Dante Alighieri, Divina Commedia, 1321

si riceve?». ¶ Rispuose: «Quando i P che son rimasi

lume a cui fidanza i' entro ¶ per lo novo

per allungarsi, un'altra 'I' sono Oreste' ¶ passò gridando

compassion di quel ch'i' vidi poi; ¶ ché, quando

un fil di ferro i cigli fóra ¶ e cusce

lei sarà buon s'i' l'apparo». ¶ «O frate

t'inganni, ¶ odi s'i' fui, com' io ti

discendendo l'arco d'i miei anni. ¶ Eran li

se tu vuo' ch'i' mova ¶ di là per

questa persona: ¶ dirvi ch'i' sia, saria parlare indarno

marina asciuga, ¶ ond' hanno i fiumi ciò che va

e cortesia ¶ là dove i cuor son fatti sì

s'impiglia. ¶ Ben faranno i Pagan, da che 'l

mezza notte era. ¶ E i raggi ne ferien per

piagna. ¶ Perché s'appuntano i vostri disiri ¶ dove per

lei vere, ¶ io riconobbi i miei non falsi errori

piede: ¶ così frugar conviensi i pigri, lenti ¶ ad usar

li occhi allungarsi ¶ contra i raggi serotini e lucenti

sono spirti, maestro, ch'i' odo?», ¶ diss' io. Ed

tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte

dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco

Così rispuose, e soggiunse: «I' ti prego ¶ che per

la cagione, ¶ sì ch'i' la veggia e ch

la veggia e ch'i' la mostri altrui; ¶ ché

aver lutto. ¶ Lo cielo i vostri movimenti inizia; ¶ non

tutti, ma, posto ch'i' 'l dica, ¶ lume v

pelle talpe, ¶ come, quando i vapori umidi e spessi

corcar era. ¶ Sì, pareggiando i miei co' passi fidi

è in nostro uso. ¶ I' mi volgea per veder

io con lui ¶ volgemmo i nostri passi ad una

giro dove semo? ¶ Se i piè si stanno, non

e calca, ¶ pur che i Teban di Bacco avesser

che vive, e certo i' non vi bugio, ¶ vuole

talor da Saturno ¶ - quando i geomanti lor Maggior Fortuna

occhi guercia, e sovra i piè distorta, ¶ con le

dinanzi l'apria ¶ fendendo i drappi, e mostravami 'l

de l'alto dì i giron del sacro monte

e perché vòlti avete i dossi ¶ al sù, mi

elli a me: «Perché i nostri diretri ¶ rivolga il

a l'ombre, ch'i' sentia ¶ pietosamente piangere e

di me son nati i Filippi e i Luigi

nati i Filippi e i Luigi ¶ per cui novellamente

e patteggiarne ¶ come fanno i corsar de l'altre

col marito Saffira; ¶ lodiam i calci ch'ebbe Elïodoro

immobili e sospesi ¶ come i pastor che prima udir

ch'al sommo d'i tre gradi ch'io

li uomini e d'i dèi. ¶ Se cagion altra

m'avvera ¶ esser ch'i' fossi avaro in l

tardòe a confessare; tra i quali si nomina il

n Cacume ¶ con esso i piè; ma qui convien

le parole sue, ¶ ch'i' mi sforzai carpando appresso

che 'l cinghio sotto i piè mi fue. ¶ A

io 'ndugiai al fine i buon sospiri, ¶ se orazïone

Quando s'accorser ch'i' non dava loco ¶ per

corpo al trapassar d'i raggi, ¶ mutar lor canto

s'adori ¶ pur ch'i' possa purgar le gravi

m'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid

petto la croce ¶ ch'i' fe' di me quando

vedi la pressura ¶ d'i tuoi gentili, e cura

sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!». ¶ Or ti

qual chiostra». ¶ «Per tutt' i cerchi del dolente regno

di tenebre solo, ove i lamenti ¶ non suonan come

