Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

Genova, mi sfugge di mano. Queste cose si capiscono

mio primo salario in mano, m’ero buttato nella

vedermi la zappa in mano, – dicevo, – quelli di casa

all’indietro con la mano: – A te queste donne

il sole, aveva in mano una pelle di coniglio

averli sventrati. Mossi la mano e feci un cenno

passo e con la mano libera menò un salice

mazzo di carte in mano a uno che teneva

questa strada è fuori mano. Io invece ci passavo

sentivo già addosso la mano del poliziotto come l

paese è tutto in mano a quel prete. ¶ – Vuoi

caccia. Scavezzacollo, ma alla mano. Trattava gli affari ridendo

si contenta – e diede mano a una sedia di

meglio quattro soldi in mano che un milione in

vedi i fogli in mano alla gente neri di

fossati. Lui teneva in mano il coltello, lo apriva

una chiesa. Portai a mano il cavallo sulla ghiaietta

il biglietto, piantare la mano in un certo modo

C’incamminammo tenendolo per mano. La collina di Gaminella

erano corsi a dar mano; c’era stato un

con la lampada in mano, senza vetro. Era corso

con una corda in mano. Cinto, sempre stringendo il

tornò con Santina per mano, dallo stradone: nessuno era

e si portò la mano sulla bocca. – Adesso, – ghignò

dava l’acqua alla mano d’Irene. Era sempre

si pulí con la mano e imboccò il clarino

Irene, che baciassi la mano che mi dà uno

io la mordo la mano che mi dà uno

subito, lei dava di mano a una pistola e

adesso di averla in mano vestita di bianco. La