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Introduzione

Scrittura letteraria, scrittura scientifica

Scrivere di scienza è difficile, ma scrivere di scienza a scuola lo è anche di più. Questa difficoltà aggiuntiva deriva dal fatto che la scuola non ha mai coltivato seriamente una tradizione di scrittura scientifica, perché ha sempre privilegiato il modello della scrittura letteraria, sebbene quest’ultima non sia, di per se stessa, lo scopo finale dell’insegnamento linguistico.

Questa affermazione può sembrare sorprendente, e magari un po’ ingiusta, ma cessa di esserlo se si ammette che la scuola non si preoccupa un granché di insegnare agli studenti come vanno affrontati i minuti problemi della redazione di un documento, e preferisce restare ancorata a un modello di scrittura centrato sull’idea un po’ romantica di composizione. Il tema di argomento letterario, storico, politico, filosofico e paradossalmente anche scientifico domina pressoché incontrastato su ogni altra forma di espressione per educare gli studenti al dominio sulle parole scritte, tanto è vero che esso – differenziato in tema in senso stretto, analisi del testo, saggio breve e articolo di giornale – costituisce la prova scritta di italiano all’esame di stato.

Dietro l’idea del tema, però, non è difficile scorgere l’ansia della composizione che rinvia immediatamente a un processo creativo di ideazione, scultura e cesello tipico della prosa d’arte, sicché la preoccupazione della scuola di insegnare a scrivere, in definitiva, è soprattutto una preoccupazione di insegnare a comporre, in accordo con le esigenze della letteratura d’arte, mentre la letteratura d’uso – relazioni, manuali, guide e protocolli ‒ per compilare solo un elenco incompleto, che si alimenta soprattutto di buone capacità di redazione, è quasi del tutto ignorata.

Eppure, volendo guardare le cose con un certo disincanto, che spero non verrà scambiato per cinismo, dovrebbe valere il contrario, e non lo dico per un pregiudizio verso la composizione a soggetto.

Al contrario, io ritengo necessario che gli studenti si esercitino lungamente a comporre temi e che imparino quindi a disporre con ordine e grazia le proprie idee e i propri ragionamenti in un testo di qualità tendenzialmente letteraria. Si tratta di una insostituibile palestra di cultura e di civiltà.

Detto questo, però, bisogna anche ammettere onestamente che ben pochi si mostrano interessati a conoscere l’opinione scritta di un ex studente di liceo sulle grandi questioni letterarie, storiche, politiche, filosofiche e scientifiche che appassionano e dividono l’umanità. È certo, invece, che alla fine di un corso universitario egli dovrà applicarsi a quella difficile prova di scrittura scientifica che è la tesi di laurea, senza contare le innumerevoli occasioni di natura simile che lo attendono nella successiva attività professionale.

La cosa discutibile, insomma, non è che la scuola educa fervidamente alle composizioni letterarie, ma piuttosto che essa non educa con altrettanta convinzione alla stesura di documenti scientifici, e subordinatamente tecnici, che almeno per quantità e diffusione sopravanzano ampiamente le prime.

Ricerca scientifica, scrittura scientifica

Questo libro nasce proprio con lo scopo di criticare senza malanimo questa esagerata inclinazione della scuola. Racconta perciò una sistematica attività condotta in laboratorio e in aula per insegnare agli studenti la scrittura scientifica.

Ho preferito usare l’espressione scrittura scientifica, nonostante sia meno diffusa di scrittura tecnica, di scrittura tecnico-scientifica e dell’ormai pervasiva espressione inglese technical writing, che ha spesso sostituito sia l’una che l’altra, perché credo che restituisca perfettamente il senso del lavoro che ho svolto.

In realtà, il significato di tutte queste espressioni è in gran parte comune, ma niente affatto identico. Il technical writing, infatti, designa soprattutto un insieme di buone norme redazionali atte a produrre documenti chiari, sintetici ed efficaci di carattere tecnico ma anche amministrativo e commerciale. La scrittura scientifica, invece, mira anzitutto a rendere trasparente l’attività sperimentale ed esplicito il ragionamento deduttivo, due compiti che non richiedono minori doti di chiarezza e di sintesi del technical writing ma che presuppongono altresì il dominio del metodo scientifico.

Chi ha dimestichezza con la scrittura scientifica, perciò, non dovrebbe incontrare particolari difficoltà nel technical writing, ma non è detto che sia vero anche il contrario. In altre parole, chi è capace di scrivere da solo un buon articolo scientifico probabilmente saprebbe anche stendere un realistico progetto di ricerca, mentre chi sa stilare un efficace progetto commerciale potrebbe trovarsi a disagio nel delineare anche il processo industriale che lo giustifica.