scemo, ¶ a guisa che i vallon li sceman quici

Iacomo e Federigo hanno i reami; ¶ del retaggio miglior

tre passi credo ch'i' scendesse, ¶ e fui di

io lui, «per entro i luoghi tristi ¶ venni stamane

vostra casa onora, ¶ grida i segnori e grida la

con tutti e quattro i piè cuopre e inforca

l'ora che comincia i tristi lai ¶ la rondinella

là dove fuoro ¶ abbandonati i suoi da Ganimede, ¶ quando

una donna, e disse: "I' son Lucia; ¶ lasciatemi pigliar

in mano, ¶ che reflettëa i raggi sì ver' noi

la porta"». ¶ «Ed ella i passi vostri in bene

la porta sì, ch'i' fu' contento. ¶ «Quandunque l

tegno; e dissemi ch'i' erri ¶ anzi ad aprir

parte». ¶ E questo fece i nostri passi scarsi, ¶ tanto

sù non eran mossi i piè nostri anco, ¶ quand

la gente. ¶ Per ch'i' mi mossi col viso

donna dispettosa e trista. ¶ I' mossi i piè del

e trista. ¶ I' mossi i piè del loco dov

la sua gran vittoria; ¶ i' dico di Traiano imperadore

Or aspetta ¶ tanto ch'i' torni»; e quella: «Segnor

ch'ei convene ¶ ch'i' solva il mio dovere

mio dovere anzi ch'i' mova: ¶ giustizia vuole e

di qua, ma fanno i passi radi», ¶ mormorava il

io, per veder s'i' 'l conosco, ¶ e per

l'opere leggiadre ¶ d'i miei maggior mi fer

io ne mori', come i Sanesi sanno, ¶ e sallo

la persona, avvegna che i pensieri ¶ mi rimanessero e

volontieri ¶ del mio maestro i passi, e amendue ¶ già

lor memoria sia, ¶ sovra i sepolti le tombe terragne

mirar le membra d'i Giganti sparte. ¶ Vedea Nembròt

sventurato addornamento. ¶ Mostrava come i figli si gittaro ¶ sovra

Morti li morti e i vivi parean vivi: ¶ non

atti addorna, ¶ sì che i diletti lo 'nvïarci in

Venite: qui son presso i gradi, ¶ e agevolemente omai

mal vanto; ¶ però ch'i' ne vedea trenta gran

le gran prove ¶ quando i giganti fer paura a

creda ¶ ch'avrebber vinto i figli de la terra

fu tal ora ¶ ch'i' avrei voluto ir per

nel pozzo scuro ¶ sotto i piè del gigante assai

vidimi davante ¶ e sotto i piedi un lago che

ne la ghiaccia, ¶ mettendo i denti in nota di

voi che sì strignete i petti», ¶ diss' io, «chi

siete?». E quei piegaro i colli; ¶ e poi ch

col capo sì, ch'i' non veggio oltre più

più sermoni, ¶ sappi ch'i' fu' il Camiscion de

tomi». ¶ Io avea già i capelli in mano avvolti

da Duera ¶ là dove i peccatori stanno freschi". ¶ Se

stato; e riprende qui i Pisani e i Genovesi

qui i Pisani e i Genovesi.] ¶ La bocca sollevò

infamia al traditor ch'i' rodo, ¶ parlar e lagrimar

Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino, ¶ e

or ti dirò perché i son tal vicino. ¶ Che

al monte ¶ per che i Pisan veder Lucca non

senti' fra 'l sonno i miei figliuoli ¶ ch'eran

sì suona, ¶ poi che i vicini a te punir

castella, ¶ non dovei tu i figliuoi porre a tal

posta, ¶ levatemi dal viso i duri veli, ¶ sì ch

lui: «Se vuo' ch'i' ti sovvegna, ¶ dimmi chi

mi convegna». ¶ Rispuose adunque: «I' son frate Alberigo; ¶ i

I' son frate Alberigo; ¶ i' son quel da le

nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo, ¶ però

