concordanze di «Un»

nautoretestoannoconcordanza
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1986
di Posillipo. Parlò d’un mondo meraviglioso che sarebbe
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meraviglioso che sarebbe venuto un giorno, quando i fratelli
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avessero invaso l’universo. Un mondo di liberi ed
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della Terra. ¶ «Sto scrivendo un libro» confidò, con voce
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voi dentro» aggiunse dopo un’esitazione. ¶ Taceva, imbarazzata. Istintivamente
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propongono il modello d’un piccolo Ebreo troppo mite
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maggiori. Il nostro è un mondo in cui tutti
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immortale! ¶ «Versi belli» balbettò, un po’ sincera un po
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balbettò, un po’ sincera un po’ ipocrita. «Nobili.» ¶ Jeròcades
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son pieni. Forse è un’organizzazione messa su dagli
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Ma Jeròcades...» ¶ «Jeròcades è un esaltato. Però affarucci ne
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anche lui! Ma senti un po’: ho la sensazione
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a far parte di un’organizzazione, una chiesa, di
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già scarse rendite neppure un grano: ecco una lezione
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una libertà, ne perdi un’altra. ¶ A casa s
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tanto l’idea d’un matrimonio. Papài ne parlava
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accordo: bisognava cercare, trovare un partito qualsiasi. Naturalmente non
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partito qualsiasi. Naturalmente non un borghese, ma a Napoli
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di mantenerla. Accollandolo a un altro. ¶ Si sentì molto
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libri, inoltre, non veniva un grano: se andava bene
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il mondo: Jeròcades sogna un pazzo paradiso terrestre, Pagano
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se ti dai a un gruppo, un’idea, diventi
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dai a un gruppo, un’idea, diventi servo: ha
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divinità, lieta di governare un mondo da lei stessa
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Si considerò ipocrita, anche un po’ losca, perché a
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come Caterina Dolfin Tron. ¶ Un giorno, in balenìo d
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del Tempio della gloria, un mazzo di sonetti. Metastasio
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quasi alla vigilia d’un convegno. ¶ Talvolta immaginava il
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vide sul rispetto d’un libro. Chissà lui come
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spuntare quello arcano d’un viaggio a Vienna. ¶ Giunse
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la lettera del re: un plico di pergamena avorio
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delle Loro Maestà, a un certame poetico, nel quale
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Tanucci, che voleva fare “un po’ di cultura a
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i poeti era pronto un emiciclo bianco eD oro
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Meola, Guidi, Caravelli. In un angolo si nascondeva Jeròcades
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Jeròcades, che le fece un cupo cenno di saluto
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affaticata, si rinfrescava agitando un ventaglio veneziano. Il re
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bianchi. Rispose con lieve, un po’ goffo inchino all
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con voce limpida, lesse un preambolo sul significato della
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Era Papadia che leggeva, un bel canto su Posillipo
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petto agli occhi, a un certo punto le sorrise
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La testa le girava un poco, respirò profondamente. Avrebbe
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in terra, anzi su un piolo della balaustra che
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avvertirsi, sul petto seminudo, un fiato tiepido. Azzardò mezzo
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Lei pure andò, con un piccolo crespo nero al
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L’aggredirono clamori. A un quadrivio sbucarono figure terrificanti
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cappucci a punta, precedevano un gruppo vociante e sciamannato
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la corsa, infilandosi per un vicolo in salita. Da
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di battesimo!». ¶ Rimase come un cretino poiché non vi
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questo Regno è veramente un Regno. Ma non perché
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salone del gioco tornava un gruppo con Galiani e
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di sì, freddamente. Arrivò un suo amico giovanissimo, uno
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grassoccio, dall’aria paesana, un poco addormentata. ¶ Qualcuno cavò
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è ancora e sempre un dio, Piccinni.» «La brutta
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s’era messo in un canto, Cimarosa se lo
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che diamine aveva, colui? Un bel niente. ¶ Sui venticinque
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faccia mal rasata. Naso un po’ storto, occhi presuntuosi
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storto, occhi presuntuosi. Indossava un abito troppo elegante, all
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lui pure le gettò un’occhiata. Si diresse verso
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cenno degli occhi azzurri, un crespo di sorriso. ¶ 1 Gioco
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mazzo” può significare “avere un gran deretano” ed anche
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teatro mezzo vuoto, dopo un po’ dové ricredersi. Le
