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il corpus scripta


esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

concordanze di «io»

nautoretestoannoconcordanza
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né delle ossa ch’io possa dire «Ecco cos
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colline, potevo ancora ritrovarmici; io stesso, se di quella
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grand’e grosso. Neanch’io in paese conoscevo nessuno
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le cose come sono. Io ce l’ho fatta
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grilli e di rospi. Io avrei voluto portarmela in
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zitto ascoltando la radio. Io sentivo sotto la musica
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il coltello dal manico… ¶ – Io non avevo che una
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ci sono dentro anch’io a quest’odore, ci
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qualche ragazzo, servitore com’io sono stato, qualche donna
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pensa a me com’io pensavo alle collinette di
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me n’hanno offerte. Io sto a sentire, con
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nei beni? ¶ – I concimi… ¶ Io che i concimi li
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il mio destino. Eppure io per il mondo, lui
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magre per guadagnar tempo. ¶ Io mi fermai, lui continuava
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mi guardavano. ¶ VI. ¶ Allora io dissi che, se il
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si avventò), dissi ch’io su quell’aia c
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Conoscevo questo gioco anch’io. ¶ Dissi: – Cos’hai? come
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tempo ero stato anch’io come lui, non bastava
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omone come me e io l’avessi accompagnato nei
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Padrino, avevamo una capra. Io la portavo in pastura
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ma sono piú profondi. Io dormivo nella stanza là
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disse, – è qui sotto. ¶ Io gli chiesi perché prima
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chiusi gli occhi mentre io lo guardavo e le
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dissi che facevo anch’io questo gioco quand’ero
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lavorato? Quando ci stavo io, c’era il camino
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potendo prendersela con me. Io e Cinto ci guardammo
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afa e il sudore. Io studiavo la parete di
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le altre potevano servire. Io gli dissi che c
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strada è fuori mano. Io invece ci passavo sovente
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diga nel Belbo quand’io ancora dovevo nascere. Passava
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erano sempre chiuse quand’io d’inverno correvo a
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e allora entrai anch’io a dir qualcosa, per
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ci avevo giocato anch’io con Angiolina e Giulia
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L’ho sentita anch’io e ho visto gli
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i morti di fame. ¶ Io dissi che Cinto avrebbe
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chiamarono in segheria e io discesi sullo stradone ridendo
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addosso qualcosa di simile. ¶ Io sono scemo, dicevo, da
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lavoro che facevo anch’io – di qui partiva la
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sempre nella luna. Ma io, che non credevo nella
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Tutti mobilitati. ¶ – Non sarò io a rallegrarmi di quei
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ha mai fatte, ch’io sappia. ¶ – Al vostro posto
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preti hanno sempre ragione. Io lo sapevo, e lo
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niente con la politica. Io per tutto lo stradone
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fermò. Mi soffermai anch’io e guardai giú nella
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per quello che erano, io di qua tu di
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per sfruttare il contadino, io perché abbiate un avvenire
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il paese? ¶ Mentre parlava, io mi vedevo Gaminella in
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non restassimo adesso che io e Nuto, proprio noi
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ero un uomo anch’io, ero un altro – se
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tua mamma, – brontolava Padrino. Io capivo che quell’autunno
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ragazze e Padrino – e io, quando venne il carretto
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che ti hanno fatto… ¶ Io sapevo già tutto. Sapevo
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Serafina. Li avevamo trovati io e Giulia in Gaminella
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a metà collina e io, avvezzo alla vigna di
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spargemmo il letame, conducevo io il carretto fumante. Con
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il vinello, o facevo io una scappata a casa
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accendevano il fuoco, e io stavo a sentire, vedevo
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la porta a vetri, io per un pezzo non
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facessi, le portassi qualcosa. Io cercavo di sparire sotto
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leggero, come gli specchi – io camminavo scalzo sui mattoni
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roncare o far salici, io lo dicevo ai miei
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e ceci, pochi ceci. Io so cos’è, so
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vuoi vedere quella tina? ¶ Io sapevo dov’era la
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acuti – gli avevano dato. ¶ Io intanto vidi. La vecchia
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disse rabbioso. ¶ Poi tacemmo. Io pensavo alla vecchia. Dietro
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volte che incontravo Cinto io pensavo di regalargli qualche
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tuo padre ti lasciasse, io ti faccio insegnare qualche
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fu andato, Nuto disse: – Io tutto capisco ma non
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avevamo inseguita e acchiappata io e Nuto, pigliandoci non
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correva, voleva dire ch’io ero già da piú
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giorno avrei preso anch’io quel treno per andare
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sulla spalla, all’improvviso. Io che studiavo quante biglie
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che o lui o io arraffavamo una bottiglia in
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giardino l’ho inserito io sulle prugne. Il sor
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Quando passavano col parasole, io dalla vigna le guardavo
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e mi disse che io ero a giornata con
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le feste alla bambina, io non sapevo se dovevo
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chi le prende. Ma io lavoro per piú di
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lavorare come un uomo. Io non ero cambiato per
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si ricordavano di me. Io chiesi com’erano adesso
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no. Gli dissi che io una volta mi ero
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sarebbe voluta una moto. Io cominciai a raccontargli di
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cosí, non ero zoppo io, ma quante volte avevo