Un lungo percorso didattico

In principio non avevo un’idea così chiara e precisa di tutte le cose che ho appena detto. In principio, veramente, non credevo neppure che mi sarei fatto così strenuo paladino dell’insegnamento a scuola della scrittura scientifica. Però succede alle volte, quasi per puro caso, che si imbocca una strada che in seguito si rivela più utile e feconda di quanto sembrava all’inizio, e questa è stata la mia esperienza di insegnante di laboratorio di fisica in una scuola secondaria.

Si può decantare finché si vuole la scrittura scientifica, ma non si deve dimenticare il fatto essenziale che senza una concreta attività scientifica non è possibile alcun serio cimento di scrittura omonima.

Per molti anni, in effetti, io ho praticato l'attività scientifica sottoforma di appropriati esperimenti di fisica che dessero agli studenti qualche consistenza sperimentale alle loro cognizioni di teoria, ma questa consistenza non andava oltre i conticini necessari a rassicurarli che, almeno qualche volta, la teoria non era poi così distante dai risultati pratici.

Col passare del tempo, però, e in particolare dopo un evento tanto fortuito quanto provvidenziale per il seguito dell’attività, ho incominciato a sospettare che il racconto di un esperimento scientifico, almeno per gli studenti di una scuola secondaria, fosse un compito ben più difficile della pur necessaria esecuzione dell’esperimento medesimo. E quando finalmente il sospetto si è tramutato in consapevolezza ho modificato radicalmente il mio punto di vista sull’attività di laboratorio: l’esperimento restava naturalmente il mezzo principale per verificare le cognizioni teoriche, tuttavia la vera validazione, sia del lavoro teorico, sia di quello pratico, consisteva nella stesura di una lunga e dettagliata relazione di laboratorio, dove occorreva svolgere il confronto fra questi due aspetti dell’attività scientifica.

Sotto questo profilo, dunque, la riuscita dell’esperimento diveniva una questione piuttosto marginale, perché mi ero persuaso che dopotutto gli esperimenti riescono sempre, purché si riesca a descriverli adeguatamente, mentre il fallimento, casomai, sta nel non saper trovare le parole precise per descrivere quello che è stato fatto, per inquadrare quello che è successo, e per focalizzare le ragioni per cui è successo proprio quello che è successo.

Parecchio materiale accumulato

Siccome però, quantunque riescano sempre, gli esperimenti vanno pur sempre preparati con cura e le relazione devono essere corrette minuziosamente, dopo quasi un decennio di questa attività mi sono ritrovato in mano una quantità importante di testi, fogli di calcolo, linee di codice, grafici, disegni, liste di esperimenti, elenchi di studenti, schede di valutazione, verbali di lavoro. Ho pensato allora che potevo impiegare questo patrimonio documentario come ausilio obiettivo della memoria per descrivere la mia esperienza didattica dedicata a promuovere la scrittura scientifica quale prezioso strumento formativo, non meno utile e non meno fecondo del consacrato componimento a soggetto.

Ho ripercorso perciò le 3479 ore di lezione svolte in laboratorio e in aula e le 603 ore occupate in varie attività collaterali; ho rivissuto le 2450 ore di lavoro domestico dedicate a preparare i 257 esperimenti eseguiti e a correggere le 4279 relazioni richieste ai 320 studenti che ho incontrato nel corso degli ultimi sette anni di insegnamento. Mi auguro che alla fine ne sia uscito un racconto di interessante sostanza e di lettura piacevole.

Sul piacere della lettura, ovviamente, mi affido al giudizio insindacabile del lettore, ma sulla sostanza vorrei aggiungere qualche parola.

Una feconda complementarietà

L’argomento di questo libro forse appare poco nobile o troppo specialistico, o magari tutte e due le cose assieme, ma io ho fiducia che non sia così. Fernando Pessoa ha detto una volta che la letteratura è la prova evidente che la vita non basta. Ebbene, per quanto io mi sia sforzato, e abbia lungamente cercato altrove, non ho mai trovato una definizione di letteratura così semplice ma altrettanto profonda. L’opera letteraria, in effetti, esprime perfettamente l’anelito dell’uomo a scavare nella propria modesta esperienza quotidiana per ricavare suggestione che gli permettano con le parole scritte di trascendere i propri limiti materiali.

La letteratura scientifica, invece, procede all’inverso, perché tenta faticosamente di ridurre la farragine delle esperienze confuse e contraddittorie della vita in un testo chiaro ed essenziale, indispensabile per orientarsi in quella zona della vita che sta al di qua dell’anelito di Pessoa, ma senza la quale quell’anelito non avrebbe neppure senso. Sotto questo punto di vista, perciò, non mi sembra fuori luogo parlare di una complementarietà fra le due letterature e fra i mezzi necessari per coltivarle.

La vita, dunque, ha bisogno di letteratura e di scienza – ognuno può nominarle nell’ordine che preferisce – ma la scuola ha il dovere di insegnare agli studenti come si scrive di entrambe.