Bibliografia dei giornali lombardi satirici e umoristici
1. 15 novembre 1856 (a. I, n. 1) - 4 maggio 1862 ma 1863 (a. VII, vol. 7, n. 54);
2. 1° maggio 1870 (a. VIII, serie II, vol. I, n. 1) - 29 giugno 1870 (a. VIII, serie II, vol. I, n. 59);
3. 30 luglio 1878 (a. IX, n. 1) - 2 dicembre 1916 (a. XLVII, n. 1977*).
Con questo nome (in dialetto l'omm de preja) era chiamata a Milano una statua di Cicerone che si può paragonare al più celebre Pasquino di Roma. Il giornale nasceva dall'iniziativa di un gruppo di intellettuali milanesi "per fare colla penna un po' di guerra all'Austria", come scrisse l'Arrighi stesso, che ne fu uno dei principali animatori. Fra gli altri nomi bisogna citare: Ajraghi, Baravalle (Anastasio Bonsenso), Bernardino Bianchi, Gottardo Cattaneo, Camillo Cima (Pinzo, ovvero Don Pacifico, come illustratore) Antonio Ghislanzoni, Guttierrez, Giovanni Moja, Ippolito Nievo, Picozzi, Giovanni Rajberti, Regaldi, Giuseppe Rovani, Emilio Treves. La note letterarie furono ampiamente sfruttate da paravento, nella speranza di ingannare la censura che doveva "capirle per un verso, mentre i lettori le capivano al rovescio".
Nel 1863 il giornale fu venduto all'editore Sonzogno che ne sospese le pubblicazioni, probabilmente perché esso faceva concorrenza allo «Spirito folletto» (n. 433) il grande giornale umoristico che egli aveva fondato nel 1861. Nel 1870, tuttavia, Sonzogno decise di riprendere le pubblicazioni, assegnando al giornale una periodicità quotidiana, rivelatasi ben presto esiziale.
«L'Uomo di pietra» rinacque nel 1878 per durare quasi altri quarantanni. Ma quest'ultimo periodo del giornale fu anche il più scialbo. Incalzato dai successi del «Guerin meschino» (n. 212), che era nato nel 1882, esso non riuscì mai a liberarsi da quella patina di provincialismo che lo contraddistinse fino alla fine. Nelle vignette (via via sempre più rare e modeste) e negli articoli l'orizzonte cittadino rimase sempre il riferimento più assiduo. Non è un caso, del resto, che ancora nel 1916, anno in cui il giornale cessò definitivamente le pubblicazioni, l'abbonamento poteva ancora essere sottoscritto per Milano (5 lire) o per tutto il regno (6 lire), una consuetudine che gli tutti altri periodici avevano abbandonato con l'unificazione nazionale.