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di Campetto, dappertutto, e io restavo con Giulia e
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si mise a abbaiare, io zitto. ¶ Dopo un po
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Mora tornò a popolarsi, io ne sapevo abbastanza sulla
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a notte tardissimo, ch’io dormivo da un pezzo
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Quando sentivo il pianoforte, io a volte mi guardavo
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chiamato sul terrazzo (anch’io c’ero andato con
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imboccato il clarino, e io vedevo per la vetrata
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e Irene suonò ancora. Io restai sul terrazzo e
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massaro, – due ragazze cosí. ¶ Io stavo zitto, e certi
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ero entrato alla Mora. Io facevo l’attendente del
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in giro quando parlavo. Io la guardavo dritto in
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mi portavo il fagotto. ¶ – Io non ci torno al
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per esempio. Allora ridevo io e le dicevo «non
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maledire, ch’ero anch’io come gli altri. «Eppure
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volentieri, ci vengono apposta. Io un mestiere ce l
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capra dell’alta Langa. Io dicevo ridendo ch’ero
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il sangue. – Prendi Ganola, – io ribattevo, – è un insensato
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dietro lo fanno arrabbiare). ¶ Io a queste cose ci
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messa in mente ch’io potevo servirle non so
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I primi tempi, parlandole, io nascondevo le mani e
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andare sulla costa. Ma io mi tenni, non volli
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fosse nel mio letto. Io ridevo, non so bene
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poverette – ci sono morte. ¶ Io capii questa loro debolezza
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rossi e non mangiava. Io non capivo che cosa
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la nebbia; gli attaccai io il cavallo, dovevano trovarsi
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si dominava e diceva: – Io te lo lascio. Perché
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con noi a Tripoli… ¶ Io sapevo com’era la
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giorno ch’ero rimasto io solo alla Mora. Ci
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le melighe, i prati. Io avevo allora sedici anni
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che stetti alla Mora io prendevo cinquanta lire e
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da Canelli per vestirle. Io le condussi in biroccio
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passeggiata. Irene ci andava. ¶ Io dai fagioli dell’orto
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rideva, a bassa voce. Io non potevo star sempre
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un bastardo come me. Io sono nato cosí». ¶ Ci
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si salvava la faccia. ¶ Io cercavo di cogliere sulla
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nella vigna bianca, e io la guardavo accovacciata sotto
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altro, mi sentivo davvero io, non sapevo nemmeno bene
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erano cambiati gran che; io, ero cambiato. Si ricordavano
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non sapevo nemmeno piú io che cosa credere, ma
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parlavamo del nostro destino. Io tendevo l’orecchio alla
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mi cercava ancora, ma io avevo il coltello e
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conigli sono scappati, ma io avevo il coltello… È
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Faceva fresco, quasi freddo. Io ero stufo di discussioni
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Irene fu in pericolo, io cercavo di non piú
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chiacchierava con le donne. Io le chiedevo che cosa
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anno Nuto andò soldato, io adesso ero un uomo
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anni avrei preso anch’io quel treno, come Nuto
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e dei figli grandi, io non lo vidi mai
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e Cesarino non tornò. ¶ Io in quei giorni ero
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di un altro castello. Io mi accorsi che quelle
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sembrava lei la sposa. ¶ Io andavo soldato quella primavera
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cielo sopra la colombaia. Io quel mattino m’ero
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Quando attaccammo la salita, io scesi a terra per
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cascina, un campanile, e io conoscevo la qualità delle
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non conoscevo i miei. Io le risposi che vivevo
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delle belle mani, e io subito le nascosi. Allora
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cercare i loro amici. Io dovevo tener d’occhio
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contento di averle portate io sul biroccio, di essere
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cavalli scendevano sulla strada. Io con un occhio cercavo
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giovanotti, e portarle anch’io a ballare. ¶ La corsa
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era fresca e chiara, io giravo dietro le baracche
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quella riva dei noccioli. Io venni su con le
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municipio il mio scudo; io mi vantavo con Giulia
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altri mi dicevano bastardo, io credevo che fosse un
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piú lo scudo, che io ancora non avevo ben
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le loro sorelle, ma io me ne stetti a
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chiesero se avevo anch’io la mia ragazza. Dissi
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stare cosí mentre guidavo. Io tenni le briglie, guardando
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tempo gli avrei fatto io un posto a Genova
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Cinto era giudizioso. Ma io lo presi ancora da
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casa da viverci, e io dovevo ripartire l’indomani
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non abbiamo neanche parlato. ¶ Io ridevo. – Ti ho perfino
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pietre e di cenere. Io girai tra quelle pietre
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buio dietro le stelle. Io pensavo che domani sarei
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ballare soltanto quando suonavo io. Era viva sua madre
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intorno, cercava una strada. Io pensavo com’è tutto
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festa, come avevo fatto io con le sorelle. Nei
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senza levare gli occhi, – io so come l’hanno
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ammazzata. C’ero anch’io. ¶ Si mise per la
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Vorrebbero che facessi anch’io la fine d’Irene
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dà uno schiaffo. Ma io la mordo la mano
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festa… Credi che anch’io non ce l’abbia
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se stessa. ¶ – Andrei anch’io sulle colline, – gli disse
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andava a quei tempi. Io non ero tranquillo. ¶ Nuto
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erba davanti alle gaggíe. ¶ Io piú che Nuto vedevo