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scollature fulgenti strillavano da un palco all’altro, senza
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di Spagna brillava come un sole), la figurina candida
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tulle celeste pallido, reggeva un bouquet di fiori gialli
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chiara: all’esile collo un monile d’oro bianco
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altezzosa, appena increspata da un sorriso. Certo, bella non
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poteva dire: anche lei un fior di naso robusto
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illeggibili occhi chiari. ¶ Dopo un po’ ebbe moto di
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cadde a sedere con un: «Ah!» di soddisfazione, e
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sapientemente illuminati. Sulla destra un tempietto dorico dalle misteriose
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visto, tanto per farti un esempio, al San Carlo
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esempio, perché non scrivi un bel sonetto per le
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fai conoscere, stimare, diventi un altro dei nostri che
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a emergere.» ¶ «Io? Con un sonetto? Dove pensi si
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si possa arrivare con un piccolo sonetto, Vincenzo?» ¶ «Ho
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Tanucci, pensa a costituire un’Accademia di Palazzo, composta
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riusciamo a ficcarci dentro un po’ dei nostri... Fra
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legislazione.» ¶ «E tu?» chiese, un po’ polemica. «Tu di
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dai da fare, scrivi un sonetto, un epitalamio... E
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fare, scrivi un sonetto, un epitalamio... E lo mandiamo
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al Grande Archivio, è un idiota. Fa persino schifo
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anni sta buttato in un dondolo a bere anice
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vivevano in venti dentro un letto, o svolazzavano per
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parlava grasso. ¶ Però era un fatto che nella Salata
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Rosario di Palazzo esisteva un’infinità di bordelli. Non
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pendevano lanterne rossastre con un numero, davanti a molti
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gusto del congiungersi a un uomo il corpo stesso
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di Belforte. ¶ La fulminò un’assurda notizia, sgorgata a
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gambe, provò a immaginarsi un corpo estraneo dentro: così
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vero, dolce, sottile, anche un po’ ansioso: temperare la
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da Vincenzo. Venne fuori un «Tempio della gloria», epitalamio
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atto di far stampare un proprio scritto, varcasse l
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ci si assume stampando un proprio scritto. O è
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nuove: padre Kilian Caracciolo, un teologo allampanato e grigio
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certo. Ma questa è un’altra cosa. L’Arcadia
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cui uscivano braccia pelose. Un altro, obeso e basso
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obeso e basso, portava un cappellino a merletti e
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sconvenienti e ridicole a un certo punto divennero attraenti
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via, aggrondato. ¶ «Scusami» disse, un po’ ansante. «Volevi conoscer
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Napoli...» ¶ S’interruppe. Da un lurido portoncino nero su
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nero su cui pendeva un vaso di gerani rossi
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vecchia s’affacciò a un finestrino, gridò: «Tornate ampresso
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via, a momenti urtavano un gruppo di militari con
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non alta né bassa, un po’ forte ai fianchi
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per stupore infantile, disse un giorno Vincenzo. E la
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respirava in aria, da un capo all’altro della
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spartire pensieri, emozioni con un uomo caro, di sperimentare
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il misterioso aprirsi per un figlio, le pareva tenue
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il fare della gente. Un vivere strano: in bilico
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in casa Serra capitò un piccolo, smilzo cadetto dell
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studi di legge. D’un tratto la piantò in
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ottenne una sera da un cadetto della marina reale
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azzurra, ciocca bionda su un occhio. Poi Caracciolo fissò
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famiglie. Eleonora Fusco aveva un bel maritone, due o
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tre figli, ma anche un esercito di camerieri in
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1986
di camerieri in polpe, un numero indefinito di serventi
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nulla. Era necessario sposare un uomo di posizione ragguardevole
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re le avrebbe assegnato un vitalizio. Occorreva darsi da
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dove bisognava chiudere dentro un settenario quell’“Olcesamante” che
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1986
era di per sé un quinario, come “Epolnifenora” un
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un quinario, come “Epolnifenora” un senario. Alla fine aveva
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1986
avuto l’idea, copiata un po’ dal Martelli, di
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addosso, anche mentre recitava un bel sonetto a coda
