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il corpus scripta


esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

concordanze di «lo»

nautoretestoannoconcordanza
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dove son nato non lo so; non c’è
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Da un anno che lo tengo d’occhio e
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di nuovo che adesso lo sapevo, e quel tempo
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carri, i birocci e lo stallatico dei cavalli e
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bocca quel sapore, sentivo lo schiocco dei sarmenti rotti
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il mandolino, andando per lo stradone nel buio, lontano
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che veniva da Bubbio. Lo capii dalla statura e
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donne ti piacciono? ¶ Passai lo straccio sul banco. – Colpa
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del Salto… ¶ – Nuto? ma lo conosco. ¶ E allora l
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Per questo un ubriaco lo caricavano di botte, lo
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lo caricavano di botte, lo mettevano dentro, lo lasciavano
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botte, lo mettevano dentro, lo lasciavano per morto. E
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vuole. C’era uno, lo chiamavano il Ghigna, che
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mangiare di notte. Me lo aveva detto sua mamma
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prese il filo e lo tirò, che rantolava. Il
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se il Valino tornava, lo aspettavo. Risposero insieme che
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era nato cosí, lei lo sapeva che quel cane
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mi veniva dietro interessato. Lo portai fino in fondo
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Intanto dalla riva veniva lo schianto di una roncola
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gli occhi mentre io lo guardavo e le donne
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fondo alla riva, adesso lo guardava. ¶ Senza parlare, il
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libero. Da ragazzo non lo sapevo ancora, eppure avevo
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mie lettere. ¶ Il caffè lo presi un giorno col
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che prendevano il caffè, lo burlavano sovente su quei
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Gli dissi che non lo sapevo. Tacque un momento
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non prendevo mai niente. Lo lasciai nel suo bosco
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Poca roba, – disse lui. – Lo fanno grosso alla Stazione
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allora com’è che lo si accende sempre fuori
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ma invece il letame lo metti nel buono… ¶ Questi
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perché quella voce rabbiosa lo chiamava, o passava un
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nome d’ottone… ¶ – Piú lo svegli, – dissi, – piú capisce
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di quando eravamo ragazzi, lo lasciava cadere. O magari
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lasciava cadere. O magari lo cambiava a suo modo
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piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una
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un bel po’, ma lo chiamarono in segheria e
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anno. ¶ Fatto sta che lo sapevo che non sarebbe
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unico segno di civiltà lo davano la ferrata e
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le stelle, era possibile? ¶ Lo starnuto di un cane
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saltare. Spensi il cruscotto; lo riaccesi quasi subito. Per
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Sorrisetti). Piú nessuno se lo ricordava. Ricominciarono a discutere
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terra e masticava amaro. – Lo sapevo, – disse poi, – ha
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morti impiccati. Se rifiuta, lo smerdate davanti al paese
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disse, – e di farci lo stesso il suo comizio
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hanno sempre ragione. Io lo sapevo, e lo sapeva
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Io lo sapevo, e lo sapeva anche lui. ¶ XIII
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Tornai da Nuto e lo trovai che misurava degli
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politica. Io per tutto lo stradone, dal paese al
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paese che un discorso lo puoi soltanto fare in
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suona ancora le campane lo deve ai partigiani che
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le brigate nere. Tutti lo sanno. Poi un giorno
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non mi voltai indietro. Lo passai con gli zoccoli
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i manzi, a cambiargli lo strame non appena stallavano
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zappassero, che dessero bene lo zolfo o il verderame
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maneggiava le pialle, maneggiava lo scalpello o la sega
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la mania delle donne – lo diceva anche Cirino – come
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su con un secchio, lo posai sui mattoni del
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o far salici, io lo dicevo ai miei soci
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gli era sempre addosso, lo sorvegliava dalla vigna, le
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vigna, le due donne lo chiamavano, lo maledicevano, volevano
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due donne lo chiamavano, lo maledicevano, volevano che invece
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tesa, di Cinto quando lo trovavo sulla strada e
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storia del cane che lo tenevano legato e non
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Valino scendeva dal letto, lo ammazzava di cinghiate e
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il soldo e chi lo difende… ¶ Per strada gli
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capiva che quel verso lo faceva giorno e notte
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già con suo padre; lo vedevo al banco ma
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fa ma da come lo fa, e che certe
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i giorni e nessuno lo fa lavorare, di valere
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i suoi di casa lo mandano a scuola. Sei
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scuola. Sei tu che lo mantieni lavorando le terre
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dei suoi. Lui neanche lo capisce –. Fu Nuto che
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su e giú per lo stradone, e prendevano la
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giornata. Adesso zappavo, davo lo zolfo, conoscevo le bestie
