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esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

concordanze di «dei»

nautoretestoannoconcordanza
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1950
magari era la figlia dei padroni di un palazzo
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erano cambiati; la macchia dei noccioli sparita, ridotta una
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terra, come i giovanotti dei miei tempi andavano sulle
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tempi andavano sulle feste dei paesi intorno, e ballavano
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e ascoltavo le chiacchiere dei perdigiorno di passaggio sullo
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le cornette, gli schianti dei fucili pneumatici. Stessi rumori
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i saltimbanchi, le allegrie dei paesi. ¶ Da un anno
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l’odore della strada, dei musicanti, delle ville di
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birocci e lo stallatico dei cavalli e dei buoi
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stallatico dei cavalli e dei buoi. – Chi pagava? – dicevo
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sapore, sentivo lo schiocco dei sarmenti rotti. ¶ – Tu ci
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giardinieri, piuttosto. Ci trovai dei piemontesi e mi seccai
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soltanto l’erba corta dei ciglioni, rovesciarla su quella
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musica, uguale, la voce dei rospi. Nora, impettita, gli
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dovuta rimandare la corsa dei cavalli, anche il parroco
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tante quante le voci dei rospi e dei grilli
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voci dei rospi e dei grilli. Quella notte, se
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in distanza, come quella dei grilli. Mi scappò da
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tetti. ¶ – … Chi sa quanti dei ragazzi qui sotto, – dissi
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tutti qualcosa tocca. Vedi dei ragazzi, della gente che
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lumi alla madonna. Chi dei due frega l’altro
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che bene. Ci vorrebbero dei comunisti non ignoranti, che
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dappertutto, – dissi. – Ci sono dei paesi dove le mosche
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le mosche stanno meglio dei cristiani. Ma non basta
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che a Genova ho dei soldi. Magari c’è
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ne intendo – mi dicono dei gran raccolti di questi
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prima di questa e dei figli i piú vecchi
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invece dell’ombra nera dei noccioli, la costa fosse
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delle mele, delle zucche, dei ceci. La Virgilia riusciva
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era sempre quel nido dei fringuelli sull’albero che
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che facevano delle feste – dei matrimoni, dei battesimi, delle
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delle feste – dei matrimoni, dei battesimi, delle Madonne – e
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parlammo della guerra e dei morti. Dei figli non
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guerra e dei morti. Dei figli non disse niente
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niente. Borbottò. Quando parlai dei partigiani e dei tedeschi
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parlai dei partigiani e dei tedeschi, alzò le spalle
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bicchiere. Raccolse il fastello dei salici e chiese a
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cosí. ¶ Con Cinto parlavamo dei giocatori di pallone, poi
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giocava con la pila dei marenghi d’oro sul
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di lavorare. Ho conosciuto dei bastardi che hanno comprato
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lontano, e la leggevano dei cacciatori, dei sindaci, delle
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la leggevano dei cacciatori, dei sindaci, delle signore con
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Genova, in America, maneggiavo dei soldi, mantenevo della gente
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molte cose, piú cose dei giovani, del dottore e
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in gerbido una parte dei beni per andarci a
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fatto meglio a piantarci dei ceci. ¶ – Ho piantato degli
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oltre Canelli, c’erano dei ciuffi scuri di piante
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ciuffi scuri di piante, dei canneti, delle macchie – sempre
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accontentavo delle fiere e dei balli. Adesso, senza decidermi
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o passava un ragazzo dei Piola o del Morone
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navi e i tatuaggi dei marinai e quanti giorni
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la voglia. ¶ – Questa sirena dei bastimenti, – lui mi disse
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raccontai di quella storia dei falò nelle stoppie, alzò
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governo e sui discorsi dei preti se poi credeva
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storia della luna e dei falò la sapevo. Soltanto
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niente della luna e dei falò? Bisogna averci fatto
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avevo già visto? Vedere dei carri, vedere dei fienili
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Vedere dei carri, vedere dei fienili, vedere una bigoncia
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delle canicole, delle fiere, dei raccolti di una volta
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fine di Padrino e dei suoi. Me l’aveva
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e l’ala bassa dei portici dove stavamo noialtri
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serpente. Cominciarono gli urli dei cani selvatici. Non eran
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ferrata e i fili dei pali. Almeno fosse passato
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visto i piedi magri dei bambini e gli zoccoli
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cavallo col carretto su dei ciottoli, e già s
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macchina o quel carretto dei messicani. Poi riempí tutta
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brutto –. Dalla bassa statura dei corpi e da una
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San Gennaro che uno dei due aveva al collo
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dieci tangheri come costui… ¶ Dei partigiani il Cavaliere non
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1950
erano andati alla caserma dei militi. Poi uno dei
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dei militi. Poi uno dei due, che aveva una
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rosso, il bel colore dei martiri, era diventato l
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sa, senza il conforto dei sacramenti – e riparare, pregare
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ai raccolti, alla salute dei vivi e dei morti
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salute dei vivi e dei morti. Adesso mi accorsi
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Nuto. Sulla piazza qualcuno dei suoi gli strizzava l
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col mondo. Non avete dei partiti che lavorano per
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che lavorano per voi, dei deputati, della gente apposta
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fanno cosí. La forza dei partiti è fatta di
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fatto vedere al governo dei signori che non basta
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pino e la volta dei tigli, ascoltare le voci
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facce sbalordite di tutti – dei servitori, delle donne, del
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prima volta che vidi dei fiori, dei veri fiori
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che vidi dei fiori, dei veri fiori, come quelli
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un saccone nella stanza dei grani dove dormiva lui
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e sopra il camino dei festoni di carta rossa
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Quando correva la giornata dei braccianti, il massaro mi
