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Quattro definizioni al posto di una premessa

Tipografia

Spesso la terminologia di un dato ambito semantico ammette sovrapposizioni che possono generare confusione, soprattutto in chi non è particolarmente introdotto nel settore coperto da quell'ambito.

È il caso, fra gli altri, della tipografia, che è anche il tema di queste pagine. Per la chiarezza e il rigore del discorso che segue, perciò, premetto alcune definizioni personali ‒ e quindi opinabili ‒ prima di entrare nel merito dell'argomento. Chi pensa di poter farne a meno, però, può saltare tranquillamente alla pagina successiva.

Già il termine generale tipografia pone qualche difficoltà perché, in senso stretto, significa "processo di stampa su carta con caratteri mobili in piombo", diffuso dalla metà del Quattrocento. Il termine più appropriato per carattere mobile in piombo, tuttavia, è tipo, da cui deriva evidentemente il termine tipografia. Il termine carattere, infatti, ha un significato astratto, sinonimo di lettera, mentre il termine tipo designa in maniera esplicita l'unità materiale componibile alla base del processo di stampa tipografica.

C'è dunque una evidente confusione fra i termini, che tuttavia col tempo è stata parzialmente sanata, perché oggi nessuno maneggia tipi per stampare un testo alla maniera di Gutemberg, sicché il termine tipo è divenuto obsoleto: l'originaria tipografia, infatti, è stata sostituita nel xx secolo, prima con la fotocomposizione e poi con la stampa digitale, sempre meno legate a pratiche materiali.

Di questa sostituzione ha beneficiato il termine carattere, più astratto di tipo, che meglio si adatta quindi alla moderna tipografia, termine ormai spurio ma ancora in uso; eccone perciò la mia personale definizione:

tipografia · Qualsiasi tecnologia ‒ materiale, informatica o mista ‒ in grado di rappresentare dei caratteri su qualsiasi supporto di mediazione.

Più ampio del significato di tipografia è quello del termine stampa, che comprende diverse altre tecniche di impressione su carta, non necessariamente di caratteri (come la calcografia o la litografia), di cui ho parlato nella sezione dei sito dedicata alla stampa illustrata, dove la tipografia, comunque, gioca un ruolo essenziale.

Carattere

La definizione di tipografia è volutamente generale, pensata per comprendere tutta la storia della stampa, dalle origini fino al presente. In essa spicca il termine carattere che a questo punto bisogna definire:

carattere · Segno grafico che costituisce uno dei diversi elementi che, opportunamente combinati, consentono di rappresentare visivamente l'espressione di un idioma.

Ho usato il termine idioma per comprendere i termini lingua e dialetto, di non facile definizione.

Sia che si parli della lingua inglese, dunque, o del più marginale fra i dialetti (ammesso che i suoi parlanti ne ammettano la denominazione e la marginalità) entrambi questi idiomi necessitano di un insieme specifico di caratteri per volgerne la parlata in parole scritte.

Fino al 1991 non era agevole definire questi segni grafici, in particolare in ambito informatico, per ragioni che sarebbe fuorviante discutere qui. Da quella data in poi, però, grazie alla nascita del Consorzio Unicode, ogni carattere necessario a rappresentare un idioma è stato univocamente classificato e codificato, cosicché, tenuto anche conto che il Consorzio è una organizzazione senza fini di lucro, e quindi con intenti tendenzialmente universalistici, si potrebbe definire operativamente un carattere come "un segno grafico al quale è associato un codice Unicode", per esempio quello del punto fermo che chiude questo periodo. (U+002E).

Si capisce quindi che la codifica Unicode attribuisce al termine carattere un senso ben più ampio di quello di lettera alfabetica, con la quale sarebbe erroneo identificarlo, ma comprende altresì le cifre numeriche, i segni di interpunzioni, i simboli matematici e qualsiasi altra espressione grafica utile per rappresentare un idioma in tutte le sue potenzialità espressive.

Fonte di caratteri

Quantunque univocamente determinati e costituenti, nel loro insieme, la codifica Unicode, i caratteri sono variamente raggruppabili in vari insiemi, ciascuno dei quali può essere definito come una fonte di caratteri.

fonte di caratteri · Insieme di caratteri utile per rappresentare visivamente uno o più idiomi, dotato altresì di ambizione creativa, espressa anzitutto come coerenza stilistica.

