Vittorio Alfieri, Timoleone, 1789

tratti, è vero. Omai qual forma ¶ di reggimento a

il poter sommo, a qual sia l'uso, è

pezza, è sordo: ei qual nemico ¶ me sfugge. Udrai

non farete, uniti? E qual mai tempra ¶ di governo

esser può tanto? ¶ E qual di me più fortunata

mi nomi. ¶ Timofane ¶ Ah! qual mi fai non meritata

meritata, acerba ¶ rampogna?... In qual di noi l'ira

in guiderdon, tu stesso? ¶ Qual forza è dunque di

contender mal potria. ¶ Sia qual si vuole il parer

prova ¶ porre in me qual più possa. Io Greco

fé prestami dunque, ¶ finché qual figlio, e qual fratello

finché qual figlio, e qual fratello io parlo. ¶ Demarista

io parlo. ¶ Demarista ¶ Oh! qual Dio parla in te

suo delitto ¶ non so qual v'abbia, che a

me! chi può saper qual fine ¶ uscir ne debba

immenso ¶ tuo duol? perché? qual te ne torna danno

duoli. ¶ Demarista ¶ A me qual danno? Quanti ¶ tornar ten

almeno, ¶ or che favelli, qual tiranno il debbe. ¶ Or

il debbe. ¶ Or io, qual debbe un cittadin, favello

l'hai. Corinto ¶ non, qual tel pensi, ancor del

tu fossi! ¶ Timoleone ¶ Oh! qual madre se' tu? Spartane

e fastosa ¶ andarne più, qual di più figli è

SCENA V ¶ TIMOLEONE ¶ Echilo ¶ Qual turbamento! Oh! quale orrendo

che sai dunque tu?... qual è il periglio?... ¶ Echilo

di me dovevi. E qual potea ventura ¶ miglior toccarmi

colla patria spento ¶ cadea: qual serbo altro desio, che

Timofane ¶ Forse io. — ¶ Forza, qual può fare a fratel

Né madre il può, qual io la veggio starsi