Vittorio Alfieri, Ottavia, 1783

infida schiatta ¶ della vil plebe osa dolersen? osa ¶ pur

di sangue alla maligna plebe ¶ parran tuoi doni: ah

che altr'uom la plebe; in te gran possa

cade ¶ la superba sua plebe. Appien finora ¶ me non

cape in cor di plebe amore: ¶ ma all'insolente

sue grida; ¶ e della plebe gl'impeti; e i

non puoi quest'empia plebe ancora ¶ in quel non

te mi fai. Bollente ¶ plebe affrontar, savio non è

ne possa la tua plebe. I Numi ¶ son usi

Tosto che udrà la plebe ¶ del tuo ritorno, e

le grida ¶ di mossa plebe. ¶ Ottavia ¶ Oimè! che fia

mia possa. Invan la plebe stolta ¶ vederti chiede. Ah

né spero, io dalla plebe: e dove ¶ nuocerti pur

senno. — Appena ¶ ode la plebe, che un sovran comando

te giovi!... Alla infiammata plebe ¶ mostrami spenta: ogni colpevol

momenti ¶ ben puoi. La plebe credula, e ognor vinta

sai che sia la plebe; ¶ seco indugiar fia il

ondeggiante fé d'audace plebe. ¶ Ti allegra tu: queta

non è l'ammutinata plebe: ¶ ma pur, poniam che

ragion stessa, che alla plebe appresto, ¶ udrà da me

crude mire la ria plebe appormi: ¶ e costui pure

Infin che grida ¶ di plebe ascolto, che il furor

posso ¶ la già commossa plebe; appien svelarle ¶ io posso

non sperar l'audace plebe, ¶ finch'io son teco

d'Ottavia, e della plebe a un tempo, ¶ odio

i tuoi. Dovea la plebe ¶ udir da me le

io vissi: ¶ tace la plebe; ed altro omai non

omai? Dov'è la plebe? — ¶ Ben scegliesti: partito altro