Domenico di Giovanni, [Sonetti], 1449?

pensier negli occhi, ¶ Che mi fa contemplar se i

mosto. ¶ Domandando di ciò, mi fu risposto ¶ Da un

ngrassar vigne di canne, ¶ Mi disse, Sirmaigot, Lanzimanne, ¶ Che

mal tondi. ¶ La Luna mi dicea: che non rispondi

era pien di buchi ¶ Mi fece cenno, che menava

grossi, ¶ Però ch'io mi riscossi ¶ Quanto sentì gridare

sdegno Ercole a Cacco, ¶ Mi fe' fuggire un granchio

stivali del gran Siniscalco ¶ Mi feciono invaghir dell'Acqua

dicendo, il vin cercone ¶ Mi fa portare a i

cigne. ¶ O 'l farsetto mi strigne; ¶ O veramente Siena

dir, che 'l corpo mi gorgoglia. ¶ XXXV ¶ Nel belicato

son miglior rifritti, ¶ Pietà mi venne, e sì gli

fan dimoro: ¶ E tutto mi scoloro ¶ Leggendo il primo

della mia Patria ancor mi preme ¶ Per amar Pisa

sue castelle, ¶ E più mi manda un cartoccin di

miglio: ¶ Sì ch'io mi maraviglio, ¶ Che le Farfalle

Rubiglie innanzi al cor mi stanno, ¶ E sol per

calzato di verde, ¶ Pro mi faccia, alla barba di

uguria. ¶ E poco stante mi calò la furia ¶ Sentendol

funghi. ¶ Acciò ch'io mi dilunghi, ¶ Se la Pecchia

era pien d'ucchiegli ¶ Mi disse colla voce assai

notte i vostri fischi ¶ Mi fanno nelle stelle contemplare

che tutto il dosso mi cinischi, ¶ Perch'io vò

E questa cosa molto mi dispiace, ¶ Se i fanciu

dietro a Pier Frustà mi par che mucce, ¶ E

non ne vuoi; ei mi par che tu nicchi

Santerellesi tutti scritti, ¶ Che mi dicean: sei tu ancor

non fussi alcuno, ¶ Che mi chiamò da parte, e

Tre quarti d'Accia mi vendè a ritaglio; ¶ E

corse, ¶ E colla rocca mi ferì di taglio, ¶ Il

taglio, ¶ Il burro, che mi vidde in tal travaglio

Col tavolin del fico mi soccorse; ¶ Allora incominciò la

azzurri di speranze bianche ¶ Mi vengon nella mente, e

ti prego, che ti mi dichiari, ¶ A una fava

viso di Medusa, or mi soccorri, ¶ Sì che dalle

Sì che dalle Cicogne mi difenda, ¶ Veggendo Siena aver

Che per gran sete mi pizzican gli occhi. ¶ CVII

a così gran torto ¶ Mi scurasti la luce, ond

forche di Pedanti Marchigiani; ¶ Mi rimembran de' morsi de

mio calcagno forte sì mi duole ¶ Nè sò che

Nè sò che medicina mi vi faccia: ¶ Chi vuol

le labbra serrare, ¶ Onde mi bisognava sbombardare ¶ Per la

bocca, e 'l naso mi faceva un guazzo, ¶ Ch

guazzo, ¶ Ch'i diacciuoli mi fea tenere al mento

altro stento, ¶ Ch'andando mi pareva ambiante il mulo

n su la sella mi trottava il culo. ¶ CXXVIII

arnesi, nè pianella, ¶ Che mi mettesse dentro allo steccato

occhi, nè cervella; ¶ Poi mi pensai, che gli chiudeano

lui, per che cagioni ¶ Mi cavi il mio Burchiel

comincia: Io ti prego mi perdoni ¶ Donna, s'alquanto

bacino; ¶ Ma chi meglio mi vuol, mi paghi il

chi meglio mi vuol, mi paghi il vino. ¶ CXXXIII

al letto ¶ Ch'io mi levo a buon'otta

sol soletto: ¶ E appena mi son posto in sul

un poco, ¶ E sì mi dice, andrestine a dormire

Toscano, ¶ Sempre alla lingua mi riman la stoppa: ¶ E

magno Re Alfonso elezzionato ¶ Mi par venuto d'India

E dì, ch'io mi consumo di vederli; ¶ E

gozzaja, ¶ Che 'n vero mi parrebbe un nuovo giuoco

cosa, che niun prò mi faccia, ¶ E già la

E già la Quarantina mi minaccia. ¶ CXLIV ¶ Io vidi

altra: io ne vorrò mi du. ¶ Dissi, deh vien

nello specchio de' Narcissi; ¶ Mi van facendo dietro pissi