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coda che finiva ¶ E un dì voi sola mostrerete
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nuova accademica. Lei era un po’ preoccupata, si guardava
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di Belmonte Pignatelli, con un bellissimo abito di tulle
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Parigi, buccoli alla nuca. Un giro di diamanti metteva
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per l’arrivo di un ospite importante, tentò invano
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dame, poi si trascinò un bel gruppetto nel salone
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brunetta dai denti bianchi un po’ sporgenti, bel petto
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regina...». ¶ Gli aveva chiesto un paio di volte: «Cosa
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disprezzo chiamò: «Lenòr. Permettetemi un momento, signori». ¶ La guidò
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esclamò, offesa. Lui ebbe un sorriso stento, ripeté, con
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décidé d’abandonner Orphée? Un sorbetto per rinfrescarti il
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a Chiara Spinelli. In un angolo vide Pagano, pallido
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aggiunse: «Domandate a Galiani». ¶ Un coretto schizzinoso squillò: «Mon
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Lei lo sfotte su un passo del Nuovo Testamento
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nuova regina. ¶ «Dicono sia un caratterino: prepotente, ambiziosa.» «Elle
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sue manie: a ficcarsi un paio di guanti sull
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Pauvre garçon» dissero alcune, un’altra domandò: «E Tanucci
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età, ha fatto fare un timbro con la firma
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Giordano la coltivava da un pezzo. Pareva nervoso per
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proseguì a gran voce un discorso già iniziato: «Certo
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se dovessero vivere per un giorno da lazzari morirebbero
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fuori causa. Io sono un nobile morto di fame
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a Sarno, per spremere un po’ di rendita e
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perché non so fare un bel nulla. Allora m
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sapete pensare.» ¶ «Allora ho un avvenire» sorrise. «Mah. Forse
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della borghesia. Come vedete, un pregio lo possiedo: quello
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con allegra aria materna, un po’ civetta. «Siete vanitoso
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Probabilmente si sente anche un po’ sola». ¶ Ascoltava raccolta
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di Cuma. Potrei predirvi un brillante avvenire di letterata
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Qui è difficile conquistarsi un privilegio. Chi l’ha
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s’occuperebbe di manifattura, un’altra di commercio, una
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so, l’intervento d’un notaio, le cure d
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notaio, le cure d’un medico. Insegnamento nelle scuole
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deve mantenere Napoli? Fate un conto: abbiamo più di
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pollice e indice d’un piede. ¶ In certe baracchette
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Ma più orgogliosi d’un re. Forse perciò vanno
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banchina con in punta un castello arido, giallo, come
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di stoffa rossa con un pomo di legno: per
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i piedi, s’inarcavano. ¶ Un uomo in berretto azzurro
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scogliera su cui sorgeva un gran palazzo rosa. I
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di cent’anni fa un viceré, il duca di
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di Pollione» spiegò Vincenzo, un po’ stordito anche lui
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verso il sole, contro un promontorio celeste che forse
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barca doppiò, entrò in un regno di quiete bionda
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d’oro, scintillante sopra un’acqua perduta in trasparenza
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rossa. ¶ 2 ¶ Al Mercato andarono un’arida mattina d’estate
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formaggi, cuoi, verdure, vino, un po’ come a Ripetta
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della strada palazzi d’un brutto giallo sbavato, poi
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e marmi bianchi: formavano un disegno regolare, possente. Sull
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in una cattedrale. O un camposanto. ¶ Una piazza ovale
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cercò riparo dove sorgeva un palco, vestito di lercio
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ergeva al cielo arroventato un’altissima antenna a forma
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Lei mormorò: «Credo sia un patibolo». ¶ «Sì. La forca
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domandò, sgomenta. Egli annuì. ¶ «Un paio di volte. Vidi
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di volte. Vidi impiccare un carrozziere del Pendino che
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abusato d’una bambina. Un’altra volta vidi decapitare
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altra volta vidi decapitare un marchese. I nobili han
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con la testa mozza. Un marchese pazzo: aveva avvelenato
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Indicò in alto, da un lato della piazza, un
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un lato della piazza, un bel campanile bianco e
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lo Svevo.» ¶ Sgusciarono in un vicolo. ¶ Non come Santa
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enormi capezzoli neri. ¶ Davanti un basso un calderaio gonfio
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neri. ¶ Davanti un basso un calderaio gonfio, sudato, interamente
