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il corpus scripta


esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

concordanze di «d»

nautoretestoannoconcordanza
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anno che lo tengo d’occhio e quando posso
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che è la Madonna d’agosto. Tanto meglio, il
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di sambuchi, sempre asciutta d’estate. ¶ Nuto mi ha
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avevo trovato una pentola d’oro sotto la pila
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faccia in un secchio d’acqua e magari buttarsi
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raccontava alla Mora, cene d’altri paesi e d
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d’altri paesi e d’altri tempi. Ma i
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che segnavano quel filo d’acqua, e davanti la
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sull’erba, di andare d’accordo coi rospi, di
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Nemmeno per la Madonna d’agosto Nuto ha voluto
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che non sapevo piú d’avere addosso. Cosí mi
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dall’Angelo e tener d’occhio le campagne; quasi
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riva, di mele marce, d’erba secca e di
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non muoveva la gamba. D’improvviso mi ricordai quante
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mettevo gli zoccoli soltanto d’inverno. Mi ricordai come
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avere aspettato nelle giornate d’inverno un po’ di
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quel gusto, quel colore d’allora. ¶ Gli feci dire
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uomini avevano la catena d’oro al gilè e
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sulle aie, e giocavamo, d’estate, alla settimana; d
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d’estate, alla settimana; d’inverno, alla trottola sul
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la portavo in pastura. D’inverno quando non passavano
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parlavano. Subito li richiuse, d’istinto, e negò di
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capitozzo i rami rossi d’un salice. Come sempre
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portava dell’acqua, che d’estate faceva pozza. ¶ Gli
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manca solo un po’ d’acqua. ¶ – Qualcosa manca sempre
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in cima. Mi parve d’essere un ragazzo venuto
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mele, di pesche, che d’estate hanno foglie rosse
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la pila dei marenghi d’oro sul tavolo e
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delle albere avevano odore d’acqua corrente. ¶ – Non vai
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su come una pianta, d’invecchiare come una donna
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correre la capra, quando d’inverno rompevo con rabbia
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sempre chiuse quand’io d’inverno correvo a scuola
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un bastone dal pomo d’argento. Con me attaccò
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vigna mal tenuta, piena d’erba, e sopra, contro
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sarebbe finito in casa d’altri, perché ai mezzadri
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i ricchi, col nome d’ottone… ¶ – Piú lo svegli
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terra cotta dal sole d’agosto. Una vigna ben
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e cercavo un po’ d’erba. C’era il
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dir troppo. A perdita d’occhio una distesa grigia
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sale. Faceva freddo come d’inverno. Il sole era
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una situazione di guerriglia, d’illegalità, di sangue. Probabilmente
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dissi che non ero d’accordo. Mi chiesero come
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chiuse ma si mise d’attorno fu il parroco
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neanche dirglielo la placca d’ottone dal banco. – Il
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e s’erano messi d’accordo. Siccome non si
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sconfitto. In troppi comuni d’Italia ostentava ancora la
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nulla e strappava ciuffi d’erba secca. ¶ – Non c
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aveva cambiato. ¶ Le sere d’estate quando stavamo seduti
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intromise il parroco – quello d’allora, un vecchione dalle
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mi mandava a tenerli d’occhio, che zappassero, che
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bicchieri e una treccia d’aglio. ¶ Uscii quasi subito
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fuori Cinto col fagotto d’erba. Ci veniva incontro
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Nuto piaceva perché andavamo d’accordo e mi trattava
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uno grande; certe sere d’estate veniva a vegliare
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dove andavano a mettersi d’accordo quelli che volevano
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di rosso, meno alta d’Irene, ma tutt’e
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politica a metterli tutti d’accordo: c’era stata
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che picchiavano chi volevano, d’accordo coi carabinieri, e
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fossero bestie si metterebbero d’accordo e abbaierebbero addosso
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mai il tempo, e d’inverno la strada era
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bello, grosso, color castagna d’india, con due lame
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ponte, quelle lunghe sere d’estate, a guardare il
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il finimondo, di quelli d’estate, e gli guastava
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della Mora, quel pomeriggio d’agosto che tutti erano
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ci versai un po’ d’acquetta per fare il
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e suonava il clarino, d’estate andava per i
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suonava alla Stazione, soltanto d’inverno era sempre là
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tale a Calosso prima d’uscire metteva ai figli
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specchi, la schiena dritta d’Irene e le braccia
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suonano le bande, parlava d’altro, non era fatta
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di Canelli, la musica d’Irene ci stava, era
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zitto, e certi giorni d’estate, seduto a Belbo
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della frutta, le sere d’estate si sentiva baccano
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italiano con le pergole d’uva – a fancy place
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latte e di sugo d’arancia, e da me
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Irene e Silvia morissero d’andarci e non potessero
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L’anno prima capitava d’incontrare la carrozza della
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lampi e fulmini come d’agosto. Cirino e la
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gridando «Viva l’acqua d’Agliano» saltò a terra
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cosí. Poi i pomeriggi d’inverno lo fecero entrare
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che lei quel villano d’Arturo non l’avrebbe
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erano messe, nelle sere d’estate, a uscire dal
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finestre spalancate passavano ombre d’invitati – nessuno si fece
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non viene? – disse Silvia d’improvviso. ¶ – Nemmeno lui viene
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vada in un falò d’erbe secche e che
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rumore che sulle strade d’America non si sente
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fagioli, s’erano messi d’accordo guardandosi di brutto
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quasi viola, i boschi d’albere nella piana, il
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testa anche piú bella d’Irene. E Santina sapeva
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che dovessero sposarsi, sembrava d’accordo anche il sor
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denti e un anello d’oro. Una volta Silvia
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dir grazie la mattina, d’incontrare dei conoscenti che
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storie di Silvia e d’Irene alzò le spalle
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prestato qualcuno dei romanzi d’Irene, che una ragazza
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della Bella dai capelli d’oro, che dormiva come
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l’acqua alla mano d’Irene. Era sempre intorno
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per vedere uno scudo d’argento si caricavano un
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XXX. ¶ Ricordo una domenica d’estate – dei tempi che
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dietro, la testa bionda d’Irene. Parlavano tra loro
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amici. Io dovevo tener d’occhio il cavallo e
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parroco cercava di metterli d’accordo. Chi cantava, chi
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insegnargli a suonare. Restammo d’accordo che, se il
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valeva. Era piú bella d’Irene, aveva gli occhi
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lo dica, – fece Nuto d’improvviso senza levare gli
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dei signori, alle terme d’Acqui – non fosse stata
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sulla porta. Nuto teneva d’occhio le facce che
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anch’io la fine d’Irene, che baciassi la
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Ci fermammo in co’ d’una vigna, in una
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Abbiamo fatta questa strada d’oggi. Camminammo ch’era