vò vestito alla Franciosa ¶ Mi dan di petto, stropicciando

tanto bui, ¶ Ch'andando mi fo lume colle mane

il cane: ¶ Io non mi lavai man, poi ch

rimbombo; ¶ Onde un dì mi rispose una colomba, ¶ La

Come dicessi, vè che mi lasciasti, ¶ Perchè m'avessi

lode: ¶ Che l'animo mi gode, ¶ Quand'io veggo

magrana; ¶ E 'n corpo mi gorgoglia una ranocchia; ¶ Cresciuta

infra la lana; ¶ Non mi dà più mattana; ¶ Erbolajo

ben dotto in ciò mi dice, ¶ E che fece

buona fè, ch'io mi condussi a tale, ¶ Che

l'oste, ma poco mi vale; ¶ E dissigli vien

saccone, ¶ Dal lato manco mi tossiva un vecchio; ¶ E

stentar tanto a torto mi rincresce; ¶ L'ardente vertù

Poi di dugento bando mi fu dato ¶ Per una

tutti i miei; ¶ Or mi par che costei ¶ Sia

mangio, tal con lui mi cruccio, ¶ Come se fussi

la mia vela sventola, ¶ Mi farò la minestra colla

volticel vecchile, ¶ Col borbottar mi partì lagrimando: ¶ Al fuoco

botta. ¶ CLXXV ¶ Amico; io mi partì non meno offeso

Che morte aver, però mi vò con Dio: ¶ Così

ne manda. ¶ CLXXVII ¶ Io mi ricordo sendo giovinetto ¶ Nel

danajo; ¶ Pensa se questo mi fu gran dispetto: ¶ Che

Deh non fate! ¶ Quando mi vide il cul più

esca, di ch'io mi conduco: ¶ Così ho io

di Sambuco: ¶ Ma non mi curo, sì sono avviato

io son cascato, ¶ Nimico mi diventa ogni mortale: ¶ Gli

bestie, e fiere, ognuna mi fa guerra. ¶ CLXXIX ¶ Beo

colla feccia misto, ¶ Sciloppo mi par ber, ma non

fina; ¶ Chiudendo gli occhi, mi par medicina. ¶ CLXXX ¶ I

Correggie lunghe, e lorde ¶ Mi fan la sera quei

compero da lui, ¶ Ei mi ritrova il parentado antico

poi gliel dico: ¶ Ei mi risponde, e dicemi, con

che 'l nimico ¶ Non mi verrebbe mai alla bottega

di buone vivande; ¶ Or mi veggio caduto in triste

convien ch'i' scorchi; ¶ Mi levo pien d'affanni

dico Moccolone, ¶ Perch'io mi sento la lingua nocina

poi il dormire: ¶ Ella mi dice, ch'io son

esser il Messere; ¶ Cheto mi sto, per non esser

pensiere, ¶ Che s'io mi pongo in cuor per

com'è dovere: ¶ Ella mi crede avere ¶ Forse per

del buon vino, ¶ Che mi mandasti, io ne lavai

a schivo, ¶ Mestier non mi fu mai scorta, nè

ti priego, che chiarir mi deggi ¶ Qual'è l

sbergo, ¶ Il cui colpo mi dolse, inteso il gergo

Batista, ¶ Ch'una sera mi dia cena, ed albergo

e scosto: ¶ Fa che mi sia risposto ¶ Da te

Attorno, attorno a Banchi mi cercarno, ¶ E io pappava

cui parole, e spalle mi fidarno: ¶ E portandomi i

Diavoli a Minosso, ¶ E mi potrebbon ben esaminare, ¶ Che

potrebbon ben esaminare, ¶ Che mi trovasser una croce addosso

è mia magagna, ¶ Nè mi tengo sì alto aver

la testa; ¶ Che chi mi scrive con sustanza presta

lagna, ¶ Son genti, che mi danno pur molesta, ¶ Scrivendomi

grosse nascono scrignute? ¶ Ancor mi di'; per chè cagion

Che di risposta non mi facci niego. ¶ CCIV ¶ Se

ch'io dilibro ¶ Non mi trovar nel trasparlare a

non trovo cappuccio, che mi 'ncappi, ¶ Non mi volendo

che mi 'ncappi, ¶ Non mi volendo cancellare il libro

lo delibro, ¶ Ed ei mi fa arar Mugnone scalzo

Penèo, o lor monile ¶ Mi porgessin le Muse, a

pidocchi: ¶ Non che pensier mi tocchi, ¶ Che non cambierei

Però ti prego, che mi mandi un cane, ¶ Che

Ad ora, ad ora mi viene in pensiero ¶ Con

