Bibliografia dei giornali lombardi satirici e umoristici
Ricettacolo di ogni nascituro e ultimo alloggio del defunto, il buco - almeno nel panegirico comparso sul primo numero di questo sboccato giornale - era il centro dell'universo. Naturalmente, il buco a cui si alludeva nel titolo era la versione corporale e grassoccia dell'eterno femminino, corroborata dal doppio senso dell'avverbio finale. "La gente è stufa di guerra, di caroviveri, di miseria, di legnate, di spagnola, di politica" si osservava, meglio dedicarsi dunque, senza inutili pudori, alla coltivazione dei piaceri terrestri. Vate del giornale fu eletto Argia Sbolenfi, alias Lorenzo Stecchetti, alias Olindo Guerrini, il poeta della schiettezza e della provocazione, del quale furono anche pubblicate diverse, poesie.
Contrariamente ad ogni aspettativa, il programma scostumato del «Buco» incontrò subito un grande favore di pubblico, naturalmente assieme a numerose proteste che il giornale annotava con diligenza su ogni numero, come avvenne dopo la pubblicazione di una composizione in versi intitolata Ad un orologio guasto (2 luglio 1922):
Poiché il pendolo tuo giù penzoloni
Non ha più moto ed impotente stà
E gl'inutili pesi ha testimoni
Della perduta sua vitalità,
Vecchio strumento, m'affatico invano
A ridestar l'antica tua virtù:
Inutilmente con l'industre mano
Tento la molla che non tira più.
Questa tua chiave, che ficcai sì spesso
Nel suo pertugio, inoperosa è già;
Rotto è il coperchio e libero l'ingresso
Ad ogni più riporta cavità,
Deh, come baldanzoso un di solevi
L'ora dolce del gaudio a me segnar
E petulante l'ago tuo muovevi
Non mai spossato dal costante andar!
Quante volte su lui lo sguardo fiso
Or tengo e penso al buon tempo che fu.
Se almen segnasse mezzodì preciso...
Ma sei e mezza!... e non si muove più!
Il rancore programmatico verso la politica durò tuttavia solo pochi numeri, e il giornale manifestò ben presto la propria simpatia per le promesse palingenetiche del fascismo. Attraverso frequenti corrispondenze da Roma il direttore, che si diceva intrinseco di Vittorio Emanuele III e del futuro duce, ragguagliava i lettori sui progressi e sulle difficoltà che l'edificazione del nuovo ordine sociale incontrava. L'adesione al movimento, tuttavia, non fu mai incondizionata, soprattutto di fronte ai problemi che scaturivano dalla riottosità di molti caporioni (10 maggio 1923):
Ma Mussolini ne ha pieni i santissimi, e, se si deve dire il vero, anche l'Italia [...] anche l'Italia, dico, comincia a domandarsi se valeva la pena di fare tanto fracasso e di promettere tante belle cose, per finire con questo grazioso spettacolo marionettistico in cui i fratelli legnano i fratelli peggio che alla battaglia di Maclodio. [...]
Bisogna che tutti i capoccia del fascismo, grossi e piccoli, smorzino alquanto quella loro bella e ferma convinzione di essere dei padreterni insostituibili, degli unti del Signore, dei rappresentanti della Provvidenza, dei predestinati. I soffietti dei satelliti e le ovazioni delle mandre non devono dar loro a capo. I satelliti fanno la rota solo finché l'astro brilla; le mandre sono più volubili dell'amore femminile. Ancor ieri gridavano viva Lenin, oggi cantano il menefrego, basta che gridino viva qualcuno o qualcosa, per loro fa lo stesso.
L'anima del giornale restava soprattutto orientata verso una varietà di epicureismo spensierato e cialtrone, racchiuso nel motto pubblicato il 21 dicembre 1923:
Fascista! il mondo ti parrà più bello
Se pianterai nel buco il manganello.
Se si escludono rarissime caricature, il giornale non era illustrato. Molto regolari le rubriche: Vita mortarese, Corrispondenze dai paesi del circondario e Previsioni per la settimana.