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Vittoria Colonna, [Rime], 1538

concordanze di «io»

nautoretestoannoconcordanza
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1538
lamentar m'invoglia: ¶ Ch'io scemi la sua gloria
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il giorno; ¶ E perch'io veggia fonte o prato
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insieme. ¶ SONETTO IX. ¶ Mentre io qui vissi in voi
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ogn'intorno ¶ Sì ch'io provi a volar spedite
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Vostro onor fia, ch'io chiuda ai piacer frali
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dolce ed amoroso nodo; ¶ Io (benchè lui di sì
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XVI. ¶ Come non depos'io la mortal salma ¶ Al
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tutta coverta. ¶ Che temev'io con la mia scorta
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merta. ¶ SONETTO XVII. ¶ Quand'io dal caro scoglio miro
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pensier col sole; ond' io ritorno ¶ Al mio che
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è stretto ancor com'io l'avvolsi; ¶ Nè per
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preme, ¶ Che se durasse, io sarei fuor di pena
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è quel laccio ond'io mi pregio e lodo
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le lagrime tante ¶ Ch'io spargo vedi; poi che
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Cercai d'alzarmi anch'io con queste piume. ¶ La
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or tenebroso scorgo ovunque io miri! ¶ Soave il lagrimar
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or che vede come io mi consumi, ¶ È tempo
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Se troncar l'ali io stessa al gran desio
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al pensier: così poss'io ¶ Vincer me insieme e
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meco ¶ Tanta ragion, ch'io volga questo insano ¶ Desir
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e fa che lieta ¶ Io chiami il grave peso
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alto scorno ¶ Un tempo io vidi; or di sè
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par più cortese. ¶ S'io cerco darle in man
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vittoria resti altera, ¶ Ed io del mio finir lieta
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aspetto, ¶ Della cui luce io fui sempre nodrita; ¶ Qual
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ora è cagion ch'io non pèro. ¶ E se
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fa sì amica, ¶ Ch'io vivo lieta, ed ancor
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onor, di gloria accese, ¶ Io vedrei nuovo ciel vêr
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di me lieto ed io beata in lui, ¶ Accompagnarlo
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manda, e vuol ch'io speri ¶ D'esser con
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La dolce libertà ch'io mi godea; ¶ E sè
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gli anni, ¶ Allora er'io, che in tenebre ed
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nostri mali. ¶ Lassa, ch'io non fui teco al
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l'offende. ¶ SONETTO LVII. ¶ Io nudria il cor d
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E, per quel ch'io ne speri, al ciel
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Al maggior uopo, ond'io pur vivo ed ardo
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sempre guardato. ¶ Deh potess'io mandar nel vostro petto
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petto ¶ L'ardor ch'io sento, o voi nel
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il voler mio. ¶ Potess'io almen tuffar nel cieco
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varco. ¶ SONETTO LXXIV. ¶ Quand'io son tutta col pensier
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SONETTO LXXVI. ¶ Prima ch'io giunga al mezzo della
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a mostrarmi ove ch'io vada. ¶ Seco vissi io
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io vada. ¶ Seco vissi io felice, ei mi scoperse
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a voi sacro fec'io, ¶ Che mille piaghe ha
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Di voi, spirto divino, io pur mi godo; ¶ Chè
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obliando ¶ Ogn'altra cura, io viva al fin sperando
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altro è maggior, dich' io: ch'al chiaro inganno
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suo Fabrizio Colonna. ¶ S'io non descrivo in carte
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l'ore ¶ Fa ch'io consumi lagrimando in vano
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in vano. ¶ Non perch'io toglia lume al sole
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si sente; ¶ Tal son io, poi che non ho
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passi miei fosse seguita, ¶ Io goderei là su quell
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GIOVANNA D'ARAGONA. ¶ S'io potessi sottrar dal giogo
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mia dogliosa sorte! ¶ Cors'io seguendo l'empia e
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si duole, ¶ Sì ch'io bramo il mio fin
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voi godete. ¶ Non ch'io pensi dar luce al
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del suo sposo. ¶ Vid'io la cima, il grembo
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tuoi sì ben dispesi io trovo, ¶ Che nel gran
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suo stil felice, ¶ S'io per lui degna scorta
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m'accendi ¶ Sì, ch'io consento il bel lume
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in ora. ¶ Tal potess' io ritrarle in queste carte
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mal piume leggiere! ¶ Ma io, che maggior danno or
