Giovan Battista Marino, La sampogna, 1620

inaccessibili e riposti. ¶ Giunse alfin là, dove il Tiranno

tolta, ¶ del fragil velo alfin nuda, e disciolta, ¶ un

cervo mutato ¶ non fossi alfin da' tuoi voraci cani

Autonoe meschina, ¶ messaggiera dolente, alfin ne venne. ¶ Non raccontò

e scherno ¶ gli disse alfin l'ingiuriata Dea: ¶ "Che

orme ¶ dele fere fugaci, alfin fermossi. ¶ Ne la valle

al piano. ¶ E quivi alfin m'aveggio ¶ dela trasfigurata

sfortunato? ¶ Con quell'ingegno alfin, che del'umano, ¶ per

il naufragio m'attende, ¶ alfin colà trepidamente arrivo; ¶ e

sotto il rabbioso assalto alfin mi stendo. ¶ Ecco intanto

malvage fere, ¶ s'esser alfin devea ¶ da' miei cari

a parte a parte alfin da' miei ¶ divoratori immansueti

s'abbandona e tramore, alfin si leva. ¶ Di novo

questa mano ¶ l'ufficio alfin s'usurpi ¶ dela Parca

il novo foco; ¶ ond'alfin persuasa ella s'accende

pungenti, ¶ quasi rapido pesce alfin guizzando, ¶ entra ne l

ella ¶ quando non vide alfin che stelle et onde

Così dicendo, a Creta alfin pervenne, ¶ dove deposto il

dolente ¶ ecco rapidamente è alfin rapita; ¶ e portata a

quasi da grave sonno alfin riscosso, ¶ in fioca voce

fil linea infinita. ¶ Mancando alfin la vita ¶ poco ho

disse più, però ch'alfin s'accorse ¶ esser cangiata

su l'omero, ¶ quando alfin stanca e sbigottita e

et eccolo ¶ ch'assiso alfin là dove l'onda

parlar al garzone, ¶ ecco alfin lo ritrova ¶ dove lo

loro ultima doglia ¶ presero alfin partito ¶ di trovarsi soletti

spruzzata ha la gonna. ¶ Alfin dal prato sorge ¶ furiosa

sole. ¶ Filaura ¶ (È forza, alfin, ch'io sodisfaccia a

rigor del tuo fasto ¶ alfin riporta e coglie ¶ (e

sozza e vil cosa alfin si gitta. ¶ Mentre la

del'altro che serbato, alfin si guasta. ¶ Se bene

quattro e quattr'agne; alfin l'ebbe Aristeo. ¶ Questi

ier dietro mi corse; ¶ alfin di scorno accesa e