io mi convegno, ¶ che i giganti non fan con

sì che 'n inferno i' credea tornar anche. ¶ «Attienti

traggon d'ogne parte i pesi. ¶ E se' or

sanza pecca; ¶ tu haï i piedi in su picciola

io secondo, ¶ tanto ch'i' vidi de le cose

PURGATORIO ¶ CANTO I ¶ [Comincia la seconda parte

rider l'orïente, ¶ velando i Pesci ch'erano in

erano in sua scorta. ¶ I' mi volsi a man

faccia di lume, ¶ ch'i' 'l vedea come 'l

questa per la quale i' mi son messo. ¶ Mostrata

occhi miei ¶ mentre ch'i' fu' di là», diss

El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi: ¶ volgianci in

vermiglie guance, ¶ là dov' i' era, de la bella

facea motto, ¶ mentre che i primi bianchi apparver ali

per lo spirare, ch'i' era ancor vivo, ¶ maravigliando

ove ragion ne fruga, ¶ i' mi ristrinsi a la

maravigliar più che d'i cieli ¶ che l'uno

d'anime, che movieno i piè ver' noi, ¶ e

quel popol di lontano, ¶ i' dico dopo i nostri

lontano, ¶ i' dico dopo i nostri mille passi, ¶ quanto

per quella pace ¶ ch'i' credo che per voi

lo muro; ¶ ché, com' i' odo quinci e non

sì tosto mai né I si scrisse, ¶ com' el

come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci

a la sagrestia d'i belli arredi, ¶ e falsamente

Pistoia in pria d'i Neri si dimagra; ¶ poi

tuo avanzi? ¶ Per tutt' i cerchi de lo 'nferno

per l'ascelle, ¶ e i due piè de la

disse a l'altro: «I' vo' che Buoso corra

fuggirsi tanto chiusi, ¶ ch'i' non scorgessi ben Puccio

lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio, ¶ perché non

Elia al dipartire, ¶ quando i cavalli al cielo erti

parlare a me, ch'i' ho concetto ¶ ciò che

me l'ardore ¶ ch'i' ebbi a divenir del

e l'isola d'i Sardi, ¶ e l'altre

tanto picciola vigilia ¶ d'i nostri sensi ch'è

ch'io fui d'i monti là intra Orbino

dove soglion fan d'i denti succhio. ¶ Le città

diè cotal fiato: ¶ «S'i' credesse che mia risposta

tornò vivo alcun, s'i' odo il vero, ¶ sanza

sarebbe. ¶ Lo principe d'i novi Farisei, ¶ avendo guerra

capestro ¶ che solea fare i suoi cinti più macri

me; ma un d'i neri cherubini ¶ li disse

disse: "Questi è d'i rei del foco furo

piaghe a pieno ¶ ch'i' ora vidi, per narrar

dichiara, ¶ se vuo' ch'i' porti sù di te

altra man mozza, ¶ levando i moncherin per l'aura

che, spirando, vai veggendo i morti: ¶ vedi s'alcuna

novella porti, ¶ sappi ch'i' son Bertram dal Bornio

diedi al re giovane i ma' conforti. ¶ Io feci

bolgia, dove si puniscono i falsi fabricatori di qualunque

e riprende l'autore i Sanesi.] ¶ La molta gente

la luna è sotto i nostri piedi; ¶ lo tempo

di Malebolge, sì che i suoi conversi ¶ potean parere

Maremma e di Sardigna i mali ¶ fossero in una

Sire infallibil giustizia ¶ punisce i falsador che qui registra

genti antiche, ¶ secondo che i poeti hanno per fermo

E 'l duca disse: «I' son un che discendo

mena. ¶ Vero è ch'i' dissi lui, parlando a

lui, parlando a gioco: ¶ "I' mi saprei levar per

senno poco, ¶ volle ch'i' li mostrassi l'arte

sì ti seconda ¶ contra i Sanesi, aguzza ver' me

varco»; ¶ e poi distese i dispietati artigli, ¶ prendendo l

