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esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Dante Alighieri, Divina Commedia, 1321

concordanze di «mio»

nautoretestoannoconcordanza
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1321
guata, ¶ così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, ¶ si
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anzi 'mpediva tanto il mio cammino, ¶ ch'i' fui
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volume. ¶ Tu se' lo mio maestro e 'l mio
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mio maestro e 'l mio autore, ¶ tu se' solo
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lei ti lascerò nel mio partire; ¶ ché quello imperador
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mondo lontana, ¶ l'amico mio, e non de la
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sarò dinanzi al segnor mio, ¶ di te mi loderò
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venni qua giù del mio beato scanno, ¶ fidandomi del
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del cielo, ¶ e 'l mio parlar tanto ben ti
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gente. ¶ Giustizia mosse il mio alto fattore; ¶ fecemi la
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bassi, ¶ temendo no 'l mio dir li fosse grave
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schiera s'auna. ¶ «Figliuol mio», disse 'l maestro cortese
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paventi ¶ che suoli al mio dubbiare esser conforto?». ¶ Ed
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eran sospesi. ¶ «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore», ¶ comincia' io
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quei che 'ntese il mio parlar coverto, ¶ rispuose: «Io
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salutevol cenno, ¶ e 'l mio maestro sorrise di tanto
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intrare!». ¶ E 'l duca mio a lui: «Perché pur
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ch'io ebbi 'l mio dottore udito ¶ nomar le
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fermo. ¶ E 'l duca mio distese le sue spanne
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quasi compunto, ¶ dissi: «Maestro mio, or mi dimostra ¶ che
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farne posare una». ¶ «Maestro mio», diss' io, «or mi
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a vòto», ¶ disse lo mio segnore, «a questa volta
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ira accolta. ¶ Lo duca mio discese ne la barca
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gente?». ¶ E 'l savio mio maestro fece segno ¶ di
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mai. ¶ «O caro duca mio, che più di sette
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avversari ¶ nel petto al mio segnor, che fuor rimase
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pinse ¶ veggendo il duca mio tornare in volta, ¶ più
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e li martìri, ¶ lo mio maestro, e io dopo
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tegno riposto ¶ a te mio cuor se non per
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poco più al duca mio. ¶ Ed el mi disse
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Io avea già il mio viso nel suo fitto
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per altezza d'ingegno, ¶ mio figlio ov' è? e
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E già 'l maestro mio mi richiamava; ¶ per ch
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a ciò penso». ¶ «Figliuol mio, dentro da cotesti sassi
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dentro fiacca. ¶ Lo savio mio inver' lui gridò: «Forse
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l'arco tiro». ¶ Lo mio maestro disse: «La risposta
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i morti». ¶ E 'l mio buon duca, che già
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che torrien fede al mio sermone». ¶ Io sentia d
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prima», ¶ rispuose 'l savio mio, «anima lesa, ¶ ciò c
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tristi lutti. ¶ L'animo mio, per disdegnoso gusto, ¶ credendo
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non ruppi fede ¶ al mio segnor, che fu d
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ch'io domandava il mio duca di lui, ¶ gridò
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allegra». ¶ Allora il duca mio parlò di forza ¶ tanto
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parole fuor del duca mio; ¶ per ch'io 'l
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la conoscenza süa al mio 'ntelletto; ¶ e chinando la
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E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia ¶ se
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fosse tutto pieno il mio dimando», ¶ rispuos' io lui
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Ciò che narrate di mio corso scrivo, ¶ e serbolo
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la sua marra». ¶ Lo mio maestro allora in su
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deggio. ¶ Sieti raccomandato il mio Tesoro, ¶ nel qual io
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le lor grida il mio dottor s'attese; ¶ volse
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dispoglia, ¶ tosto che questo mio segnor mi disse ¶ parole
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appuzza!». ¶ Sì cominciò lo mio duca a parlarmi; ¶ e
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contegno. ¶ Poi, procedendo di mio sguardo il curro, ¶ vidine
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anco, ¶ sappi che 'l mio vicin Vitalïano ¶ sederà qui
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Vitalïano ¶ sederà qui dal mio sinistro fianco. ¶ Con questi
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lasse. ¶ Trova' il duca mio ch'era salito ¶ già
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que' che son nel mio bel San Giovanni, ¶ fatti
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Di sotto al capo mio son li altri tratti
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credo ben ch'al mio duca piacesse, ¶ con sì