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sera fui felice e lo dissi a Cirino, a
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tasca, le perdevo. Me lo chiese che c’era
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becco, fatto sta che lo lasciavano girare e scherzare
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cercavamo. ¶ – Se tuo padre lo vede, – gli dissi, – è
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è capace che te lo prende. Dove lo nascondi
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te lo prende. Dove lo nascondi? ¶ Cinto rideva, con
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padre, – disse. – Se me lo prende lo ammazzo. ¶ Al
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Se me lo prende lo ammazzo. ¶ Al banco dei
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in mano il coltello, lo apriva e lo chiudeva
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coltello, lo apriva e lo chiudeva, provandone le lame
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il Valino, nero. Lui lo sentí, se ne accorse
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per lui, certi momenti lo invidiavo. Mi pareva di
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che i vetri tremavano, lo suonasse lei sola, con
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volevo tornare a casa. Lo diceva metà per ridere
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ma a Genova nessuno lo vuole. Bisogna che vada
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ignoranti che gridandogli dietro lo fanno arrabbiare). ¶ Io a
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facevo americano. Perché non lo sono, brontolai – because I
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loro. L’Emilia ce lo disse una sera, seduti
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cintato e una riva lo separava dalle nostre vigne
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i pomeriggi d’inverno lo fecero entrare e lui
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ma lui il filo lo faceva a Irene. Irene
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anche Arturo. Chi non lo voleva era Irene, perché
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la madre. Silvia invece lo difendeva, diventava rossa, e
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e diceva: – Io te lo lascio. Perché non lo
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lo lascio. Perché non lo prendi tu? ¶ – Buttatelo fuori
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Silvia diceva allora che lo scemo era il toscano
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su e giú per lo stradone, e quando ripassavano
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parli… ¶ – Sei tu che lo vedi, – diceva Irene, – sei
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tutti che avrebbe fatto lo stesso. La matrigna non
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morto in piedi, non lo so; una volta ch
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giornale illustrato delle sarte – lo faceva comprare apposta a
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sola, andava a Canelli, lo guidava lei come un
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il passo, il sobbalzo, lo scatto della testa – la
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toccava allora, e non lo sanno, non ci pensano
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gatto: – E questo qui lo conosci ancora? – Poi si
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serva, la sfruttata, se lo meritava, noi volevamo tener
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ha visto… ¶ XXVII. ¶ Nuto lo prese per le spalle
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per le spalle e lo alzò su come un
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Le ha ammazzate? – e lo scrollò. ¶ – Lascialo stare, – dissi
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era per batterlo, che lo chiamava soltanto. Allora aveva
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sotto un sacco, se lo riconosceva. Fecero un mucchio
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cercava il suo coltello, lo chiedeva a tutti e
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Cinto la risarcisse, pagasse, lo mettessero dentro. Si seppe
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peccato mortale. Ma questo lo disse soltanto la sarta
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indomani mattina. Il ragioniere lo seppe e voleva ammazzare
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figli grandi, io non lo vidi mai che da
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aveva perso la testa, lo aspettava al caffè dello
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prete dai capelli bianchi lo salvava e lo sposava
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bianchi lo salvava e lo sposava all’ereditiera di
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in un palazzo è lo stesso, che il sangue
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suoi capelli negli occhi lo guardava adesso con l
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voleva saperne di Arturo. Lo trattava docile ma fredda
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trattava docile ma fredda, lo accompagnava nel giardino e
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parlavano. Arturo era sempre lo stesso, aveva mangiato altri
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che Silvia era incinta. Lo seppe lei prima del
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mise a letto e lo riempí di sangue. Morí
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senza che suo padre lo sapesse, ma lui sentí
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state puttane. Lui non lo disse, ma arrivava serio
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girava nei beni. ¶ Irene lo accettò per andarsene, per
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brontolare e far scene. Lo sposò in novembre, l
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risposi che vivevo tranquillo lo stesso; e fu allora
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in una scodella e lo fecero leccare a Laiolo
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Suonarono un pezzo che lo sentirono dal Mango. ¶ A
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piena del Belbo; Laiolo lo portava un giovanotto che
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cavallo. ¶ XXXI. ¶ Cinto se lo prese in casa Nuto
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era giudizioso. Ma io lo presi ancora da parte
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viti. – Un fico me lo mangio, – dissi, – non fa
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trave, ch’era ancora lo stesso, e gli dissi
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pensavo com’è tutto lo stesso, tutto ritorna sempre
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Tanto vale che te lo dica, – fece Nuto d
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Non disse niente e lo lasciai parlare. Guardavo la
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non ci pagava piú lo scudo, che io ancora
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fucile o una pistola lo nascondessero nella riva. Due
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grosse cime, a distanza. – Lo sapevi che Gaminella è