norma». ¶ E poi che i due rabbiosi fuor passati

assai di quel ch'i' volli, ¶ e ora, lasso

Li ruscelletti che d'i verdi colli ¶ del Casentin

giuso in Arno, ¶ faccendo i lor canali freddi e

tanto ancor leggero ¶ ch'i' potessi in cent' anni

come suole; ¶ ché, s'i' ho sete e omor

ripa d'ogne parte. ¶ I' vedea lei, ma non

ali aperte e sovra i piè leggero! ¶ L'omero

Zita! ¶ Mettetel sotto, ch'i' torno per anche ¶ a

tornò sù convolto; ¶ ma i demon che del ponte

nascosamente accaffi». ¶ Non altrimenti i cuoci a' lor vassalli

non temer tu, ch'i' ho le cose conte

quella tempesta ¶ ch'escono i cani a dosso al

volser contra lui tutt' i runcigli; ¶ ma el gridò

cielo è voluto ¶ ch'i' mostri altrui questo cammin

lui venni ratto; ¶ e i diavoli si fecer tutti

sé tra nemici cotanti. ¶ I' m'accostai con tutta

che è quel ch'i' veggio?», ¶ diss' io, «deh

tu sa' ir; ch'i' per me non la

v'era incesa. ¶ Come i dalfini, quando fanno segno

d'un fosso ¶ stanno i ranocchi pur col muso

fuori, ¶ sì che celano i piedi e l'altro

stavan d'ogne parte i peccatori; ¶ ma come s

così si ritraén sotto i bollori. ¶ I' vidi, e

ritraén sotto i bollori. ¶ I' vidi, e anco il

mi parve una lontra. ¶ I' sapea già di tutti

scuoi!», ¶ gridavan tutti insieme i maladetti. ¶ E io: «Maestro

fosse, e quei rispuose: ¶ «I' fui del regno di

la pece?». E quelli: «I' mi partii, ¶ poco è

con lui coperto, ¶ ch'i' non temerei unghia né

un lacerto. ¶ Draghignazzo anco i volle dar di piglio

ogne froda, ¶ ch'ebbe i nemici di suo donno

l'altro che digrigna; ¶ i' direi anche, ma i

i' direi anche, ma i' temo ch'ello ¶ non

farò venire; ¶ ma stieno i Malebranche un poco in

se' giunto!». ¶ Ma poco i valse: ché l'ali

altra costa ¶ con tutt' i raffi, e assai prestamente

te e me tostamente, i' ho pavento ¶ d'i

i' ho pavento ¶ d'i Malebranche. Noi li avem

sento». ¶ E quei: «S'i' fossi di piombato vetro

mpetro. ¶ Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei

compagno. ¶ A pena fuoro i piè suoi giunti al

a noi gridò: «Tenete i piedi, ¶ voi che correte

E io a loro: «I' fui nato e cresciuto

son col corpo ch'i' ho sempre avuto. ¶ Ma

cui tanto distilla ¶ quant' i' veggio dolor giù per

Io cominciai: «O frati, i vostri mali... »; ¶ ma più

che tu miri, ¶ consigliò i Farisei che convenia ¶ porre

move e varca tutt' i vallon feri, ¶ salvo che

la bisogna ¶ colui che i peccator di qua uncina

anno ¶ che 'l sole i crin sotto l'Aquario

io fui sù, ch'i' non potea più oltre

meglio di lena ch'i' non mi sentia, ¶ e

e dissi: «Va, ch'i' son forte e ardito

men duol pur ch'i' me ne rimembri. ¶ A

la natura del loco, i' dicerei ¶ che meglio stesse

e trei. ¶ Qual sogliono i campion far nudi e

chi tu se', che i vivi piedi ¶ così sicuro

altro mi nuoce». ¶ S'i' fossi stato dal foco

parole per le quali i' mi pensai ¶ che qual

centro pria convien ch'i' tomi». ¶ «Se lungamente l

La gente nuova e i sùbiti guadagni ¶ orgoglio e

la faccia levata; ¶ e i tre, che ciò inteser

