Alberto Moravia, L'esperimento, 1942

Un mio amico mi raccontò

e fu portato in un sanatorio del luogo. Costretto

luogo. Costretto a passare un paio di mesi a

legò di amicizia con un suo vicino di stanza

una gamba rotta in un accidente molto simile al

intimità si trasformasse in un libero e spontaneo sentimento

era quella di possedere un animo così slegato e

non era, insomma, né un santo né un saggio

né un santo né un saggio dell’antichità; ma

aveva ben presto raggiunto un certo grado di acredine

a finire che da un battibecco all’altro, vennero

dallo studente; e per un pezzo il mio amico

la prova. Così, ad un’ora convenuta, i due

come ad esercitarsi con un’arma sopra un vivente

con un’arma sopra un vivente bersaglio. Tuttavia cominciò

in faccia allo studente un grosso e antipatico insulto

ottenere altro risultato che un sorriso beffardo e un

un sorriso beffardo e un magnanimo incitamento a continuare

linguaggio cavalleresco si chiama un duello di terzo grado

con l’ostinazione di un contadino che zappi un

un contadino che zappi un orto infruttifero, il mio

cose familiari, posseggono invece un’invincibile sensibilità sociale. Ma

mio amico dichiarò ad un tratto che non se

appena lo salutava con un viso chiuso e scuro

ormai vicino alla guarigione, un mattino partì improvvisamente senza

Il mio amico fece un viaggio d’affari nel

alla fine confessò con un sorriso umiliato che non

fare, mangiando la minestra, un certo rumore sgradevole di

infiggere nel suo animo un dardo avvelenato; in quello

gli fece osservare, con un sorriso agro, che si