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1986
interamente nudo, teneva acceso un fuoco di carbone per
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mal di testa. In un angolo una donna grassa
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maniera lubrica. ¶ Allibì a un’occhiata nel basso della
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terra, sotto la porta, un pagliericcio sformato e sporco
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tirandosi dietro cani, galline, un porco. Dalle case schizzarono
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i molti che da un po’ componeva. Già a
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favolette alla Fedro, poi un diariuccio che trovò presto
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lei non osava rammentarglielo. Un giorno trovò coraggio per
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1986
S’era sbirciata, sempre un po’ colpevole. Pareva che
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alla fine mamãe mise un abito della gioventù, nel
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c’era, e come!, un mondo così. Ne coglieva
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1986
se avesse potuto fare un matrimonio di rilievo... Scuoteva
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di saltare, correre, danzare. Un’allegra tiritera che lei
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1986
rolliane, vittorelliane, metastasiane. In un sonetto rievocò il fugace
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1986
settimana. Lo raccoglieva in un quaderno dalla coperta in
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procurato altre opere moderne: un libro della collana «Rime
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1986
Rime» pubblicata dall’Arcadia, un curioso volumetto dal titolo
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1986
Titìo allora le portò un altro libro, vecchio d
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1986
altro libro, vecchio d’un secolo, ma che l
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l’appassionò più d’un romanzo: le Conversazioni sulla
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grado di leggere d’un fiato, come quelli italiani
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1986
comigo.» ¶ Nel salotto aria un po’ pesante per il
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1986
quello dei sigaretti che un paio dei convenuti andavano
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1986
tubo. Parlava fitto con un altro, bassino, rado di
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1986
parrucca e sarebbe stato un peccato nascondere i bei
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1986
oro comperato apposta, vovó un po’ stanca ma contenta
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1986
ma contenta chiacchierava con un giovanotto malvestito, dall’aria
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1986
piedi dietro il canapè un ragazzo smilzo, bruttino, sorriso
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1986
titìo e altri due: un abatino magro, silenzioso, un
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1986
un abatino magro, silenzioso, un signore anziano, occhialuto. Quando
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Mendes» intervenne Meola con un inchino verso vovó, la
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1986
vovó, la quale caricò un sorriso di sussiego. ¶ «Ma
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1986
ci riuscì soltanto per un attimo. Scappò a pigliare
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1986
il cuore a sbalzi. ¶ Un attimo di silenzio. Le
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1986
a Fontenelle. C’è un’infinità d’autori moderni
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1986
contraddizione in cui manco un bambino cadrebbe. La verità
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1986
discorso s’accese, coinvolgendo un po’ tutti. Jeròcades, invece
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1986
ne prego.» ¶ «Non ora. Un giorno, forse» disse lui
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1986
in secondo luogo provava un pizzico eccitante di vanità
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1986
Bussarono alla porta. Apparve un signore di circa trent
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1986
anni, alto, elegante, con un bel solino e la
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1986
lazzarone quando si compra un rotolo di fichi! E
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1986
ch’è figlio d’un fruttivendolo: oggi esiste, nel
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1986
ammirazione. ¶ «È il migliore. Un medico famoso, nonostante non
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1986
E Conforti?» ¶ Titìo sorrise, un po’ evasivo. ¶ «Conforti è
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1986
e fede. Sta preparando un libro, per la laurea
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1986
Perché nuovi teologi?» ¶ «È un po’ difficile spiegarti, Lenòr
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1986
a cena.» ¶ I profili un po’ agiografici tracciati da
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1986
è molto attraente, mentre un altro, di cui non
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1986
così ed era stato un bene: si sentirono liberi
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1986
si è legati da un’idea, una religione: questo
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1986
persone, guardò Vincenzo come un mago. ¶ «Cirillo, invece,» proseguì
240
1986
di lei «è soprattutto un debole. Non vuole inimicarsi
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1986
più possibile avanzare d’un palmo. Mille carrozze, alcune
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1986
Una piazza bellissima. Da un lato vi splendeva, al
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1986
gigli d’oro. Accanto, un altro straordinario palazzo di
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1986
una scena di teatro: un colosso marmoreo tendeva il
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1986
tendeva il braccio verso un pendio verde, al mare
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1986
vetturino la spinse verso un vicolo. S’entrò in
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1986
d’una terribile salita, un budello tra palazzi in
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1986
disperatamente martinicca. ¶ Vide in un angolo un uomo che
