Vittorio Alfieri, Maria Stuarda, 1788

al ritornarvi invito ¶ non gli fec'io? Pur dianzi

già, che in cor gli stava ¶ non io, ma

palesi sian, dei re gli arcani. ¶ Dirti m'è

tardo, il rimorso oggi gli è scorta. ¶ Ei mi

t'ebbi scudo; ¶ contro gli occulti, assai più vili

fa. Tutti ammendare ancora ¶ gli error tuoi scorsi, e

ad incontrarmi lenta; ¶ e gli altri... oh rabbia! Ma

come a nomar me gli abbia, ¶ quei che intorno

uno ad uno annoverar gli oltraggi ¶ che vale? Il

guadagnarti con benigni modi ¶ gli animi altrui di freno

o biasma, ¶ o giudica gli errori. — Or tutto vada

te stesso torna, e gli altri tutti a un

tuo costo, ¶ tutto render gli dei. ¶ Maria ¶ S'io

volgo, ¶ in cui forse gli error potrian del padre

sempre torbid'alma, ¶ io gli promisi... ¶ Botuello ¶ Il figlio

Così al ben far gli apri ogni strada; e

d'Elisabetta ei crescerà: gli fia ¶ ella più assai

vuoi da me? Forse gli usati omaggi ¶ rechi al

favella, perché il dir gli è imposto. ¶ Arrigo ¶ Non

egualmente indegni ¶ di chi gli ascolta, e di chi

ascolta, e di chi gli usa. ¶ Arrigo ¶ In detti

conosciuto. Or, che diranno ¶ gli empi settari, a calunniarmi

tentollo Ormondo; ¶ pria lusinghe gli diè, promesse poscia: ¶ quindi

la poca sua fermezza ¶ gli espongo; e fingo che

già il fianco ¶ ella gli squarcia... Ei palpitante cade

mi ascolta; in volto ¶ gli arde una fiamma inusitata

cieco in folla ¶ veggio gli spettri. — Oh! chi se

è tempo: ¶ vanne, e gli armati tuoi... ¶ Botuello ¶ Ma

di Botuello; e per gli spaldi in arme ¶ corre