Vittorio Alfieri, Ottavia, 1783

mio l'impero: io son frattanto, ¶ il mastro io

dà loco... ¶ Poppea ¶ Ove son io, colei?... ¶ Nerone ¶ Deh

mio fido a ritornar son presta. ¶ Amommi ei molto

spesso la udii: ben son delitti questi; ¶ e bastano

tua plebe. I Numi ¶ son usi al fumo già

templi già; trofei, trionfi ¶ son le private uccisioni. — Or

liberi, audaci, a lui son esca, e giogo; ¶ teneri

deh! credi ¶ che innocente son io. Nulla (tel giuro

Roma il signor vero ¶ son io. — Tu corri, Tigellino

che veggio? mentr'io son presa a scherno, ¶ tacito

Io prigioniera vile, io son l'ostaggio ¶ della ondeggiante

debba. — Ma innocente ¶ io son, pur troppo, anco ai

non nacqui: ardita ¶ non son io tanto... ¶ Nerone ¶ A

di Poppea: ma nol son; mai non ti amava

signor mio? Gli oltraggi ¶ son le usate de' rei

nata ¶ di sangue vil son io perciò? Ma, s

uomo i loro error son quindi: ¶ ma, degli oscuri

scambiati mariti? avanzo forse ¶ son io d'un Rufo

giungon l'armi, io son qui dunque ¶ minor d

meco mi adiro! Io son la ria cagione ¶ d

audace plebe, ¶ finch'io son teco. Ah generosa prole

io pur di Cesari son presta, ¶ Roma or la

persiste ¶ nella vendetta: ma, son dubbi i mezzi: ¶ e

pro forza vogl'io: son ferma ¶ di abbandonare il

lo veggio) i mezzi ¶ son lenti; e il paion

tu dispersi? spenti? ¶ Signor son io di Roma? — E

pretoriani schieransi; proscritte ¶ già son più teste. Il nuovo

già maggior di me son fatta. ¶ Necessità fa prodi

averti amato, ¶ data men son debita pena io stessa