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il corpus scripta


esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Carlo Goldoni, Gl'innamorati, 1759

concordanze di «ma»

nautoretestoannoconcordanza
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amici miei di Firenze, ma mi è costato il
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se io lo potessi, ma ella è qui per
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io sono malamente occupato, ma quasi continuamente occupato. So
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fare la vostra fortuna. Ma voi, sorella cara, lo
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mi ha fatto niente, ma non la posso vedere
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non le porto odio; ma non la posso vedere
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Eugenia. Sì, va bene, ma che bisogno c’è
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lo farete, farete bene. Ma torno a dire, io
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Vorrebbe far lo sdegnato, ma non lo sa fare
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Sentite? (ad Eugenia) ¶ Eugenia. Ma ci verrà. (a Flamminia
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con più forza) ¶ Eugenia. Ma ci verrà. Bramerei due
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sentire. Mio bene... ¶ Eugenia. Ma bene bene... (con caricatura
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il mio bene... ¶ Eugenia. Ma bene. ¶ Flamminia. Io non
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non sono la crudelaccia; ma la vostra fedele, sincera
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prima nobiltà di Milano; ma io non l’ho
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colle mie nipoti. ¶ Flamminia. Ma noi non ce n
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carissima la vostra compagnia (ma più quella delle sue
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Fabrizio. Compatirà la miseria, ma sentirà un paio di
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ingrandisce tutte le cose, ma credo che non si
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servitore solo, vecchio, stordito. Ma farò io. I buoni
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dato fine a tutto. Ma non importa. Io ho
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appartiene alla signora Eugenia, ma io parlerei più volentieri
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Desidera farlo con civiltà, ma qui non lo vedrete
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mi farebbe piacere). ¶ Lisetta. Ma perchè questa risoluzione così
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detto di certa lettera; ma non l’ho capito
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vi avevo raccomandato?) ¶ Ridolfo. (Ma se non ho veduto
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Ridolfo. Amico, vi compatisco, ma non mi mettete più
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vi dispiace. Vi compatisco, ma permettetemi che qualche cosa
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pensateci prima di risolvere, ma quando avete pensato, ma
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ma quando avete pensato, ma quando avete risolto, non
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lo conosco da me; ma in avvenire voglio assolutamente
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pare ilare in volto. Ma qualche volta sa fingere
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non mi vorrei inquietare, ma ho paura non potermi
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e ci conosciamo. ¶ Fulgenzio. Ma il mio servidore in
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ci veniste volentieri. ¶ Fulgenzio. Ma cara Eugenia, possibile che
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quella povera mia cognata. Ma sapete il debito che
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si può parlare. ¶ Fulgenzio. Ma se sempre mi provocate
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amano? ¶ Flamminia. Sono innamoratissimi, ma sono tutti e due
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venga qui? ¶ Flamminia. Sì; ma vorrei che fosse da
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mi gira la testa. Ma ho fatto poi una
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sì. (come sopra) ¶ Fabrizio. Ma spicciati. ¶ Succianespole. Gnor sì
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quelli, che fanno tremare. Ma via, chiamatelo. (a Flamminia
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avevo una, per dirla, ma siamo per convenire cogli
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guadagnare senz’altro. ¶ Roberto. Ma se già ho i
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consegnar le scritture. ¶ Ridolfo. Ma se sta per accomodarsi
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Non fo per dire, ma un servitore come lui
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È di buon core, ma anche il buon core
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compiaccio che lo diciate; ma dei casi ne potriano
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il cielo vi benedica. Ma state allegra. Io non
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veduta e ammirata. ¶ Fabrizio. Ma in due ore non
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tira innanzi così). ¶ Fulgenzio. Ma io, signore, non posso
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il signor Fulgenzio. ¶ Fabrizio. Ma facciamo le cose ben
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è un prodigio). ¶ Flamminia. (Ma giusto cielo! che testa
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si pasce di sdegno, ma di dolcezze. (a Fulgenzio
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non ho merito alcuno; ma vi accerto bensì, che
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vedermi fare delle pazzie. Ma questo gusto non ve
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sì alza affettando indifferenza, ma si vede che freme
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Fulgenzio. (Penerò un poco, ma lo supererò questo indegnissimo
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labbra). (come sopra) ¶ Eugenia. Ma ora che ci penso
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stracciare il fazzoletto.) ¶ Eugenia. Ma si consoli, che dormirà
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ad un altro. ¶ Eugenia. Ma come è possibile mai
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cielo mi fulmini. ¶ Fulgenzio. Ma perchè addomesticarvi col signor
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do occasione di sospettare, ma la poca fede che
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Sono inquieta, è vero; ma le mie inquietudini sono
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tormento, sì, qualche volta, ma chi ama davvero soffre
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più ricca, più meritevole, ma non più tenera, nè
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privatemi della vostra vista, ma conservatemi i giorni vostri
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quel rispetto che meritate; ma dacchè partì mio marito
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padrone di questa casa, ma non con quell’incivile
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Lisetta e Tognino. ¶ Lisetta. Ma che desinare arrabbiato è
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perchè li dubiti innamorati, ma perchè vorrebbe essere ella
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di essere amata? ¶ Tognino. Ma quando termineranno questi loro
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signor Ridolfo gli parta, ma egli non gli risponde
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sempre finto volermi bene, ma non me ne ha
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d’ogni altro affetto. Ma è impossibile, mi dirà
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Avete delle ore buone, ma altresì delle ore molto
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l’ha invitata. ¶ Eugenia. Ma che cosa le ho
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ch’io vi amo, ma sapete altresì ch’io
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può deridermi, può insultarmi, ma non mi può intaccar
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e di me stesso. Ma tutto questo sarebbe poco
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saggia, quando volete. ¶ Eugenia. Ma questa volta son pazza
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di non essere preferita; ma, cara Eugenia, disingannatevi; vi
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che la conduciate. ¶ Fulgenzio. Ma con malanimo. ¶ Eugenia. Non
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fine della mia vita, ma non per questo un
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la passione al decoro. Ma che dico io di
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smanioso e incerto) ¶ Ridolfo. Ma se ve lo dice
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il perfido mi abbandoni, ma ira contro me stessa
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ammiri la mia costanza. Ma quale costanza, se mi
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tirasse a cimento). ¶ Roberto. Ma voi, signore, me l
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dei quali mi caricate: ma vanto quello della sincerità
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bontà. ¶ Roberto. Credo tutto, ma ella ha il cuor
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Roberto. Non tanto, signora. Ma uno stato comodo non
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nipote vale un tesoro; ma le convenienze della mia
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mantenerla. (ad Eugenia) ¶ Eugenia. Ma signore... ¶ Fabrizio. Non c
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me! cosa ho fatto? Ma ho fatto bene. Fulgenzio
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di una patetica disperazione; ma prima di morire, avrò
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Ella essere saggiamente nemico. Ma Ella da troppa gente
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non per se stesso, ma per la Patria. Ciò
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di lei particolari Virtù, ma qui incontrerei lo scoglio
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attraversino le loro brame, ma la pazza gelosia, che
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che per te more, ma trema della giustizia del
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se non mi amasse... Ma oh cieli! potrebbe fingere
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poco! (ad Eugenia) ¶ Flamminia. Ma via, dico. (a Fulgenzio