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fisamente mirava, ¶ lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», ¶ mi
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esser venuto», disse 'l mio maestro, ¶ «sicuro già da
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feruto». ¶ E 'l duca mio a me: «O tu
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la persona ¶ lungo 'l mio duca, e non torceva
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tenea sermone ¶ col duca mio, si volse tutto presto
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maladetti. ¶ E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi
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avversari suoi». ¶ Lo duca mio li s'accostò allato
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nforco». ¶ E al maestro mio volse la faccia; ¶ «Domanda
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ferita, ¶ domandò 'l duca mio sanza dimoro: ¶ «Chi fu
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favola d'Isopo ¶ lo mio pensier per la presente
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volerne prendere. ¶ Lo duca mio di sùbito mi prese
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approccia, ¶ come 'l maestro mio per quel vivagno, ¶ portandosene
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ch'io al duca mio: «Fa che tu trovi
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apri li orecchi al mio annunzio, e odi. ¶ Pistoia
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qualunque s'intoppa. ¶ Lo mio maestro disse: «Questi è
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io né 'l duca mio s'accorse, ¶ se non
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pria, ¶ rimontò 'l duca mio e trasse mee; ¶ e
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elli è inceso». ¶ «Maestro mio», rispuos' io, «per udirti
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quivi ¶ dove parve al mio duca tempo e loco
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e chino, ¶ quando il mio duca mi tentò di
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e certo il creder mio venìa intero, ¶ se non
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le chiavi ¶ che 'l mio antecessor non ebbe care
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io e 'l duca mio, ¶ su per lo scoglio
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l mena», ¶ rispuose 'l mio maestro, «a tormentarlo; ¶ ma
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persone, ¶ partito porto il mio cerebro, lasso!, ¶ dal suo
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ch'un spirto del mio sangue pianga ¶ la colpa
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fu partito». ¶ «O duca mio, la vïolenta morte ¶ che
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dismaglie», ¶ cominciò 'l duca mio a l'un di
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intese, ¶ rispuose al detto mio: «Tra'mene Stricca ¶ che
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salmi. ¶ E 'l duca mio ver' lui: «Anima sciocca
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sommo Giove», ¶ disse 'l mio duca, «ond' elli ha
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e prese 'l duca mio, ¶ ond' Ercule sentì già
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rocce, ¶ io premerei di mio concetto il suco ¶ più
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quelle donne aiutino il mio verso ¶ ch'aiutaro Anfïone
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moleste?». ¶ E io: «Maestro mio, or qui m'aspetta
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pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava; ¶ e
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piangevan elli; e Anselmuccio mio ¶ disse: "Tu guardi sì
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per quattro visi il mio aspetto stesso, ¶ ambo le
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a' piedi, ¶ dicendo: "Padre mio, ché non m'aiuti
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sentimento ¶ cessato avesse del mio viso stallo, ¶ già mi
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per ch'io: «Maestro mio, questo chi move? ¶ non
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a me: «Come 'l mio corpo stea ¶ nel mondo
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mira», ¶ disse 'l maestro mio, «se tu 'l discerni
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ristrinsi retro ¶ al duca mio, ché non lì era
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tanto avante, ¶ ch'al mio maestro piacque di mostrarmi
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abisso mi divella, ¶ maestro mio», diss' io quando fui
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omai la navicella del mio ingegno, ¶ che lascia dietro
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alquanto surga, ¶ seguitando il mio canto con quel suono
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mie grotte?». ¶ Lo duca mio allor mi diè di
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esser non puote il mio che a te si
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mi ritrassi ¶ al duca mio, e li occhi a
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erbetta sparte ¶ soavemente 'l mio maestro pose: ¶ ond' io
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per domandar lo duca mio, ¶ rividil più lucente e
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a lui uscìo. ¶ Lo mio maestro ancor non facea
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schivo, ¶ così al viso mio s'affisar quelle ¶ anime
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tu perché vai?». ¶ «Casella mio, per tornar altra volta
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dentro mi suona. ¶ Lo mio maestro e io e
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e diedi 'l viso mio incontr' al poggio ¶ che
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terra oscura; ¶ e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi
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cala», ¶ disse 'l maestro mio fermando 'l passo, ¶ «sì
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luce in terra dal mio destro canto, ¶ sì che
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l'ossa del corpo mio sarieno ancora ¶ in co