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Al mio signor vid'io. Voi, spirti eletti, ¶ Che
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l'orme belle, ond'io ¶ Rivegga intero in voi
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duol spregia tempo, ed io martiri. ¶ D'arder sempre
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vetro, ¶ Mille luci vid'io, ma non mi spetro
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Da terra sì, ch'io le dipinga in carte
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spinge il desio, ch'io volgo indietro ¶ Dall'opra
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s'avvien pur, ch'io ombreggi un picciol raggio
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Parte della cagione ond'io mi doglio; ¶ E 'l
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altra invola, ¶ O s' io son nel tormento al
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lieto fa beata; ond'io ¶ Non veggio il danno
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ella si dolse, ¶ Quant'io sempre mi doglio, poca
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la sostiene; ¶ Chè quante io leggo indegne o giuste
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quanti aspri martir dogliosa io vivo. ¶ Non sperava da
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de' miei voti alquanti. ¶ Io credo lor dispiacque tanta
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assenza e gelosia. ¶ Ma io, misera me! sempre pensava
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prava. ¶ Altri chiedeva guerra, io sempre pace, ¶ Dicendo: assai
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madre il figlio. ¶ Ma io, misera, cerco e sposo
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sinistri esser lontano, ¶ Diss'io, un ch'è animoso
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coce! ¶ Se vittoria volevi, io t'era appresso, ¶ Ma
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tuo amor digiuna. ¶ Ma io con volto disdegnoso e
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anno 1840. ¶ SONETTO I. ¶ Quanto io di vivo avea ne
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error disciolse: ¶ Non vivo io qui, lui miglior parte
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del mortal velo, ¶ Sent'io lo spirto suo del
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mondo intende ¶ Quel ch'io pria vidi, ch'è
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poter li pose amore, ¶ Io saria morta già, se
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Si sforza ombrarlo ovunque io vada o miri. ¶ Altro
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non spiega, pur quando io 'l richiamo ¶ Volgo dall
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foco mio raro, ¶ Mentre io qua giuso in voi
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era sì caro. ¶ Ond'io tremando, ardendo, i dolci
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sì leggiere ali, ¶ Ch'io non cadrò senza levarmi
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arde ancor, spesso vid'io ¶ Di sua propria virtude
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in danno; ¶ Ma quanti io formo liberi pensieri, ¶ Nel
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la mia salute anch'io m'affanno. ¶ SONETTO XIII
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petto ¶ Il mio sol, io nel suo, con quel
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godi, spirto eletto, ¶ Ma io qui resto in cieco
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antiche pene ¶ Fortuna affanni, io dall'usato pianto ¶ Più
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è quanto ¶ Sperar poss'io dal tristo mondo bene
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corpo esangue; ¶ Sì ch'io scriva nel cor quel
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coro ¶ Aver corona, s'io con leggier salto ¶ Saprò
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erto sentiero, ¶ Sì ch'io scorgessi in parte il
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di vetro. ¶ Chè s'io lo core umíl, puro
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intorno ¶ Con occhio disdegnoso, io non adorno ¶ Nè tergo
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la lingua snode; ¶ Tal io qualor il caldo raggio
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Interno; e senza ch'io stessa m'avveggia ¶ Di
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avveggia ¶ Di quel ch'io dico, le sue lodi
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ei ratto sen vola: io mesta e grave ¶ Rimango
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d'intorno, ora ch'io sento ¶ Vincer da nuovo
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può far degna; ch'io da me pavento ¶ Di
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Tempo è pur ch'io con la precinta vesta
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vigilia desta. ¶ Non ch'io sol pregi i suoi
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SONETTO XIX. ¶ Deh! potess'io veder per viva fede
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pietoso miracol grande, ond'io ¶ Sento per grazia le
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con un miracol ch'io ¶ Mi veggia intorno lucida
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il vero; oimè quant'io ¶ Debbo temer cui terren
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poggia. ¶ SONETTO XXVII. ¶ S'io guardo al mio Signor
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vero. ¶ SONETTO XXIX. ¶ S'io piena con Zaccheo d
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bel lume adorno, ¶ Ch'io gustassi altro che mondan
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l'armi celesti avess'io vinto ¶ Me stessa, i
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mercede ¶ Vivo ramo son io dell'ampia e vera
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dunque omai, sì ch'io frutto felice ¶ Faccia in
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nel suo ritorno? ¶ Ond'io dipingo in carte una
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il core: ¶ Tal ch'io sento sottil vivace ardore
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medesma l'onda. ¶ Tal io, s'incontra me vien