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1986
Vide in un angolo un uomo che vomitava, per
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1986
uomo che vomitava, per un attimo temé le ruote
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1986
una, spaventata, intravide su un paglione un vecchio seminudo
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1986
intravide su un paglione un vecchio seminudo, bianco, la
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1986
casa mangiavano tranquilli su un tavolino accanto, al lume
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1986
giara. ¶ Poi momento drammatico: un’altra carrozza scendeva, con
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1986
schizzata dai terranei. In un attimo s’ammassò un
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1986
un attimo s’ammassò un popolo che aiutava, beffeggiava
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1986
lei poté toccare con un dito quella pietra nerastra
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1986
si disciolse. ¶ Giunsero a un punto in cui il
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1986
il vicolo ne tagliava un altro. Un piccolo slargo
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1986
ne tagliava un altro. Un piccolo slargo, dove c
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1986
gradinata davanti la chiesa un uomo scalzo, sbrindellato, fascia
262
1986
quei foschi palazzi, scorsero un ometto vestito da nobile
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1986
neri e polpe bianche, un altro accanto a lui
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1986
terranei abitavano e lavoravano un doratore, un tapezziere, un
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1986
e lavoravano un doratore, un tapezziere, un ebanista intagliatore
266
1986
un doratore, un tapezziere, un ebanista intagliatore; in quello
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1986
Ciascuna stanza dava in un ballatoio sul cortile e
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sul cortile e possedeva un balconcino all’esterno. Dai
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1986
panni, che garrivano a un piccolo vento marinaro. La
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1986
erbe, verdure, frutta. ¶ Vide un continuo, lento salire d
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1986
buttare, perfino ignote, come un’insalatina riccia dal cuore
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che si chiamava scarola, un’altra dalle foglie come
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vendevano grandi ruote d’un pane simile a quello
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i vetri madidi d’un balcone, osservava il cupo
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selciato di chiazze nauseabonde. Un ragazzo sui sedici anni
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andava scalzo, armato d’un coppino di legno. Dava
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Dava una bella voce, un po’ accorata, modulata sulle
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vuotava i piccoli in un buco al sommo della
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nella chioma sparsa: d’un tratto levò la mano
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ricominciava. Si vide infine un meraviglioso tuppo a cèrcine
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Veniva da quei terranei un sentore piacevole di trementina
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in trine di Spagna. ¶ Un giorno vide il re
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Nuova. Il re era un ragazzo sui tredici anni
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A fianco gli sedeva un signore grosso, inespressivo, gran
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rimase impresso anche per un altro motivo. Mentre tornava
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le fece impressione pessima. Un uomo di mezza età
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s’ebbe con regolarità un salotto del sabato. Vovó
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spese, in verità modeste: un poco di caffè, biscotti
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nella diligenza stava entrando un pulviscolo d’insetti, leggero
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coprì il viso con un fazzoletto. ¶ Ora la diligenza
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diradarsi di canne. D’un tratto il sole folgorò
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a destra non è un’isola. È il promontorio
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direzione del Circeo, bordeggiava un grande veliero con le
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costiera per inoltrarsi in un viottolo sconnesso che saliva
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pinastri, cedri. Lontano luccicò un lago, proprio mentre la
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torre, su cui garriva un bandierone bianco, a gigli
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rosse. ¶ «Don Nico’!» disse un caporale, avvicinandosi alla diligenza
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sostenerla. ¶ «Grazie» disse lei. Un po’ mortificata, si giustificò
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pure la cadenza dolce, un po’ stanca. Mentre il
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brucavano i cavalli. ¶ Qui un soldato, minacciandoli in modo
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la baionetta, proruppe in un torrente di torve parole
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le cadenze: la s un po’ strisciata di “statte
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si vergognava. Poi trovò un trucco, esclamò a Miguelzinho
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traversato Fondi, poi Itri, un paese arroccato su monti
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sotto l’arco d’un acquedotto romano ricoperto d
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soffice, pastosa in bocca. Un po’ salato, mentre a
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campagna andava facendosi bellissima: un’armonia di terre amorosamente
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cavalli e postiglione, subentrò un grosso, spettinato cocchiere napoletano
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la fatata apparizione d’un solitario palazzo dalle mille
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verdazzurra. Dalla cima d’un monte scintillava il nastro