La storia di questa locuzione è lunga quanto la storia della tipografia. I caratteri mobili di Gutemberg (da qui in poi verrà dimenticato il più corretto termine tipo), fin dai suoi tempi, erano ordinatamente disposti in una cassa tipografica dotata di minuziosi scomparti, organizzati per facilitare il lavoro di composizione. Tutti i caratteri contenuti nella cassa possedevano queste tre caratteristiche:

1. coprivano le necessità espressive di almeno un idioma, ovvero dovevano ospitare il carattere ç, per esempio, se si voleva comporre un testo in francese;

2. possedevano tutti la stessa altezza, ovvero la cosiddetta forza di corpo (o semplicemente corpo) per allinearsi correttamente lungo le righe del testo;

3. condividevano il medesimo stile grafico, ovvero lo stesso spessore dei tratti, la stessa forma delle terminazioni, la stessa inclinazione e così di seguito, in maniera tale da essere giudicati, al tempo stesso, coerenti fra di loro, e ben distinti da quelli di altre casse.

Sono passati più di cinque secoli da allora e la fonte di caratteri ha subito trasformazioni ingenti, ma queste tre caratteristiche fondamentali sono rimaste pressoché immutate. Oggi una fonte di caratteri, o più semplicemente una fonte, oppure come si dice in inglese un font (a questo proposito è interessante la disamina del termine svolta dall'Accademia della Crusca), non è più costituita da una pesante cassa di legno zeppa di ancor più pesanti caratteri di piombo, ma consiste in una serie di tabelle numeriche che è facile registrare nella memoria di un computer. Tuttavia il senso delle tre caratteristiche descritte sopra permane:

1. da qualche parte, in una delle tabelle, associato al codice Unicode U+00C7, per esempio, deve esserci la descrizione matematica del carattere ç, perché quella fonte serve per comporre testi in lingua francese, che ha bisogno di quel carattere per essere messa per iscritto;

2. siccome una descrizione matematica permette di scalare con facilità le dimensioni di una figura geometrica a cui si può ricondurre, in definitiva, la forma di un carattere, quella fonte possiede la forza di corpo dei caratteri contenuti nella vecchia cassa tipografica, e naturalmente anche quella di tutte le altre casse tipografiche possibili e immaginabili, che nessun tipografo dei tempi passati avrebbe mai potuto immaginare, per non dire permettersi;

3. infine, i caratteri della fonte in formato informatico devono possedere pur sempre uno stile specifico (spessore, terminazioni, inclinazione) che è specifico di quella fonte, e di nessun altra; è pur vero che, grazie alla descrizione matematica dei caratteri, è possibile applicarvi facilmente delle significative trasformazioni (prima fra tutte la nominata scalatura), ma è altrettanto vero che nessuna di tali trasformazioni è in grado di modificare creativamente l'aspetto dei caratteri, inteso come il risultato di un faticoso lavoro artistico originale, fatto di ricerca delle forme, di scelta delle proporzioni e di bilanciamento fra le aree scure e quelle chiare del carattere; se così non fosse, oggi non ammireremmo ancora i caratteri disegnati da Claude Garamond, da John Baskerville, da Giambattista Bodoni, le cui forme sono trascorse indenni nei secoli, in tutta la loro bellezza, dalle pesanti casse tipografiche alle immateriali tabelle informatiche.

Glifo

Quest'ultima, cruciale caratteristica dei caratteri introduce l'ultima definizione:

glifo · Configurazione particolare della forma generica di un carattere, frutto di un lavoro creativo.

Come la moderna fonte di caratteri sta alla storica cassa tipografica, secondo quanto detto sopra, così il glifo sta all'antico punzone, vero e proprio cuore di tutta l'arte tipografica antica.

Il lavoro del tipografo, dopotutto, era un'attività piuttosto meccanica: composizione del testo, impressione sulla carta, legatura delle pagine stampate. Naturalmente, la cura con cui venivano eseguite queste operazioni poteva fare una grande differenza, quella che passa fra l'edizione pregiata di un classico, per esempio, e un frettoloso libello. In entrambi i casi, tuttavia, il disegno del carattere con cui era composto il testo faceva caso a sé.

L'incisore del punzone, colui che realizzava il manufatto che esprimeva questo disegno e che stava alla base della catena di produzione dei caratteri, era una figura a se stante, distinta da quella del tipografo, con cui poteva o meno coincidere, e al quale spettava la parte creativa del lavoro, perché se il carattere è unico, come si è visto, univocamente definito dalla codifica Unicode, le sue rappresentazioni (i glifi) possono essere teoricamente infinite.

Ormai non c'è più nessuno che realizza punzoni, costringendo con fatica l'acciaio ad assumere forme adatte e possibilmente ammirevoli per la tipografia, però non si è mai smesso di adoperarsi attorno al glifo, definito oggi da curve matematiche, espressione sempre rinnovata del carattere, che finisce nelle tabelle di una fonte, rinnovando così di continuo l'aspetto più creativo della tipografia.