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onde salìne ¶ lo duca mio, e io appresso, soli
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la scoperta piaggia, ¶ «Maestro mio», diss' io, «che via
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se non restai». ¶ «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti
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chiaro bada». ¶ «Certo, maestro mio», diss' io, «unquanco ¶ non
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io discerno ¶ là dove mio ingegno parea manco, ¶ che
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basso. ¶ «O dolce segnor mio», diss' io, «adocchia ¶ colui
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seguitava l'orme del mio duca, ¶ quando di retro
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dava loco ¶ per lo mio corpo al trapassar d
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fatene saggi». ¶ E 'l mio maestro: «Voi potete andarne
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buona pïetate aiuta il mio! ¶ Io fui di Montefeltro
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la ritenne. ¶ Lo corpo mio gelato in su la
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Arno, e sciolse al mio petto la croce ¶ ch
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e notte chiama: ¶ «Cesare mio, perché non m'accompagne
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rispuose allora il duca mio. ¶ Qual è colui che
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tien chiuso». ¶ Allora il mio segnor, quasi ammirando, ¶ «Menane
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stelo. ¶ E 'l duca mio: «Figliuol, che là sù
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m'era solo il mio conforto, ¶ e 'l sole
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aver tema», disse il mio segnore; ¶ «fatti sicur, ché
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vide me 'l duca mio, su per lo balzo
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1321
cose accorta», ¶ rispuose 'l mio maestro a lui, «pur
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mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi ¶ umilemente che
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arte», ¶ cominciò 'l duca mio, «in accostarsi ¶ or quinci
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e quanto l'occhio mio potea trar d'ale
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Segnor, fammi vendetta ¶ di mio figliuol ch'è morto
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torni»; e quella: «Segnor mio», ¶ come persona in cui
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ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i
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Tosco: ¶ Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre; ¶ non so se
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tutto or suo, e mio in parte. ¶ Ben non
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de l'eccellenza ove mio core intese. ¶ Di tal
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e seguia volontieri ¶ del mio maestro i passi, e
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a che guardando, il mio duca sorrise. ¶ CANTO XIII
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che l'udirai, per mio avviso, ¶ prima che giunghi
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io mi volsi al mio consiglio saggio. ¶ Ben sapev
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l'apparo». ¶ «O frate mio, ciascuna è cittadina ¶ d
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ancor non sarebbe ¶ lo mio dover per penitenza scemo
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indarno, ¶ ché 'l nome mio ancor molto non suona
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Duca. ¶ Fu il sangue mio d'invidia sì rïarso
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tu che vinci!'. ¶ Lo mio maestro e io soli
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di madre dicer: «Figliuol mio, ¶ perché hai tu così
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falsi errori. ¶ Lo duca mio, che mi potea vedere
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piega?». ¶ «O dolce padre mio, se tu m'ascolte
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non fece al viso mio sì grosso velo ¶ come
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e sozzo, ¶ ascoltando il mio duca che diceva ¶ pur
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fue; ¶ onde 'l maestro mio disse: «Rispondi, ¶ e domanda
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1321
la soma». ¶ «O Marco mio», diss' io, «bene argomenti
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1321
co' passi fidi ¶ del mio maestro, usci' fuor di
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tutto; ¶ così l'imaginar mio cadde giuso ¶ tosto che
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riede». ¶ Così disse il mio duca, e io con
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mi volsi al maestro mio, e dissi: ¶ «Dolce mio
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mio, e dissi: ¶ «Dolce mio padre, dì, quale offensione
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Ond' io: «Maestro, il mio veder s'avviva ¶ sì
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tue parole e 'l mio seguace ingegno», ¶ rispuos' io
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che villa mantoana, ¶ del mio carcar diposta avea la
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Parole furon queste del mio duca; ¶ e un di
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aggrava, ¶ così lo sguardo mio le facea scorta ¶ la
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pena ¶ da lei avrei mio intento rivolto. ¶ «Io son
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cammin vago ¶ al canto mio; e qual meco s
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li occhi al segnor mio: ¶ ond' elli m'assentì
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di me fare a mio senno, ¶ trassimi sovra quella
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1321
nome ¶ lo titol del mio sangue fa sua cima
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1321
accorse, ¶ solo ascoltando, del mio reverire, ¶ «Qual cagion», disse
