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Parole del duce

Campi semantici e innovazioni linguistiche

Lo studio più significativo sull'argomento resta Il linguaggio di Mussolini di Augusto Simonini (Milano, Bompiani, 1978) che è stato ripubblicato postumo nel 2004 con una introduzione di Omar Calabrese.

L'autore affronta con acume l'argomento sotto diversi aspetti, ma sul piano quantitativo, visto anche l'anno di pubblicazione, deve accontentarsi di qualche osservazione generica. Nella parte intitolata La lingua e lo stile, il paragrafo 4 ‒ Campi semantici e innovazioni lessicali ‒ comincia così:

Anche senza procedere a rilevamenti e tabulazioni statistiche (per lo spoglio dei 35 voll. dei suoi scritti e discorsi occorrerebbe un'equipe tecnologicamente attrezzata), si può facilmente intuire che i termini ricorrenti con più alta frequenza nel linguaggio di Mussolini tendono di volta in volta a corrispondere al raggio e al ruolo dei motivi ispiratori della sua ideologia e della sua politica.

Ciò premesso, l'autore nomina alcuni di quei termini più ricorrenti:

I campi di maggior tensione sono quelli di Nazione - Patria, Dovere - Ideale, Romanità - Potenza, con opportuna dislocazione di terminologia moralistica e militaresca: disciplina, intransigenza, lotta, coraggio, eroismo, viltà, morte, gloria, destino, decisione, determinazione, guerra, volontà, metallo, acciaio, baionette, tensione, meta, parola d'ordine, durare, puntare i piedi.

Non mancano vocaboli mutuati dal settore ecclesiastico-religioso: fede, vangelo, martirio, sacrificio, rito, altare, culto, religione, redenzione, comunione, missione, comandamento, mistica, gerarchia: cui si aggiungono, in senso polemico-sarcastico antimassonico e antisocialista, questi altri: setta, conventicola, casta, preti, santoni, chiesa, sinedrio.

Cimitero delle parole morte

Su un piano diverso da quello strettamente linguistico ‒ quello letterario ‒ anche Giorgio Scerbanenco ha condotto una ironica ricognizione sulle parole e sulle frasi messe in circolo durante il ventennio fascista.

Nel racconto Lingua morta l'autore immagina di visitare, in compagnia di altri curiosi, il cimitero delle parole defunte dopo la caduta del regime. Lo accompagna nella visita un guardiano burbero e impaziente.

«Questo è il campo dedicato alle frasi storiche» disse il nostro Virgilio. «Legga, legga questa: In primavera viene il bello. Oppure quest’altra: Angolini da ripulire. Se la ricorda lei, Angolini da ripulire

«Altro che.»

«E anche questa, se la ricorderà certamente: Non fasciarsi la testa prima di essersela rotta

«Sicuro.»

«E questa: Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi.» Così il mentore ci indicava, tomba per tomba, in quel tepido pomeriggio settembrino.

Il martellante eco della propaganda

Scerbanenco coglieva nel segno. Effettivamente, nel Discorso del 23 marzo 1925, reduce da una malattia, Mussolini ebbe a dire:

La mia presenza a questo balcone disperde d'un tratto un castello di carte a base di ridicoli « si dice », di miserabili « corre voce ». Voglio invece dirvi, io, che siamo a primavera ed ora viene il bello. Il bello, per me e per voi, è la ripresa totale, integrale dell'azione fascista, sempre e dovunque, contro chiunque.

Anche il caso degli angolini è esemplare. Mussolini ne parlò in due discorsi ravvicinati: quello del 23 e quello del 30 settembre 1939.

Di teste fasciate, invece, il duce parlò nel Discorso del 25 ottobre 1938:

Il pessimismo del borghese è quello che si fascia la testa prima di essersela rotta.

E infine, nel Discorso del 7 aprile 1926, pronunciò la famosa tripletta:

Io non per nulla ho prescelto a motto della mia vita: « Vivi pericolosamente », ed a voi dico, come il vecchio combattitore: « Se avanzo, seguitemi; se indietreggio, uccidetemi; se muoio, vendicatemi ».

Scerbanenco, però, era anzitutto un giornalista, e come tale aveva risentito molto severamente della pressione propagandistica che il regime esercitava sulla stampa. È noto il caso, per esempio, delle famigerate veline, le discrete ma perentorie disposizioni che il Ministero della cultura popolare impartiva ai giornali per minimizzare o enfatizzare ‒ secondo il caso ‒ gli avvenimenti di cronaca, fra i quali, naturalmente, vi erano i discorsi del duce. Non a caso, infatti, il primo monumento del Cimitero delle parole morte è dedicato proprio al vibrante entusiasmo:

Al principio del viale si ergeva un maestoso monumento. Esso consisteva in un alto obelisco sul quale era inciso un numero. Domandammo informazioni al guardiano.

«È il monumento al Vibrante entusiasmo» disse laconicamente questi. «La cifra scritta sull’obelisco è il numero delle volte che i giornali hanno parlato di vibrante entusiasmo

Ma Mussolini, nei suoi discorsi, pronunciò due volte soltanto questa espressione (Discorso del 30 agosto 1936 e Discorso del 24 ottobre 1936), il resto, evidentemente, lo fece la propaganda, e lo stesso si può dire anche per le altre espressioni.

Ma quali furono, allora, le parole e le espressioni davvero predilette o semplicemente più adoperate dal duce del fascismo?