Domenico di Giovanni, [Sonetti], 1449?

fatto sì 'ngrandire il mio cannajo, ¶ Ch'andando a

di fichi Sampieri, ¶ Pel mio farsetto, ch'è di

era rimaso pegno il mio Falcone: ¶ I Fiorentini, il

castagnacci duri ¶ Entreranno in mio scambio, s'io me

mezzi ¶ Fanno al liuto mio sì lunga guerra, ¶ Che

Ed ei rispose: il mio gorgoglia forte. ¶ Poi si

trovo mal, che 'l mio sdegno raffreni; ¶ Così Cupido

di viole. ¶ E 'l mio calcagno forte sì mi

ti piace attendi il mio ritorno ¶ Da Vinegia, e

a poco. ¶ CXXII ¶ Signor mio caro, se tu hai

cagioni ¶ Mi cavi il mio Burchiel dello Scrittojo? ¶ E

degli Alamanni, ¶ Che 'l mio farsetto è da chiamare

che si sia, ¶ Per mio consiglio vadino a Barbialla

L'altro sarà Giovanni mio da Prato, ¶ Che l

non in Gramatica, ¶ Signor mio caro, e con poca

CLXV ¶ Oh umil popol mio, tu non t'avvedi

infino a quì un mio Sonetto, ¶ Sarei guarito di

Vagliati in ciò il mio Sonetto ebreo, ¶ E anche

fresco, e gajo, ¶ Giunse mio padre, e diemmi un

ho io turato ogni mio buco, ¶ Ch'io non

fondato: ¶ E d'ogni mio principio arrivo male, ¶ Di

bande, ¶ E d'ogni mio diletto esser privato: ¶ Io

che grossezza è il mio mellone: ¶ Non cercar più

cianfarda ¶ Mellon da seme mio, fussin zaffini, ¶ Non vi

non sa bene il mio pensiere, ¶ Che s'io

posso, ¶ Che solo il mio compagno la contenti, ¶ Che

Veggendo in forza il mio Stato gentile, ¶ Da questo

E benchè d'onestà mio pregio scemi, ¶ Quest'è

il cui scudo il mio ingegno si fida: ¶ Che

ALBERTI. ¶ O Ser Agresto mio, che poeteggi, ¶ E che

da sera. ¶ CXCIX ¶ Albizo mio, se t'hai potenza

questa ¶ Turba plebea, lo mio 'nchiostro stagna: ¶ Ma ringraziando

Non merta tanto onor mio basso clima: ¶ E quando

E più l'animo mio forte sospetta, ¶ Ond'han

A MESSER ROSELLO. ¶ Rosel mio caro, o cherica appostolica

e collerico. ¶ CCVIII ¶ Fiorentin mio, deh fuggitene al letto

ordisce laude: sile, ¶ Caro mio Sodalizio: e al tuo

cambierei lui per lo mio Giudice, ¶ Avvenga ch'abbia

riverienza. ¶ CCXXV ¶ CANZONETTA. ¶ Fratel mio non pigliar moglie, ¶ Se

l'aver moglie. ¶ Fratel mio non pigliar moglie, ¶ Se

d'aver moglie. ¶ Fratel mio non pigliar moglie, ¶ Se

d'aver moglie. ¶ Fratel mio non pigliar moglie, ¶ Se

la torre o fratel mio, ¶ Che io ti giuro

le maggior doglie. ¶ Fratel mio non pigliar moglie, ¶ Se

qualunque piglia moglie. ¶ Fratel mio non pigliar moglie, ¶ Se

CCXXVII ¶ Io ho il mio cul sì forte riturato

Ben ho fatto al mio cul cento cristieri ¶ Sopposte

CCXXVIII ¶ Io ho il mio cul sì avvezzo e

non mi cale, ¶ Del mio medicinar ch'io fè

quinci, ed ha 'l mio consenso. ¶ Mill'anni parmi

e riverito. ¶ Però il mio appetito ¶ Contenterò, se mai

strano, se noti il mio latino; ¶ Levandosi al barlume

chi Marte? ¶ Perchè 'l mio cuor, che fama sol

dia prosperità ¶ Salvando al mio Firenze libertà. ¶ CCLXXV ¶ PER

riscaldar di una favilla: ¶ Mio basso ingegno, e canto

Sibilla ¶ Sò che 'l mio basso stil a te

vista consolata. ¶ CCLXXIX ¶ Figliuol mio sie' leale, e costumato

CONTRO ALLE FEMINE. ¶ Amico mio, di Femina pavento, ¶ Però

Che mi contenti il mio capo fantastico, ¶ Di quel

pur fa male, ¶ Amico mio, non durar più fatica

ci è arrivato, ¶ Signor mio caro, un peccator cotale

sì dritto, ¶ Che nel mio naso sempre dava al

trementin sie meglio al mio parere, ¶ Secondo che mi

Penso che ponse el mio concetto alfin ¶ Sentir stentar

Mulacchie, ¶ Risponde al mughiar mio, ch'i' pago il