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1321
ché la tua stanza mio pianger disagia, ¶ col qual
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1321
onde contra 'l piacer mio, per piacerli, ¶ trassi de
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Mossimi; e 'l duca mio si mosse per li
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promossa ¶ la testa di mio figlio fu, dal quale
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1321
dota provenzale ¶ al sangue mio non tolse la vergogna
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1321
poscia c'ha' il mio sangue a te sì
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cupide vele. ¶ O Segnor mio, quando sarò io lieto
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1321
mpacciata via dietro al mio duca, ¶ e condoleami a
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1321
scorte?». ¶ E 'l dottor mio: «Se tu riguardi a
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1321
per la cruna ¶ del mio disio, che pur con
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1321
ancora. ¶ Tanto fu dolce mio vocale spirto, ¶ che, tolosano
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1321
la seconda soma. ¶ Al mio ardor fuor seme le
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che non deggio al mio uscir di bando». ¶ Volser
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1321
e sono inteso ¶ dal mio maestro, e «Non aver
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Se cagion altra al mio rider credesti, ¶ lasciala per
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1321
abbracciar li piedi ¶ al mio dottor, ma el li
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1321
Domizian li perseguette, ¶ sanza mio lagrimar non fur lor
201
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assai», ¶ rispuose il duca mio, «siam con quel Greco
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1321
ardente corno, ¶ quando il mio duca: «Io credo ch
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1321
traean di me, di mio vivere accorte. ¶ E io
204
1321
E io, continüando al mio sermone, ¶ dissi: «Ella sen
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1321
questo antivedere: ¶ se nel mio mormorar prendesti errore, ¶ dichiareranti
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non fïa il tornar mio tantosto, ¶ ch'io non
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chiaro ¶ ciò che 'l mio dir più dichiarar non
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1321
ratto, ¶ lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca ¶ l
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cader giuso. ¶ Lo duca mio dicea: «Per questo loco
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sé stesso il padre ¶ mio e de li altri
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1321
al suo nome il mio disire ¶ apparecchiava grazïoso loco
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1321
Virgilio mi disse: «Figliuol mio, ¶ qui può esser tormento
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1321
metro. ¶ Lo dolce padre mio, per confortarmi, ¶ pur di
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1321
dicea: ¶ «Sappia qualunque il mio nome dimanda ¶ ch'i
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1321
lati, ¶ e 'l sonno mio con esse; ond' io
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1321
tra elli. ¶ Non aspettar mio dir più né mio
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mio dir più né mio cenno; ¶ libero, dritto e
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1321
né credo che 'l mio dir ti sia men
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1321
si torse, ¶ dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta». ¶ Ed
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e più splendeva, ¶ nel mio pensier dicea: 'Che cosa
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vista; e, quanto a mio avviso, ¶ diece passi distavan
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1321
viva. ¶ E lo spirito mio, che già cotanto ¶ tempo
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1321
al suon del nome mio, ¶ che di necessità qui
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1321
tempo il sostenni col mio volto: ¶ mostrando li occhi
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abbaglia il lume del mio detto, ¶ voglio anco, e
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or da voi lo mio cervello. ¶ Ma perché tanto
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sarà ora materia del mio canto. ¶ O buono Appollo
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rimaso. ¶ Entra nel petto mio, e spira tue ¶ sì
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beato regno ¶ segnata nel mio capo io manifesti, ¶ vedra
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l'imagine mia, il mio si fece, ¶ e fissi
231
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ascoltar, seguiti ¶ dietro al mio legno che cantando varca
232
1321
sale ¶ vostro navigio, servando mio solco ¶ dinanzi a l
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ma quella folgorò nel mïo sguardo ¶ sì che da
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1321
mi tacea, ma 'l mio disir dipinto ¶ m'era
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sembiante ¶ puoser silenzio al mio cupido ingegno, ¶ che già
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1321
mi diedi; ¶ e al mio Belisar commendai l'armi
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1321
l'uom felice: ¶ «Secondo mio infallibile avviso, ¶ come giusta
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consiglio, quanto puoi ¶ al mio parlar distrettamente fisso. ¶ Non
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io ti mostrava ¶ di mio amor più oltre che
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1321
Mora, mora!". ¶ E se mio frate questo antivedesse, ¶ l
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1321
parlar m'infonde, segnor mio, ¶ là 've ogne ben
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1321
di caro assenso ¶ al mio disio certificato fermi. ¶ «Deh
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1321
fermi. ¶ «Deh, metti al mio voler tosto compenso, ¶ beato
244
1321
fu noto il nome mio; e questo cielo ¶ di
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1321
