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invenzioni verbali


Giacomo Leopardi, Paralipomeni della Batracomiomachia, 1842

concordanze di «ch»

nautoretestoannoconcordanza
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conosciuti, ¶ Come volle colui ch'a tutti è padre
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immantinente ¶ La via ricominciò ch'avea fornita, ¶ Né fermo
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o fosse ardimento, ovver ch'al mondo ¶ Vinta dalla
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con tutto il lido: ¶ Ch'era d'intorno intorno
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E la zanzara stridula, ch'uscia ¶ Di mezzo la
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furon costrette: ¶ Dura necessità, ch'uomini e fere ¶ Per
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E del goffo stranier, ch'oggi presume ¶ Lei dispregiar
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esser fanciulla ¶ Verso colei ch'ogni grandezza eccede; ¶ E
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tornar vorrebbe in vita ¶ Ch'all'italico onor prestare
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cacciando. ¶ Ed è ragion ch'a una grandezza tale
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nel Latino. ¶ 39 ¶ La biblioteca ch'ebbe, era guernita ¶ Di
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nastri ed ogni circostanza, ¶ Ch'a saldar della veste
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ricusò l'uffizio, ancor ch'astretto ¶ Quindi a gran
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futura ¶ La vista sua, ch'or tutto l'altro
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granchi, il qual fugate ¶ Ch'ebbe de' topi le
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fu celato ¶ Al conte, ch'oltre al far più
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di tutti quanti, ¶ Tal ch'era nelle lingue un
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dolci detti, ¶ Né sapean ch'altra gente i propri
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General non gli concesse ¶ Ch'a strigarlo imprendessero i
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al conte: Per guardar ch'io faccia, ¶ Legittimo potere
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un animal più forte, ¶ Ch'a un altro ancor
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nazion de' granchi e ch'attendesse ¶ A guardar se
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arte. ¶ Nota, saggio lettor, ch'io non so punto
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Dove i casi seguìr ch'io pongo in rima
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Veduto avreste quel di ch'io favello, ¶ Del polito
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cacume ¶ Fondato solidissimo castello. ¶ Ch'al margine affacciato oltre
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danno ¶ Più non bisogneria ch'uom si servisse, ¶ E
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d'ogni affanno ¶ Pompei, ch'ad ugual sorte il
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e d'ira, ¶ Di ch'ebbe sempre assai, ma
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pria non si quetasse ¶ Ch'ogni estremo parea che
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in pubblico proporre, ¶ Sì ch'ai rischi di fuor
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Altro da somigliar non ch'altro uguale, ¶ Quanto or
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è beato ¶ Il deserto ch'io dico in alcun
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in mente avrete accolto, ¶ Ch'essere io deggia o
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ragionar diritta e sana ¶ Ch'a priori in iscola
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molte ¶ Cure il saper ch'a noi l'età
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in effetto, ¶ Né pensiam ch'un assurdo il mondo
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il novello signor giurato ch'ebbe ¶ Servar esso e
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e viva Rodipane, ¶ Tal ch'eccheggiando quell'alpestre volta
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tornàr, liete le notti, ¶ Ch'ambo sovente illuminar con
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favor né dono, ¶ Fuor ch'esser franca, l'è
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statuto, ¶ Che il poter ch'era in lui senza
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come ben sai, ¶ Altro ch'a' re non s
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nessuno o ne' diademi, ¶ Ch'essi non fer, ma
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Non volea questo dir ch'eletto a punto ¶ Fosse
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chioma ¶ Legittimo farà quel ch'è bastardo, ¶ Che legittimità
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soldati, ¶ Per quel voler ch'ogni volere sforza ¶ Del
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di sopra io ricordai, ¶ Ch'or limpido e brillando
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culta. ¶ Alla bellezza tua ch'ogni altra eccede, ¶ O
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castello eran signori, ¶ E ch'or più faci al
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di fuori, ¶ Indovinàr quel ch'era, e fatti arditi
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nel vero ¶ Quel ranocchin ch'egli avea seco a
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esule e com'un ch'era discaro ¶ Al re
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al baron Camminatorto, ¶ E ch'alfabeto e popolo avea
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d'una finestra uscia ¶ Ch'abitata ella fosse anco
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nostra insin dalla stagion ch'io canto. ¶ Ma per
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avuto in corte. ¶ Cenato ch'ebbe, il dimandò del
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ricusolli il conte. ¶ 43 ¶ Dicendo, ch'oltre al non poter
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intento saria vano affatto ¶ Ch'egli ad ogni altro
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qual va lunge un ch'arti prave adopra. ¶ Lodò
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tutto e tralucente ¶ Promettea ch'un bel dì fora
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animali eterno, ¶ Il qual ch'eterno fosse al par
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sua per modo tale ¶ Ch'all'altra assurdo sia
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luogo eletto ¶ Di poi, ch'anco fioriro, anco atterrolle
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allor, non eran quelle ¶ Ch'al terren l'adeguaro
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tempo era abitata, ¶ Italia ch'al finir dell'ammiranda
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volanti amici ¶ Parve quella ch'eterna ivi distilla ¶ Nebbia
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quella bocca ¶ Prendea ciascun ch'alla sua specie tocca
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Ma lo spirto immortal ch'indi si sferra ¶ Non
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il riscosse, e rigirata ¶ Ch'ebbero in parte la
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al topo ogni avventura, ¶ Ch'or gli ridisse, e
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non avea lucerna accesa, ¶ Ch'ai topi per veder
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i morti aver quel ch'alla vita è degno
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arnesi a qualsivoglia ¶ Arte ch'egli adoprasse appartenenti, ¶ Massime
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ebbe l'avello. ¶ Poi ch'una fila è piena
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qua niente importa. ¶ 23 ¶ Narrato ch'ebbe alla distesa il
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trovasse via, ¶ Che poi ch'entrar della terrestre mole
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l'attendeva, ¶ E poi ch'alquanto ragionando seco ¶ Di
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intento ¶ I due lumi ch'ha sempre il nostro