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Il dominio dei meandri informatici

Il brivido del passaggio

Una parte del processo che ho tentato di riassumere nella pagina precedente ha esercitato su di me un grande impatto, non appena ho avuto la consapevolezza di trovarmi nel bel mezzo del passaggio tra una fase e l'altra della storia delle parole scritte, un privilegio del quale non tutti possono vantarsi di aver goduto.

All'inizio, in realtà, capivo solo che tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso un fenomenale strumento di lavoro e di svago era stato messo a disposizione dei comuni mortali come me. Mio padre aveva lavorato alla ibm fino a pochi anni prima, e l'idea dei cervelli elettronici, come venivano chiamati allora, non mi era estranea, perché potevo ammirarne le fotografie sulla rivista aziendale che ogni mese circolava per casa. Ma si trattava di una realtà così distante, così epica e asettica, al tempo stesso, da lasciarmi di fatto indifferente.

Ma con il vic-20 prima, e con il Commodore 64 poco dopo, le cose andarono in maniera molto diversa. Fui letteralmente stregato da quei piccoli elaboratori elettronici per uso personale che hanno cambiato la mia vita.

Scrivere un programma di scrittura

Ricordare questi fatti mi avvicina all'argomento. In altre pagine del sito accenno alla mia precedente passione verso la macchina per scrivere, ma devo riconoscere che essa venne completamente oscurata dalle straordinarie possibilità offerte dell'elaboratore.

Se la macchina per scrivere ‒ meccanica o elettrica che fosse ‒ apparteneva ancora, dopotutto, alla fase 1 della scrittura, nella quale si depositano segni convenzionali sopra un supporto materiale e determinato, la macchina elettronica consentiva ‒ ma questo lo comprendo bene soltanto oggi ‒ di saltare direttamente alla fase 3, nella quale i segni convenzionali della scrittura potevano essere immagazzinati in un supporto materiale per essere restituiti tramite supporti di specie e natura non predeterminata. Le parole scritte perdevano in apparenza la loro labile identità, quando il video veniva spento, ma potevano essere richiamate a piacere per ricomparire variamente, ora su uno schermo più grande, ora su una pagina stampata.

Appena ebbi una certa dimestichezza con la macchina, decisi di scrivere un programma (si chiamava testo 64) per scrivere testi. Oggi la cosa può sembrare insensata, ma nel 1984 non era affatto.

Scrivere un programma di parole scritte

Questa esperienza mi fece comprendere che adoravo programmare, ma mi fece ricordare che adoravo anche scrivere. A indurmi poi a mettere insieme queste due passioni in modo creativo fu un gioco che in quel periodo costituiva lo stato dell'arte nell'uso ricreativo dell'elaboratore: Zork.

Lato ovest della Casa

Sei in piedi in un campo aperto ad Ovest di una casa bianca, che ha una porta di ingresso sbarrata.

C'è una piccola cassetta delle lettere.

Il gioco incominciava così, con la succinta descrizione di un luogo immaginario; stava poi al giocatore scrivere parole che gli permettessero di aggirarsi fra le adiacenze di quel luogo, grazie ad una serie di parole scritte, generate dall'elaboratore in risposta a quelle prodotte dal giocatore.

Adesso mi fa comodo insistere sul fatto che il gioco si riduceva ad uno scambio di parole scritte, dato che questa pagina appartiene a un sito dedicato espressamente ad esse, mentre allora la circostanza non deve essermi sembrata così straodinaria, ma in definitiva questa non è la cosa più importante. La cosa davvero significativa è che devo confessare di non aver mai finito di giocare a Zork, perché ero rimasto talmente stregato dall'idea di un fecondo colloquio verbale fra uomo e macchina che non avevo saputo resistere al desiderio e all'urgenza di farla mia come autore e come programmatore.