Vittorio Alfieri, Mirra, 1786

io. — Che mai, ch´esser può mai?... ¶ Nella sua

a noi terribil anco ¶ esser può l´ira loro

Di sua sola letizia esser poss´io, ¶ non altrimenti

stesso conosci, assai convinto ¶ esser tu dei, quanta e

dice, e giura, ¶ ch´esser mai d´altri non

averne certezza. — Or, d´esser mia ¶ non sdegni adunque

ora. ¶ Da cagion vile esser non puoi tu mossa

io ¶ sposa, o questo esser demmi il giorno estremo

sarà, quanto il debb´esser; seco ¶ vivendo io fida

s´io qui lieta esser per or non posso

sempre io sto per esser tolta... ¶ Deh! voi pietosi

si faccia. ¶ Qual ch´esser possa il mio dolor

niun bene ¶ non v´esser più per noi. Che

ragion ne assegna, ¶ l´esser più teco, il divenir

convinto, ¶ che, lungi d´esser de´ suoi lai cagione

me non altra ¶ gioia esser può, che di appagar

fia posta e l´esser mio. ¶ Se non potrai

amar tu mai, ¶ parmi esser certo, che odiarmi almeno

io ´l so, quanto esser debba ¶ lo sdegno in

pur troppo!) omai, ¶ ch´esser non puote altro che

a te stessa cruda ¶ esser tu puoi, che a

che indegno al tutto esser non può l´uom