de' Pidocchi; ¶ Che rimembrando mi par che mi tocchi

rimembrando mi par che mi tocchi ¶ La brutta febbre

Che mai più non mi riduco, ¶ Sì mal stan

di morte sei, ¶ Nè mi posso tener ritto, ¶ Io

potrei mai credere, ¶ Che mi facessino una volta pedere

e medicine, e non mi vale; ¶ Che stitico non

a richiedere: ¶ E non mi fa bisogno troppo cedere

o cristieri e' non mi cale, ¶ Del mio medicinar

Com'io vorrei; non mi darei un poco ¶ Accio

terzo Cielo. ¶ A ciò mi muove un zelo ¶ Venuto

d'intendimento; ¶ Che sospirar mi fa con dolci tremi

il dolor si stilla ¶ Mi rimembra sibilla: ¶ Poichè soffiò

l'O di Giotto mi par' tondo, ¶ E da

cose, che gran dubbio ¶ Mi misser nella mente, se

anitraccia, ¶ Se tu non mi sapessi un po di

commisse; ¶ E più volte mi disse, ¶ Misericordia, giustizia, e

pregione. ¶ E per non mi trovar dinari in borsa

barlume il tuo Lorino ¶ Mi disse, sù vien qua

umana natura. ¶ CCLIX ¶ Posto mi sono in cuor di

Guidarmi insin che vita mi sostiene. ¶ E s'io

l muti, ¶ E io mi sia se sono altrui

noja, ¶ E chi sì mi rifiuta, mi rifiuti. ¶ E

chi sì mi rifiuta, mi rifiuti. ¶ E io mi

mi rifiuti. ¶ E io mi perda, s'io perda

ogni gioja; ¶ Chi non mi vuole atare, non mi

mi vuole atare, non mi ajuti, ¶ Se morir mi

mi ajuti, ¶ Se morir mi conviene, e io mi

mi conviene, e io mi muoja; ¶ Se la terra

Sì duramente un sonno mi percosse, ¶ Dormendo un giorno

Che senza chiuder occhi mi riscosse. ¶ E come l

mestier d'ingegni che mi scorgan, ¶ E che dottrina

che dottrina in carità mi porgan, ¶ E d'un

molti sospir dal cor mi sgorgan ¶ Quivi par che

graticola ¶ Ebbe sì lungamente mi bisogna ¶ Quando di sdegno

di sdegno il petto mi formicola. ¶ CCLXVI ¶ Io veggio

pure il vero inducere ¶ Mi pare un trastullino da

me fortuna sdegna, ¶ Niente mi curo di chi regge

vostr'ombra vegno; ¶ Dichiarata mi sia giusta sentenza; ¶ Qual

o Uom decretalista, ¶ Che mi contenti il mio capo

co' denti mastico, ¶ Che mi stanno dinanzi dalla vista

un libro, onde molto mi pento, ¶ E quando pur

starmi contento: ¶ Perciò nessun mi chieggia più in prestanza

prestanza, ¶ Acciò che non mi avvenga, come suole, ¶ Che

se Amico alcun forzar mi vuole, ¶ Arrechimi sì fatta

o Messer Boccio? ¶ Stù mi dicessi perch'il vuò

coldi. ¶ CCCIII ¶ Compar voi mi lasciasti a battezzare ¶ La

in verzaja: ¶ Ma se mi avanza penere alle tele

e bariglion da Pecchie ¶ Mi preson l'altro dì

trafitto, ¶ Ch'il fiato mi faceva venir manco. ¶ Dinanzi

ben compiuto, ¶ Tante pulci mi davano mattana ¶ Ch'io

Ch'io dissi, omai mi bisogna ajuto: ¶ Sai che

accidenti sempre para. ¶ I' mi trovo distrutto dell'avere

vinto, ¶ Che la ragione mi stesse del pari, ¶ Arei

Te pur menar non mi bisogna attorno, ¶ Che voltando

brinata. ¶ Monaca or'or mi pari sprigionata, ¶ Sembri 'l

mai piacer, il mal mi noccia, ¶ La casa mia

mio parere, ¶ Secondo che mi dice un galigajo; ¶ Com

sapere, ¶ E Dio amoroso mi dia pace, e gajo

de' Tintori. ¶ CCCXXVII ¶ Io mi scontrai per via in

tratti a trotti, e mi di passo pian ¶ Entro

ben, ch'io più mi rodo, ¶ Dice chiam'or

domine vi lodo. ¶ Grattandomi mi vai la masserizia, ¶ Che

Cappone, ¶ E' tordi grassi mi farebbon male; ¶ Legna non

tu m'hai mandata, ¶ Mi par che l'andar