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Vittorio Alfieri, Ottavia, 1783

concordanze di «la»

nautoretestoannoconcordanza
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1783
POPPEA ¶ SENECA ¶ TIGELLINO ¶ Scena, la Reggia di Nerone in
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se ad altri non la togli. ¶ Nerone ¶ Intera ¶ l
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l'accrescitor saresti, ¶ senza la man di Ottavia? Ella
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Ottavia? Ella del soglio ¶ la via t'aprì: pur
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il ripudio ell'è. La infida schiatta ¶ della vil
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core hai ferma ¶ già la feral sentenza. Il tuo
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rea ¶ pronunziavi tu stesso la superba ¶ madre mia, che
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e lascia ¶ a me la stima di me stesso
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tu l'abbi, io la ti lascio. — Esperto ¶ mastro
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rio che altr'uom la plebe; in te gran
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io pur ne porto ¶ la pena tutta: del regnar
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cangia il saggio e la favella, e l'opre
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E con te pur la tua virtù mentita, ¶ altero
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serbo a te poi la scure. — Or, qual fia
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lacera, muta, annichilata cade ¶ la superba sua plebe. Appien
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impero tuo ¶ che non la mandi? esiglio, ove pur
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ell'abbia ¶ Roma, e la reggia mia. ¶ Poppea ¶ Che
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potessi ¶ appien così strappar la immagin tua, ¶ come da
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osa. ¶ Nerone ¶ Il cor, la mente ¶ acqueta; in bando
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qui scorgeralla. Il vuol la tua non meno, ¶ che
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tua non meno, ¶ che la mia securtà: che più
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di mie guardie cinta la vedrai, ¶ non tua rival
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Ottavia temi?... ¶ Poppea ¶ Non la beltà per certo; ognor
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beltà per certo; ognor la mia ¶ prevalse agli occhi
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temo ¶ il finto amor, la finta sua dolcezza; ¶ l
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andaro. A voler spenta ¶ la tua rival, lascia che
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il fratello; ¶ cieca obbedir la torbida Agrippina ¶ la vidi
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obbedir la torbida Agrippina ¶ la vidi; i suoi scettrati
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scettrati avi nomarmi ¶ spesso la udii: ben son delitti
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dico esiglio? ¶ recesso ameno, la Campania molle ¶ nelle lor
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erba e i fior, di fresc'onda in
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Or, lice ¶ ch'io la cagione al mio signor
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io, ben so, non la trovasti ancora, ¶ né troverai
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smentirlo, o a riceverne la pena, ¶ a qual più
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in non cal tenne la sua, ¶ invidiata: ed or
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che aver ne possa la tua plebe. I Numi
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Neron, fin ch'ei la fama a me non
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di virtudi omai ¶ è la tua fama: il fosse
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il fosse al par la mia!... ¶ Ma, giovin, donna
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ancora: ignota ¶ m'è la cagion; né so qual
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tal forza ¶ donde trarrei? La morte, è vero, io
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vero, io temo: ¶ eppur la bramo; e sospiroso il
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dì. Tosto che udrà la plebe ¶ del tuo ritorno
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in mia possa. Invan la plebe stolta ¶ vederti chiede
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favella. ¶ Tigellino ¶ Vieppiù feroce la tempesta ferve: ¶ rimedio sol
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tuo senno. — Appena ¶ ode la plebe, che un sovran
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temporeggiar momenti ¶ ben puoi. La plebe credula, e ognor
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mi finga tua. Così la calca ¶ fia spersa tosto
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col ferro il rintuzzar la gioia. ¶ E se in
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ben sai che sia la plebe; ¶ seco indugiar fia
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Nerone! il volgo ¶ pur la sua donna a lui
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Del tuo signor rispetta ¶ la sposa; trema... ¶ Poppea ¶ Eh
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cor; costei ¶ ti affascinò la mente; ella primiera, ¶ ella
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l'ama più crudel la morte. ¶ Poppea ¶ Ecco Neron
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fra poco anch'egli ¶ la ragion stessa, che alla
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i preghi chiusa ¶ trovan la via: verrà tra breve
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Ardisce ¶ pur crude mire la ria plebe appormi: ¶ e
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più furore, io posso ¶ la già commossa plebe; appien
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mi adiro! Io son la ria cagione ¶ d'ogni
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son presta, ¶ Roma or la sdegna. Alla prosapia infame
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dì pervenga, è meglio, ¶ la imperial possanza. — Animo forte
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m'è tolto, e la vita. All'ira immensa
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ode ¶ ciò minacciare; e la minor fia questa ¶ di
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sa? ne incolperesti forse ¶ la misera Poppea. Quel ch
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popol stolto, ¶ ch'io la di lei pietà? ¶ Nerone
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non ferro mai?... ¶ Tigellino ¶ La men probabil cosa, ¶ vera
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tenebre. Qui deggio ¶ aspettar la mia sorte; il signor
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rei bagordi egli apre ¶ la notte già. Securo stassi
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Agrippina l'eccidio: ognor la prima ¶ vivanda è questa
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godi, è pur sempre la innocenza tua. ¶ Le tue
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a mirar dappresso assai la morte, ¶ tu stai securo
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vita; ¶ ma, di aspettar la morte io non ho
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sperava i tuoi. Dovea la plebe ¶ udir da me
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invano io vissi: ¶ tace la plebe; ed altro omai
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traggo, ¶ e men trafiggo... La mia destra forse ¶ mal
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sorbita ho coll'alito la polve ¶ mortifera... ¶ Seneca ¶ Me
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grida omai? Dov'è la plebe? — ¶ Ben scegliesti: partito
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guardia; e il fu la tua. Gli Dei ¶ scampo
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in questa gemma stava ¶ la mia salvezza. Di tua
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ultima è questa, e la più orribil trama ¶ per
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dì costei. — ¶ Nerone ¶ Più la conosco, più l'amo
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delitto di Seneca, e la morte. ¶ SCENA VI ¶ SENECA