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riverbero rossastro che da un po’ si vedeva all
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invividiva nell’oscurità. ¶ D’un tratto sentì l’avvicinarsi
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sentì l’avvicinarsi d’un abitato grande. S’addensavano
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morta, sulla fiancata d’un carro. Reggeva un tamburello
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d’un carro. Reggeva un tamburello con sonagli d
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dové poi accodarsi a un protervo carroccio che si
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contadini paonazzi. Uno manovrava un curioso strumento: una pentolona
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entro la quale, per un foro, l’uomo mandava
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mandava su e giù un tronchetto, con sordo, cupo
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molto volgari. Lei ebbe un po’ di paura, ma
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di luce sanguigna. In un luogo del cielo carico
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era più intenso, gonfiava un ombrello di grigi vapori
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del tutto vera. Ma un pochino fantastica, e potesse
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e potesse sparire da un momento all’altro. ¶ Man
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e clamore aumentavano. Ormai un inferno di carri contadini
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maschere. ¶ La dogana era un edificio giallo, cinto da
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sparve. Di lì a un istante titìo venne assalito
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al cocchiere. Questi era un vecchio magrissimo, occhi caldi
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collina fitta d’alberi un solitario palazzone bianco, con
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tentavano di farsi strada. ¶ Un urlìo continuo, ritmato incessantemente
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rissosa e ingorda. ¶ Vide un uomo con sudicio berretto
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che bolliva maccheroni su un fornello quasi in mezzo
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senza far cadere neppure un filo della pasta, che
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vi versava acqua da un orcio, sventolava il fornello
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scoperchiare i vapori d’un’altra marmitta, gettava il
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aperta sulla guancia, lanciava un richiamo acuto, lamentevole, però
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corde. Era attraccato a un pontile per due gomene
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sarebbero bastati una voce, un frullo degli ormeggi e
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era nata la convinzione un po’ paurosa che i
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S’ammazzano per raccogliere un pezzetto di quelle carte
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di tutta la tribù. Un giorno, tuttavia, avrebbe capito
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la discesa, avevano incontrato un caprettaro col suo armento
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chiedere il nome d’un oggetto, il senso d
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si sarebbero trovati dentro un’antica, candida città, simile
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aveva dovuto chiedere a un contadino il permesso di
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il permesso di traversare un orto fitto di cavoli
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cavoli: infine, lontano contro un cielo bianco, il Colosseo
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ferito, indifferente, questo sì un Romano antico. E però
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da protervi, selvatici cespugli. Un eroe caduto. Ai suoi
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botanica, purché si trovasse un precettore valente, cosa poco
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lasciamoci aggredire all’improvviso un’altra volta». ¶ «Ci sono
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al posto loro. Sarà un bene per tutti.» ¶ «Anche
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aria maliziosa. ¶ «Tu sei un abate ben diverso. Sei
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Per favore» intervenne papài, un po’ aspro. «Intanto sarà
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il nuovo re è un bambino...» ¶ «Est-il vrai
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Charles de Bourbon était un pauvre fou?» riprese vovó
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Papài la sbrigò con un secco: «Mais oui» e
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due viceré di Napoli, un consigliere di Carlo V
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nostre patenti non varranno un bel nulla a Napoli
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farà riconoscere. E anche un Grande di Spagna, senza
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di cocomero, a quello un po’ acre sprigionato dai
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s’obbligò a recitare un atto di contrizione. ¶ «Meu
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sui bottoni che da un po’ le gonfiavano sul
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quel suo piccolo padre un po’ chiuso e solitario
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solitario, ma dolce, rigoroso. Un giorno avrebbe parlato con
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persona che deve costruirsi un paese al quale affezionarsi
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quale affezionarsi, dove disegnarsi un futuro. Poi, mentre stai
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figurarla. C’era anche un monte, il famoso vulcano
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esse quella bruna d’un monte, in cima al
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guizzavano linguacce di fuoco. Un po’ sinistre, agitate dal
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che a Napoli esisteva un re, chissà che faccia
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José Primeiro, carico di un’enorme parrucca bianca a
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Il nuovo re è un bambino», allora cancellò ogni