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con tutti, di Canelli, dei tempi di una volta
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politica, della musica e dei matti, del mondo. C
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del mondo. C’era dei giorni che potevo fermarmi
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si sparano? Ci sono dei vizi che costano soldi
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Nuto. ¶ Allora mi ricordai dei miei tempi e dissi
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odore secco e polveroso dei cartocci, e tiravamo le
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mantieni lavorando le terre dei suoi. Lui neanche lo
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i giovanotti che parlavano dei fatti loro, e dicevano
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mi disse che uno dei quei giovanotti – uno biondo
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e guardava la punta dei tigli; la signora faceva
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1950
la sera si parlò dei miei soldi. ¶ Ma, come
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era stata l’epoca dei fascisti che picchiavano chi
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lo ammazzo. ¶ Al banco dei coltelli gli dissi di
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sentivo piú il chiacchiericcio dei passanti e questo mi
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a Canelli di notte dei ladri venuti da fuori
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lui. Sapeva la storia dei due che avevano mangiato
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grande, sopra il ripiano dei padroni, e si stava
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mani ghiacciavano. Era roba dei nonni, del padre del
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messa, di quelli con dei mori e delle bestie
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vetrata aperta aveva suonato dei pezzi difficili ma proprio
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non muoversi, aveva raccolto dei fiori gialli. Me li
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gambe larghe sulla scala dei pompieri, pur di farsi
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you lack? qual è dei due che ti manca
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passeggiava sulla spiaggia con dei sandali e delle sciarpe
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da Santa Monica chiedendomi dei soldi. Glieli mandai e
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col massaro, avevano paura dei manzi, portavano un bel
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le bordure di fiori. ¶ Dei fiori del Nido ne
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insieme e tornate con dei mazzi ch’erano piú
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ch’erano piú belli dei vetri della chiesa e
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vetri della chiesa e dei paramenti del prete. L
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come una rosa dava dei pranzi, dei balli, invitava
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rosa dava dei pranzi, dei balli, invitava la gente
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Belbo e sui pianori dei bricchi rintronavano fucilate già
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Quando ripassavano, nell’odore dei tigli, Silvia e il
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trave, nell’odore fortissimo dei tigli. ¶ XXIV. ¶ La piccola
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e sentii che parlavano dei palazzi di Genova. Mi
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fiori e per terra dei disegni di pietra, lucidi
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in piedi, un nipote dei tanti che la vecchia
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del Berta, a portare dei biglietti a Irene, diceva
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attente, ragazze. Ci sono dei vecchi che non muoiono
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dove facevano la corsa dei cavalli – e voleva a
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tira il biroccio ha dei vizi e non può
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le guardavo la piega dei fianchi, la vita, i
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dai capelli alle unghie dei piedi, eppure mai che
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una casa, delle ragazze, dei vecchi, una bambina – e
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posto, cambiavi. Laggiú perfino dei paesi intieri con l
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nelle mani del governo, dei neri, dei capitalisti… Qui
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del governo, dei neri, dei capitalisti… Qui alla Mora
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sentiva vociare e dar dei colpi come abbattessero un
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Valino le aveva dato dei calci – si sentivano i
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si sentivano i colpi – dei calci nelle costole, la
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le aveva ancora dato dei calci nella faccia e
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tante cose – l’odore dei tigli e delle gaggíe
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forse cinquant’anni e dei figli grandi, io non
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di buono magari, ma dei nostri, che bevevano, ridevano
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facesse a Canelli. Dava dei pranzi alla Croce Bianca
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le parlava di Milano, dei teatri, di ricconi e
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anni fa c’erano dei dannati che per vedere
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capra e quella riva dei noccioli. Io venni su
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Adesso sapevo ch’eravamo dei miserabili, perché soltanto i
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nudo della terra e dei tronchi. La vedevo bene
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di ore piccole, stufo dei mosconi là intorno, di
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la mattina, d’incontrare dei conoscenti che gli tiravano
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anche Lanzone, sulle rese dei conti. Ce n’eravamo
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ch’era scappato lasciando dei grossi debiti. Ma Silvia
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tante cose, di Genova, dei soldati, della musica e
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mi aveva prestato qualcuno dei romanzi d’Irene, che
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stelle e delle feste dei santi dopo cena sul
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di ragazze che avevano dei tutori, delle zie, dei
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dei tutori, delle zie, dei nemici che le tenevano
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un castello dove succedevano dei delitti, degli avvelenamenti, e
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una domenica d’estate – dei tempi che Silvia era
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si rimisero a parlare dei loro dispetti e di
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il cavallo all’ombra dei platani, dove c’erano
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la gasosa coi ragazzi dei Seraudi. Stavano sullo spiazzo
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fin lontano, le cascine dei boschi. La gente ch
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che rideva sempre, – invece dei cavalli correrete voi. ¶ Il
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dal portone sulle spalle dei sacrestani. Poi uscirono i
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il sole, i colori dei vestiti, le ragazze. Anche
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uomini e le donne dei banchi, quelli del torrone
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all’osteria i padroni dei cavalli che litigavano e
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le sottane alle donne dei banchi. I ragazzi si
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parlava parlava della gente, dei ballerini, dell’estate, criticava
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l’erba schiacciata, scivolosa dei sentieri; e quell’odore
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C’era la corsa dei cavalli e sembravamo tutti
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nelle ville, nelle case dei signori, alle terme d
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tranquillo, le disse soltanto dei sí e dei no
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soltanto dei sí e dei no. ¶ Poi l’aveva
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cader lei, che perfino dei prigionieri tedeschi avevano portato
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suoi biglietti e segnalato dei depositi alla Casa del
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con sé due ragazzi dei migliori. Adesso si trattava