quando ti gioverà dicere "I' fui", ¶ fa che di

ovra, ¶ ma per entro i pensier miran col senno

lunga grazia vòte, ¶ ch'i' vidi per quell' aere

coda aguzza, ¶ che passa i monti e rompe i

i monti e rompe i muri e l'armi

vicino al fin d'i passeggiati marmi. ¶ E quella

talvolta stanno a riva i burchi, ¶ che parte sono

questa, ¶ che ne conceda i suoi omeri forti». ¶ Così

altrimenti fan di state i cani ¶ or col ceffo

scale; ¶ monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo, ¶ sì

segnor fa servo forte. ¶ I' m'assettai in su

altro forse, tosto ch'i' montai ¶ con le braccia

mia, quando vidi ch'i' era ¶ ne l'aere

lo stoscio, ¶ però ch'i' vidi fuochi e senti

infino al pozzo che i tronca e raccogli. ¶ In

Nel fondo erano ignudi i peccatori; ¶ dal mezzo in

con passi maggiori, ¶ come i Roman per l'essercito

ch'ïo a figurarlo i piedi affissi; ¶ e 'l

sovvenir del mondo antico. ¶ I' fui colui che la

son femmine da conio». ¶ I' mi raggiunsi con la

fatti per loco d'i battezzatori; ¶ l'un de

Se tu vuo' ch'i' ti porti ¶ là giù

segnore, e sai ch'i' non mi parto ¶ dal

lo spirto tutti storse i piedi; ¶ poi, sospirando e

Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto

ripa corsa, ¶ sappi ch'i' fui vestito del gran

quando ¶ verrà colui ch'i' credea che tu fossi

tu fossi, ¶ allor ch'i' feci 'l sùbito dimando

l tempo già che i piè mi cossi ¶ e

mi cossi ¶ e ch'i' son stato così sottosopra

Io non so s'i' mi fui qui troppo

qui troppo folle, ¶ ch'i' pur rispuosi lui a

il mondo attrista, ¶ calcando i buoni e sollevando i

i buoni e sollevando i pravi. ¶ Di voi pastor

con ambo le piote. ¶ I' credo ben ch'al

canzon, ch'è d'i sommersi. ¶ Io era già

a li occhi d'i Teban la terra; ¶ per

frodi». ¶ E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti ¶ mi son

tenace pece ¶ a rimpalmare i legni lor non sani

gente riddi. ¶ Qui vid' i' gente più ch'altrove

la sconoscente vita che i fé sozzi, ¶ ad ogne

la corta buffa ¶ d'i ben che son commessi

tocche, ¶ che è, che i ben del mondo ha

oltre la difension d'i senni umani; ¶ per ch

per due fiammette che i vedemmo porre, ¶ e un

io a lui: «S'i' vegno, non rimango; ¶ ma

maladetto, ti rimani; ¶ ch'i' ti conosco, ancor sie

di speranza buona, ¶ ch'i' non ti lascerò nel

ch'altri qui giunga!». ¶ I' vidi ben sì com

gridavan sì alto, ¶ ch'i' mi strinsi al poeta

quei fé segno ¶ ch'i' stessi queto ed inchinassi

davante; ¶ e noi movemmo i piedi inver' la terra

suoi termini bagna, ¶ fanno i sepulcri tutt' il loco

simile è sepolto, ¶ e i monimenti son più e

fu vòlto, ¶ passammo tra i martìri e li alti

già son levati ¶ tutt' i coperchi, e nessun guardia

l'altra fïata; ¶ ma i vostri non appreser ben

ancor congiunto; ¶ e s'i' fui, dianzi, a la

la risposta muto, ¶ fate i saper che 'l fei

mi richiamava; ¶ per ch'i' pregai lo spirto più

l'antico ¶ poeta volsi i passi, ripensando ¶ a quel

fiato; e poi no i fia riguardo». ¶ Così 'l

gir mi piace; ¶ ché i Pesci guizzan su per

che spesso moviensi ¶ sotto i miei piedi per lo

