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Un carattere umile ma ambizioso

Un paradosso grafico

Per semplicità, da questo punto in poi, limiterò il mio discorso a quella parte dei caratteri che copre l'alfabeto, quindi parlerò di lettera, intendendo con questo termine l'espressione più corretta carattere alfabetico.

Il paradosso dell'alfabeto, dunque, è questo: chiunque sia capace di leggere ha un'idea chiara delle lettere che lo compongono. Tuttavia, al momento di scriverle, ovvero di rappresentarle materialmente tramite i corrispondenti glifi, ognuno lo farà in una maniera che differisce più o meno marcatamente da quella di tutti gli altri.

Sembra quindi impossibile definire un'espressione grafica condivisa dell'alfabeto, e del resto è inaccettabile arrogarsi il diritto di imporne una su tutte le altre.

Un capovolgimento di prospettiva

Dunque non c'è speranza di uscire dal paradosso? In maniera diretta la risposta è no, tuttavia si può tentare di aggirare l'ostacolo; come?

Invece di sforzarsi di disegnare volonterosamente un insieme di glifi dalla forma elementare, e pretendere che quella sia la quintessenza dell'alfabeto, si può definire un piccolo numero di regole semplici e applicarle sistematicamente per ricavare quello stesso insieme di glifi. Più piccolo il numero, più semplici le regole, più sistematica l'applicazione, maggiore dovrebbe essere la possibilità di giungere a una rappresentazione razionale e oggettiva dell'alfabeto, pur sempre, senza pretese universalistiche. La fonte «Pianaforma» è il risultato di questa impresa.

Tre regole possono bastare

Ecco la lista delle regole. Non sono riuscito a escogitare una lista più breve e delle regole più semplici.

1. I glifi devono essere costituiti solo da segmenti retti, ortogonali oppure obliqui, e da archi di circonferenza, entrambi il più possibile comuni;

2. i glifi dovono possedere proporzioni secondo piccoli numeri interi;

3. i tratti dei glifi devono avere larghezza uniforme e massima, senza però dare luogo a sovrapposizioni.

Prima regola

La regola numero 1 consente una buona libertà con risorse minime. Limitare il disegno ai soli tratti retti,

oppure ai soli tratti curvi,

sarebbe stata una scelta ancora più vincolante – e dunque preferibile in teoria – ma in entrambi i casi avrebbe pregiudicato la leggibilità delle lettere, perciò è stata esclusa.

Anche costringere i tratti all'ortogonalità sarebbe stata una scelta più vincolante, ma avrebbe condotto a risultati eccentrici – quantunque interessanti – perciò è stata esclusa.

Il ricorso esclusivo alla circonferenza è molto riduttivo: esiste infatti una sola circonferenza, mentre si danno innumerevoli ellissi, per restare nell'ambito della geometria elementare. Questo rende la regola molto vincolante, perché l'arco di circonferenza è la curva più semplice che si possa immaginare.

Seconda regola

La regola numero 2 obbliga a inquadrare la forma delle lettere entro ben determinate proporzioni. Queste proporzioni sono dunque 1:2 oppure 2:3 oppure 3:4 e così via, benché non abbia avuto la necessità di spingermi oltre.

Proporzioni del genere sono tipiche dell'ambito musicale. Il rapporto 1:2 è infatti il rapporto di ottava; 2:3 è il rapporto di quinta e 3:4 è il rapporto di quarta. Si tratta di rapporti che l'orecchio percepisce come naturali e quindi mi è parso altrettanto naturale adottarli per disegnare delle lettere che hanno l'ambizione di rappresentare un'idea condivisa da chiunque sappia leggere.

Come si vedrà più avanti ho impiegato il rapporto 1:2 per stabilire le proporzioni delle lettere minuscole, e ho impiegato il rapporto 2:3 per stabilire il rapporto fra le lettere minuscole e quelle maiuscole.

Terza regola

La regola numero 3 serve a determinare lo spessore dei tratti, la loro variabilità, e la forma delle loro estremità.

Questi tre aspetti consentono di differenziare l'aspetto delle fonti, grazie alla soggettività creativa che si apprezza davanti a glifi variamente disegnati, ma intralcia nel caso si voglia cercare una difficile neutralità in questi aspetti.

Ho cercato perciò una regola che consentisse di stabilire intrinsecamente lo spessore del tratto, perché qualsiasi altra scelta mi appariva arbitraria. Mi sono chiesto: quale spessore assegnare, fra gli innumerevoli possibili, al tratto di un motivo ornamentale?

A parte l'ultimo, tutti gli esempi riportati appaiono accettabili. Tuttavia è il quinto – quello in cui la percentuale dei chiari e quella degli scuri è distribuita in maniera equa – il preferibile. E questo proprio e soltanto per una questione di equità. Siccome è difficile sostenere razionalmente quale sia la distribuzione che produce l'effetto migliore, almeno fino a prova contraria è ragionevole scegliere quella più equa.