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desio ¶ Ritenta nuova guerra, io corro al lido, ¶ E
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Gesù; sì che quand' io ¶ Voglio, posso ad ognor
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Dall'aspre piaghe; ond'io con puro affetto ¶ Prenda
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SONETTO LXXIV. ¶ Per fede io so che 'l tuo
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però t'amo quanto io debbo; ond' io, ¶ Signor
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quanto io debbo; ond' io, ¶ Signor, del mio fallir
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e sì gradita, ¶ Ch'io lieta del suo onor
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furor umile e pura ¶ Io la mente aggia, e
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non sono ¶ Cagione ond' io, Noè, di voi ragiono
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piacque. ¶ SONETTO XCVIII. ¶ Potess' io in questa acerba atra
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mio core, allor ch'io sento ¶ Cader la fede
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dell'alta ambasciata ancora io godo, ¶ Che 'n quel
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nove dolcezze: ¶ Tal ch'io impari a sentir da
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un gran monte, ond'io mi specchio e tergo
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preghi in modo, ¶ Ch'io senta oprare in me
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sua vital forza: ¶ Ond'io sciogliendo, anzi spezzando il
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ciel beato ¶ Spirto, ch'io segua la bell'orma
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in croce cotant'ore? ¶ Io sol ti scorgo afflitto
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da tre chiodi. ¶ Risponde: Io legato era in mille
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mal m'offese. ¶ Ond'io non prendo il cor
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E mentre ei splende, io di desire avvampo ¶ D
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in pianto ¶ Là 've io prima toccai l'antica
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pensiero. ¶ SONETTO CXLIV. ¶ Quand'io riguardo il mio sì
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estreme umil pregasti, ¶ Dicendo: Io voglio, o Padre, unito
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si può aver, credo io, speme vivace ¶ Delle promesse
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gli piace. ¶ SONETTO CXLVIII. ¶ Io non sento che in
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tuo, ti rendo onore. ¶ Io per me sono un
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sempre Signor, vuoi ch'io il condanni; ¶ Tuo figlio
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cisterna ¶ Aperta, e ch'io con falsa sete sempre
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lei mi privo; ¶ Ond' io prego ed aspetto in
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crede. ¶ SONETTO CLXVI. ¶ Quand'io riguardo il nobil raggio
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com'egli dice, ch'io sospinta ¶ D'alto infinito
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s'ella è viva, io so che con soave
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alma gentile, ¶ Sì ch'io risorga del mio stato
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fatto più altero; ¶ Quand' io mi vidi più che
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che 'l laccio, ond'io molt'anni presi ¶ Tenni
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Ragion vi scorgo; ond'io prego 'l mio foco
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e sì lucenti, ¶ Ch'io mirando sovente il bel
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intenti; ¶ Dicendo: Oh vedess'io quando il gran sole
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di me: non ch'io giungessi tardo: ¶ Non è
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tempo infelice, ma son io, ¶ Misera, che per fede
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volando pura, ¶ Più ch'io non posso dir, bella
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spinse. ¶ Or convien ch'io riguardi e non ch
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riguardi e non ch'io ascolti ¶ Da te le
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Mossa da simil fede io scrivo, e spero ¶ Che
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vostro spirto degno. ¶ Sicch'io non già per dar
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il tuo spedito corso. ¶ Io grave d'anni agghiaccio
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òr larga mostrava; ¶ Quand'io le voglie alla ragion
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che con maggior forza io rinnovelle. ¶ Allor del pianto
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scorse amore, ¶ Volò, ch'io vidi la mia luce
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Tu scorgi allor, diss'io, com'arde e trema
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core il giorno ch'io ¶ Posi nelle tue man
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tutta m'ascose. ¶ Ond'io potea, sì del suo
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amoroso zelo. ¶ Fa ch'io possa ridir quel che
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sei di te contento! ¶ Io vidi allor un carro
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del gran nemico prede. ¶ Io avea già di tanto
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e dubbio l'intelletto. ¶ Io vedea l'onorata e
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l'umil nostra spoglia, io vidi 'l legno ¶ Che
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dolcezza e sempiterna elice! ¶ Io che da un altro
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le spalle, non cred'io che volga ¶ Il già
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del buon giudizio ammorza; ¶ Io per me son quasi
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D'INCERTO AUTORE. ¶ S'io potessi sfrondar dall'ampia
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duol pietoso ascolta. ¶ Ch'io l'occhio destro all