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questo bambino re per un giardino. O giocare a
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giocare a volano. ¶ Per un po’ le parve che
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rosso, in testa calzava un’enorme corona di latta
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settembre. Eccitati i giovanissimi, un po’ svogliati, cupi, i
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cupi, i grandi. ¶ Era un po’ stordita, per la
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Tra poco arriveremo in un paese che sorge dov
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è così bello che un uomo abbia una patria
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morire per essa. Mandò un bacio mentale a quel
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mano il cielo perdeva un po’ dei propri colori
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cercava di rinfrescarla con un panno bagnato. ¶ 5 ¶ Meu Deus
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uguale, monotona, infelice. D’un tratto vide con stupore
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Divenne improvvisamente brusco, come un tempo. ¶ «Son cambiate tante
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E poi, ha incontrato un uomo eccezionale, adatto a
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amica». ¶ Con mesto sorriso, un po’ vero un po
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sorriso, un po’ vero un po’ falso, concluse: «A
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re le aveva concesso un sussidio. Era anche arrivata
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stata sposata. Ho avuto un figlio. Che è morto
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Ci volle tenera e un po’ malata pazienza per
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abitudine di portare regalini (un fazzoletto nuovo, della frutta
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se squadra con aria un po’ sfrontata gli uomini
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nume tutelare: vigila come un mastino napoletano, sgrida Graziella
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d’oro, che illeggiadrisce un angolo. ¶ La nuova condizione
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impegno da stremarla, senza un minuto per abbandonarsi ai
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Con una poesia stampata, un piccolo libro, passi sì
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aspettavano dimenticano. Sparisci: sei un nome e cognome, un
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un nome e cognome, un po’ di carta, un
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un po’ di carta, un fantasma. Per quest’altre
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no: ti vedono, sei un corpo, una persona. Occupi
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nel mondo che conta, un tuo silenzio è politico
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delle tue parole. Sei un punto di riferimento: come
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sillabe, drammatizzare. È diventato un Dio. Dopo il trionfo
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di Molfetta. ¶ Guarda con un sospiro la cartella di
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verde non ci sarà un mondo nuovo, ma nel
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la semplice traduzione d’un vecchio libro scritto in
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latino qui può diventare un’arma. In quel Nullum
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si trovan cose straordinarie. ¶ «Un regno è amministrazione e
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ma ardita sì. Comunque un bel pezzo di...» ¶ «Putain
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re: il primo è un être nul, la seconda
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comédienne lubrique, il terzo un gredin. Un furfante!» ¶ Risate
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il terzo un gredin. Un furfante!» ¶ Risate. «Il a
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Confesso che ne ho un po’ di timore. Noi
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ambizioni”, aveva in mente un Regno che per prima
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è la mia teoria? Un giorno o l’altro
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feudatari anche lì. Forse un po’ meno preti». ¶ «Ha
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po’ meno preti». ¶ «Ha un esercito potente, sta creando
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sta creando a forza un’industria.» ¶ «Io non credo
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risolvere i problemi d’un’economia forzata, devono fare
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I quali non risolveranno un bel niente» s’accende
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Ce n’est pas un problème économique, mais politique
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di Napoli o di un altro re. Bisogna eliminare
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scarsi risultati, Carlo Lauberg, un pezzo d’uomo stempiato
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chimica all’Università, possiede un laboratorio in Santa Caterina
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dei rivoluzionari di Francia, un ex prete o un
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un ex prete o un ex galeotto. Appare, in
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galeotto. Appare, in verità, un compito gentiluomo, dagli occhi
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compito gentiluomo, dagli occhi un po’ inquietanti. Discorre d
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annoiata. «E poi, avete un bel dire, voi. Ils
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ugualmente. ¶ Saranno il tono un po’ frivolo con cui
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far. Da quanto tempo un uomo non vi caressa
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lettere del vecchio, dolce, un po’ vanesio amico. Se
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Pietro. Proprio tutti morti. ¶ Un sobbalzo, si getta al
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all’alba. ¶ PARTE OTTAVA ¶ 1 ¶ Un giorno della primavera nuova
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voler prendere in mano un libro, un giornale, una
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in mano un libro, un giornale, una penna? Il
