Alberto Moravia, Osteria, 1947

presto per la cena, e l’oste e il

cena, e l’oste e il suo unico garzone

con la pelle vizza e liscia. E due piccoli

pelle vizza e liscia. E due piccoli occhi diffidenti

era un ragazzotto trafelato e candido, di poco più

Di tutti i colori... E poi cambierei l’insegna

vede forse San Pietro? E poi noleggerei un’orchestrina

poi noleggerei un’orchestrina e farei suonare dei ballabili

Righetto mi chiamo io e Da Righetto deve chiamarsi

continuò, con voce cantante: "E sapete che cosa potreste

pista rotonda, in cemento." ¶ "E dagli," disse l’oste

ripeté l’altro, infatuato, "e ci mettereste dei lumi

i lumi si spegnerebbero." ¶ "E poi?" L’oste pareva

seguire una sua idea e sornionamente si divertiva a

l’entusiasmo del garzone. ¶ "E poi ballerebbero. Ma naturalmente

ci tenete i fiaschi." ¶ "E come sarebbe questo banco

la macchina del caffè e tante bottiglie dietro. Un

macchina in stile novecento." ¶ "E poi?" ¶ "E poi la

stile novecento." ¶ "E poi?" ¶ "E poi la gente ci

la gente ci verrebbe... E come... Anzi: un’idea

che vuole soltanto mangiare e ammirare la vista di

vista di San Pietro... E una per quelli che

piante in vaso." ¶ "Questa è veramente un’idea bellissima

ma il posto dov’è? Qui appena c’entrano

andiamo subito, adesso... Augusto è il mio compare... Mi

ragazzo per il collo e gli menò tre brutali

nulla a raccontare balle... E questo per insegnarti a

oste pronunziò queste parole e distribuì i ceffoni con

bassa verso la cucina. "E poi vorrei proprio sapere

stesso, appoggiandosi all’insegna e guardando alla strada, "che

gliene importa a lui... È forse roba sua?"