e sì tutto 'l mio amore in lui si
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1321
certo, ¶ di retro al mio parlar ten vien col
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1321
distesa lingua ¶ lo dicer mio, ch'al tuo sentir
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1321
amanti ¶ prendi oramai nel mio parlar diffuso. ¶ La lor
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1321
duca ¶ per cui del mio sì ben ci si
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cui Tomma ¶ dinanzi al mio venir fu sì cortese
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tuo credere e 'l mio dire ¶ nel vero farsi
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questa distinzion prendi 'l mio detto; ¶ e così puote
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non er' anco del mio petto essausto ¶ l'ardor
254
1321
belli, ¶ ne' quai mirando mio disio ha posa; ¶ ma
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1321
mia gloria e del mio paradiso. ¶ Indi, a udire
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1321
e uno, ¶ che nel mio seme se' tanto cortese
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l'ali al voler mio. ¶ Poi cominciai così: «L
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1321
in la prima cornice, ¶ mio figlio fu e tuo
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1321
e Cacciaguida. ¶ Moronto fu mio frate ed Eliseo; ¶ mia
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1321
Voi siete il padre mio; ¶ voi mi date a
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1321
ama: ¶ «Ben veggio, padre mio, sì come sprona ¶ lo
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1321
in che rideva il mio tesoro ¶ ch'io trovai
263
1321
e io gustava ¶ lo mio, temprando col dolce l
264
1321
l'amoroso suono ¶ del mio conforto; e qual io
265
1321
perch' io pur del mio parlar diffidi, ¶ ma per
266
1321
che, rimirando lei, lo mio affetto ¶ libero fu da
267
1321
due ne seguì lo mio attento sguardo, ¶ com' occhio
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Io mi rivolsi dal mio destro lato ¶ per vedere
269
1321
vedere in Beatrice il mio dovere, ¶ o per parlare
270
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accors' io che 'l mio girare intorno ¶ col cielo
271
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voce e «io» e «mio», ¶ quand' era nel concetto
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io fossi al dubbiar mio ¶ lì quasi vetro a
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la pastura ¶ del viso mio ne l'aspetto beato
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che vedëa il tacer mio ¶ nel veder di colui
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la cui virtù, col mio veder congiunta, ¶ mi leva
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li altri e 'l mio. ¶ Ivi è perfetta, matura
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che si sia, il mio ingegno, ¶ con voi nasceva
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e altro quando, ¶ del mio attender, dico, e del
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tanto chiara ¶ nel viso mio, che non la sostenea
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a sostener lo riso mio». ¶ Io era come quei
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Indi rimaser lì nel mio cospetto, ¶ 'Regina celi' cantando
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acqua di fuor del mio interno fonte. ¶ «La Grazia
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qui del pronto creder mio, ¶ e anche la cagion
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in sul fonte ¶ del mio battesmo prenderò 'l cappello
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sì che vincëa 'l mio volto. ¶ Ridendo allora Bëatrice
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quei la distillò nel mio cor pria ¶ che fu
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terra è terra il mio corpo, e saragli ¶ tanto
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vero a l'intelletto mïo sterne ¶ colui che mi
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mondo e l'esser mio, ¶ la morte ch'el
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che fei. ¶ Or, figliuol mio, non il gustar del
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in terra il luogo mio, ¶ il luogo mio, il
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luogo mio, ¶ il luogo mio, il luogo mio che
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luogo mio, il luogo mio che vaca ¶ ne la
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fatt' ha del cimitero mio cloaca ¶ del sangue e
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Cristo allevata ¶ del sangue mio, di Lin, di quel
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quivi soggiorno. ¶ Lo viso mio seguiva i suoi sembianti
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ella, che vedëa 'l mio disire, ¶ incominciò, ridendo tanto
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remote. ¶ Onde, se 'l mio disir dee aver fine
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poco a poco al mio veder si stinse: ¶ per
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è il seguire al mio cantar preciso; ¶ ma or
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ma or convien che mio seguir desista ¶ più dietro
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di paradiso ¶ già tutta mïo sguardo avea compresa, ¶ in
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Beatrice me del loco mio; ¶ e se riguardi sù
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che si mostra: ¶ 'Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace
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sì che dal dicer mio lo cor non parti
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io, che mai per mio veder non arsi ¶ più
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Da quinci innanzi il mio veder fu maggio ¶ che
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i' giunsi ¶ l'aspetto mio col valore infinito. ¶ Oh
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e come fioco ¶ al mio concetto! e questo, a
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effige: ¶ per che 'l mio viso in lei tutto
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ma già volgeva il mio disio e 'l velle