quell' ira bestial ch'i' ora spensi. ¶ Or vo

l'altra fïata ¶ ch'i' discesi qua giù nel

feda ¶ tremò sì, ch'i' pensai che l'universo

far li piè d'i morti». ¶ E 'l mio

del bollor vermiglio, ¶ dove i bolliti facieno alte strida

uccidendo sé ma guastando i loro beni.] ¶ Non era

tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. ¶ Quivi le

cacciar de le Strofade i Troiani ¶ con tristo annunzio

dir m'adeschi, ¶ ch'i' non posso tacere; e

glorïoso offizio, ¶ tanto ch'i' ne perde' li sonni

a me satisfaccia; ¶ ch'i' non potrei, tanta pietà

la mesta ¶ selva saranno i nostri corpi appesi, ¶ ciascuno

piè del tristo cesto. ¶ I' fui de la città

ad essa; ¶ quivi fermammo i passi a randa a

sé l'arsura fresca. ¶ I' cominciai: «Maestro, tu che

di forza ¶ tanto, ch'i' non l'avea sì

fu l'un d'i sette regi ¶ ch'assiser

tutto l'altro ch'i' t'ho dimostrato, ¶ poscia

selva rimossi ¶ tanto, ch'i' non avrei visto dov

lascia andar la traccia». ¶ I' dissi lui: «Quanto posso

feggia. ¶ Però va oltre: i' ti verrò a' panni

masnada, ¶ che va piangendo i suoi etterni danni». ¶ Io

non può, però ch'i' veggio ¶ là surger nuovo

INFERNO ¶ CANTO I ¶ [Incomincia la Comedia di

trattar del ben ch'i' vi trovai, ¶ dirò de

l'altre cose ch'i' v'ho scorte. ¶ Io

so ben ridir com' i' v'intrai, ¶ tant' era

abbandonai. ¶ Ma poi ch'i' fui al piè d

durata ¶ la notte ch'i' passai con tanta pieta

il mio cammino, ¶ ch'i' fui per ritornar più

sol tace. ¶ Mentre ch'i' rovinava in basso loco

tremar le vene e i polsi». ¶ «A te convien

là sù regna, ¶ perch' i' fu' ribellante a la

d'ogne male ¶ cortese i fu, pensando l'alto

savio; intendi me' ch'i' non ragiono». ¶ E qual

cominciar cotanto tosta. ¶ «S'i' ho ben la parola

levata, ¶ per quel ch'i' ho di lui nel

l'aiuta sì ch'i' ne sia consolata. ¶ I

i' ne sia consolata. ¶ I' son Beatrice che ti

brievemente", mi rispuose, ¶ "perch' i' non temo di venir

ché non son paurose. ¶ I' son fatta da Dio

venne al loco dov' i' era, ¶ che mi sedea

cor mi corse, ¶ ch'i' cominciai come persona franca

le parole tue, ¶ ch'i' son tornato nel primo

venuti al loco ov' i' t'ho detto ¶ che

che è quel ch'i' odo? ¶ e che gent

per sé fuoro. ¶ Caccianli i ciel per non esser

riceve, ¶ ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli

tratta ¶ di gente, ch'i' non averei creduto ¶ che

era la setta d'i cattivi, ¶ a Dio spiacenti

or mi concedi ¶ ch'i' sappia quali sono, e

parer sì pronte, ¶ com' i' discerno per lo fioco

mai veder lo cielo: ¶ i' vegno per menarvi a

cangiar colore e dibattero i denti, ¶ ratto che 'nteser

fanno bene». ¶ Così vid' i' adunar la bella scola

me stesso m'essalto. ¶ I' vidi Eletra con molti

fatto tormento ¶ enno dannati i peccator carnali, ¶ che la

minor pena. ¶ E come i gru van cantando lor

detta briga; ¶ per ch'i' dissi: «Maestro, chi son

e fui quasi smarrito. ¶ I' cominciai: «Poeta, volontieri ¶ parlerei

per quello amor che i mena, ed ei verranno

io, ¶ e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri ¶ a lagrimar

dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, ¶ a che

concedette amore ¶ che conosceste i dubbiosi disiri?». ¶ E quella

in confusione di tutt'i buffoni tratta del dimonio

a la pietà d'i due cognati, ¶ che di

altro schermo; ¶ volgonsi spesso i miseri profani. ¶ Quando ci

che non par ch'i' ti vedessi mai. ¶ Ma

tre faville c'hanno i cuori accesi». ¶ Qui puose

se tanto scendi, là i potrai vedere. ¶ Ma quando

parlando più assai ch'i' non ridico; ¶ venimmo al

io li sovvenni, e i lor dritti costumi ¶ fer

pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi ¶ di

di retro, e ascoltava i lor sermoni, ¶ ch'a

non men tosto, ¶ appresso i savi, che parlavan sìe

che è quel ch'i' odo?», ¶ comincia' io; ed

il nodo». ¶ Sì come i peregrin pensosi fanno, ¶ giugnendo

lo dolce assenzo d'i martìri ¶ la Nella mia

menato m'ha d'i veri morti ¶ con questa

vere. ¶ Ma dì s'i' veggio qui colui che

E io a lui: «I' mi son un che

dolce stil novo ch'i' odo! ¶ Io veggio ben

in via con esso i due ¶ che fuor del

le parole sue, ¶ parvermi i rami gravidi e vivaci

leva. ¶ «Ricordivi», dicea, «d'i maladetti ¶ nei nuvoli formati

molli, ¶ per che no i volle Gedeon compagni, ¶ quando

quando inver' Madïan discese i colli». ¶ Sì accostati a

a l'un d'i due vivagni ¶ passammo, udendo

scala ¶ che per artezza i salitor dispaia. ¶ E quale

Secondo che ci affliggono i disiri ¶ e li altri

vestigio, ¶ per quel ch'i' odo, in me, e

moderno, ¶ faranno cari ancora i loro incostri». ¶ «O frate

delitiarum.] ¶ Sì come quando i primi raggi vibra ¶ là

mani al lembo d'i tuoi panni. ¶ Pon giù

parte ch'io toglieva i raggi ¶ dinanzi a me

di pochi scaglion levammo i saggi, ¶ che 'l sol

mio nome dimanda ¶ ch'i' mi son Lia, e

giorno. ¶ Ell' è d'i suoi belli occhi veder

io leva'mi, ¶ veggendo i gran maestri già levati

riluce; ¶ vedi l'erbette, i fiori e li arbuscelli

Già m'avean trasportato i lenti passi ¶ dentro a

la gran varïazion d'i freschi mai; ¶ e là

amore ¶ ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti

mette, ¶ volsesi in su i vermigli e in su

vermigli e in su i gialli ¶ fioretti verso me

onesti avvalli; ¶ e fece i prieghi miei esser contenti

altro vuoli udir; ch'i' venni presta ¶ ad ogne

fé l'aere sotto i verdi rami; ¶ e 'l

e loro; ¶ ma quand' i' fui sì presso di

bellezze tue!». ¶ Poscia che i fiori e l'altre

con igne; ¶ e quali i troverai ne le sue

qui l'auttore piange i suoi difetti con vergogna

li altri appresso. ¶ Quali i beati al novissimo bando

che non tremi: ¶ conosco i segni de l'antica

ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba

men gradita; ¶ e volse i passi suoi per via

visitai l'uscio d'i morti, ¶ e a colui

a me: «Per entro i mie' disiri, ¶ che ti

da li occhi d'i pennuti ¶ rete si spiega

ch'è dentro aguzzeranno i tuoi ¶ le tre di

al serpente crese, ¶ temprava i passi un'angelica nota

tutto ai piedi ¶ d'i suoi comandamenti era divoto

scorza, ¶ non che d'i fiori e de le

