Vittorio Alfieri, Timoleone, 1789

le leggi rinnova, io son tiranno; ¶ ma, se a

Timofane ¶ Madre, ingrato non son; tutto rammento. ¶ Sì, la

fratello, ¶ finora io 'l son; ma tu, fratel mi

io lei molt'amo ¶ son io con quelli; e

potrà, che a te son io fratello vero. ¶ SCENA

prenda. ¶ A tale io son, ch'ogni sventura vostra

tai duo affetti lacerar; son figlio, ¶ cittadino, fratello: augusti

e amico a lui son io: d'ingiusti ¶ taccia

sai: dritt'uomo io son; te tal credea: ¶ e

virtù mentita, ¶ mirami ben, son io. ¶ Timofane ¶ Di voi

tutti?... ¶ Demarista ¶ Offesa io son, pel fratel tuo... ¶ Echilo

la patria sei? ¶ Demarista ¶ Son madre... ¶ Echilo ¶ Di Timofane

assai, ch'uom veritier son io. ¶ Timofane ¶ Io non

merto, ¶ io non ti son fratello. — Il poter mio

più fera ¶ punta mi son, che nol saria il

dì. Né a te son io, ben pensa, ¶ com

potessi salvar, com'io son certo ¶ di salvar la

i suoi stessi satelliti son compri. ¶ Misero! ei colto

cittadin, non la città son io. ¶ La patria viva

madre ¶ pur sempre io son... Fratel così tu fossi

figli è priva: ¶ donne son quelle, e cittadine, e

ch'ei non è, son io. Madre, tuttora ¶ darei

i passi ¶ di donna son: forse è la madre

ch'io non ti son più figlio. — Echilo, vieni

lettere vostre a' Micenèi, son queste; ¶ ecco; ritornan già

m'hai tolto: io son per te cosperso ¶ d