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sotto una cuffia o un fazzoletto? Il portare sempre
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fino alle midolla. ¶ Ebbe un piccolo brivido. Toccò i
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Andò allo specchio. Per un attimo ci vide un
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un attimo ci vide un barlume di mamãe, forse
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di Roma, aveva incaricato un suo amico di Napoli
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A che pro? Fra un certo numero d’anni
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dobbiamo coltivare il giardino. Un giorno, grazie al nostro
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necessarie. Mise al collo un nastrino di velluto giallo
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la maretta. ¶ Sedettero su un sedile di bardiglio, sotto
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grige. ¶ Vincenzo indicò, sorridendo, un paio di damerini abbigliati
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Lo farò. Ma dammi un po’ di tempo. Sapessi
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falso. O si trova un modo nuovo... Forte, drammatico
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scegli. Noi viviamo in un caos, del quale non
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vedo null’altro che un mostro il quale eternamente
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1986
pensato anch’io, almeno un paio di volte. Ero
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per gente vista in un lampo. Quasi tutto dipendesse
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Deve dare vita.» ¶ Rispose, un po’ dura: «Adesso io
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palazzotto del marchese Sifola, un edificio grigio chiaro, decoroso
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chiaro, decoroso. Nel cortiletto un piccolo giardino che il
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camere grandi, per ottenere un saloncino, nella zona più
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1986
in noce pei libri, un tavolino bianco a fregi
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carte. Nell’altro vano un divanetto, sedie. Quando fosse
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papài ci avrebbe messo un trumeaux, magari un clavicembalo
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messo un trumeaux, magari un clavicembalo. Fece incorniciare ritratti
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stanza rimanente il letto, un tavolino, cianfrusaglie. La cucina
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lettino di Graziella, in un angolo. ¶ Graziella era una
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a San Matteo, in un basso-bordello, dove vivevano
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dove vivevano nel sudiciume un vecchio, una vecchia, tre
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Cane s’accontentò d’un ducato e mezzo al
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Naso de Cane spedì un ragazzino col messaggio: «Se
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non rispondeva, torva. D’un tratto scappò in cucina
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improvvisa. Afferrò Graziella per un braccio. ¶ «Grazie’» disse, con
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di peste ereditaria? Per un attimo le venne idea
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aria stanca. Era ormai un grand’uomo, un punto
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ormai un grand’uomo, un punto di riferimento: i
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Astore, Delfico, Lauberg e un gruppo di ragazzi appassionati
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senza denti. Prendendola a un braccio, bofonchiò: «Avete fatto
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anima» disse, traendola in un canto. «Io non sono
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avesse questo.» ¶ Con aria un po’ torva, continuò: «Sono
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le mani, tremando, d’un tratto bisbigliò cupamente, senza
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al Ponte di Tappia. Un’opera scritta con Cimarosa
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vedere.» ¶ Esitò, sorrise. ¶ «Sei un po’ sciupata. Ma ti
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piena di forestieri...» ¶ «Ah, un incanto. Scrivi ancora, Lenòr
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vergogna per te. È un onore. Eleonora!» ¶ Non sapeva
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era svanita, lasciandole spossatezza un po’ delusa ma, al
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di Palazzo, illuminata da un lumicino a petrolio, accanto
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a petrolio, accanto a un letto nero nel quale
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le guance di Miguelzinho un po’ ispide, ossute. ¶ «Se
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traccia nel letto. Esiguo, un nulla: quanto peserà? Il
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spaventosi. Si può bruciare un’esistenza in soli quattro
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abbandonato il marito. ¶ Ha un guizzo di commozione verso
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quelli. Che annullano in un attimo il tepore vuoto
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ventre a cupola, teso. Un piacere che la ripagava
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sospeso, quasi ad ascoltarne un segnale, uno fra i
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sta bene, ha assorbito un veleno da me. ¶ Uno
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non più grande d’un pugno. Scacciano il ricordo
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mi proteggerai». ¶ Aveva finalmente un volto, dai tratti minutissimi
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tratti minutissimi, chiuso in un arcano silenzio, forse tuttora
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arcano silenzio, forse tuttora un po’ partecipe del mondo
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apre gli occhi, emette un gemito. ¶ Ormai non parla
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provata contro i Tria: un altro regalo di quella
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crede di capire. Ha un brivido, si mette a
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Meu Deus, il pranzo! Un tormento anche quello, fin