Non mi ricorda ¶ ch'i' stranïasse me già mai

lungo spazio ¶ da scrivere, i' pur cantere' in parte

PARADISO ¶ CANTO I ¶ [Comincia la terza cantica

esperïenza grazia serba. ¶ S'i' era sol di me

oppinïon», mi disse, «d'i mortali ¶ dove chiave di

diverso ¶ credo che fanno i corpi rari e densi

Tre specchi prenderai; e i due rimovi ¶ da te

stea un lume che i tre specchi accenda ¶ e

e la virtù d'i santi giri, ¶ come dal

non sì profonde che i fondi sien persi, ¶ tornan

sien persi, ¶ tornan d'i nostri visi le postille

sé tutta sua corte. ¶ I' fui nel mondo vergine

bella, ¶ ma riconoscerai ch'i' son Piccarda, ¶ che, posta

dame: ¶ per che, s'i' mi tacea, me non

ha di felle. ¶ D'i Serafin colui che più

hanno in altro cielo i loro scanni ¶ che questi

ne li occhi d'i mortali, è argomento ¶ di

contra lo ver ch'i' t'ho scoverto, ¶ convienti

fé pianger di sé i folli e i savi

sé i folli e i savi ¶ ch'udir parlar

tranquilla e pura ¶ traggonsi i pesci a ciò che

róse ¶ le temperanze d'i vapori spessi, ¶ per più

del primo amor ch'i' sento, ¶ d'entro le

con la Chiesa mossi i piedi, ¶ a Dio per

che segno fu ch'i' dovessi posarmi. ¶ Or qui

infino al fine ¶ che i tre a' tre pugnar

cirro ¶ negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi ¶ ebber

mano a quel ch'i' dico, ¶ gloria di far

uno al pubblico segno i gigli gialli ¶ oppone, e

stella si correda ¶ d'i buoni spirti che son

disvïando, pur convien che i raggi ¶ del vero amore

Ma nel commensurar d'i nostri gaggi ¶ col merto

bella mal gradita. ¶ Ma i Provenzai che fecer contra

Ben discerno ciò ch'i' odo; ¶ ma perché Dio

la donna mia ch'i' vidi far più bella

in arca». ¶ «Però ch'i' credo che l'alta

sì fatto ben torcete i cuori, ¶ drizzando in vanità

e fammi prova ¶ ch'i' possa in te refletter

questo l'Evangelio e i dottor magni ¶ son derelitti

e ' cardinali; ¶ non vanno i lor pensieri a Nazarette

l'oblico cerchio che i pianeti porta, ¶ per sodisfare

vita tutta, e riprende i suoi frati, ché pochi

La lor concordia e i lor lieti sembianti, ¶ amore

ch'al piacer che i move ¶ conviene insieme chiudere

si riga, ¶ sì che i suoi arbuscelli stan più

troveria carta ¶ u' leggerebbe "I' mi son quel ch

mi son quel ch'i' soglio"; ¶ ma non fia

de l'ordine d'i frati predicatori solve una

intender cupe ¶ quel ch'i' or vidi - e ritegna

due persone. ¶ Or s'i' non procedesse avanti piùe

che sien mature; ¶ ch'i' ho veduto tutto 'l

ben mostrar disio d'i corpi morti: ¶ forse non

vista, ¶ le minuzie d'i corpi, lunghe e corte

chi s'avvede che i vivi suggelli ¶ d'ogne

concetto ¶ al segno d'i mortal si soprapuose. ¶ E

credi 'l vero; ché i minori e ' grandi ¶ di

e vidi quel d'i Nerli e quel del

l'idïoma ¶ che prima i padri e le madri

la sua famiglia ¶ d'i Troiani, di Fiesole e

usurpa, ¶ per colpa d'i pastor, vostra giustizia. ¶ Quivi

mi levate sì, ch'i' son più ch'io

a lo spirar d'i venti ¶ carbone in fiamma

annüal gioco. ¶ Basti d'i miei maggiori udirne questo

ancor de' Conti; ¶ sarieno i Cerchi nel piovier d