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esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

concordanze di «alla»

nautoretestoannoconcordanza
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segue il Belbo arrivai alla spalliera del piccolo ponte
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mele rotolate in fondo alla riva, convinto che il
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che il mondo finisse alla svolta dove la strada
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tutti quegli anni fino alla leva, ch’ero stato
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ch’ero stato servitore alla cascina della Mora nella
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del Belbo passa davanti alla chiesa mezz’ora prima
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correvano tra le gambe alla gente erano quelli; i
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ha posato il clarino alla morte del padre. Quando
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fare per essere rispettato alla Mora; poi la sera
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tettoia il sabato sera alla Stazione, arrivavano sulla festa
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di cui si raccontava alla Mora, cene d’altri
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mai bene chi paga, alla fine disgusta. – Poi c
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facevamo sullo stradone, o alla sua finestra bevendo un
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a dare un’occhiata alla Mora? ¶ Difatti. Non c
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sanno queste cose? Perché alla Mora mi dicevano anguilla
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neanche la chitarra? ¶ Dissi: – Alla Mora stavo troppo bene
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che accendano i lumi alla madonna. Chi dei due
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gente di fuori, renitenti alla leva, scappati di città
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alle collinette di Canelli, alla gente di laggiú, del
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quella strada e pensavo alla vita che poteva aver
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Il salto dal prato alla strada era come una
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macchia di verderame intorno alla spalliera sul muro. La
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e giocato, di lí alla strada, di esser sceso
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disse che in fondo alla riva ce n’era
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portai fino in fondo alla vigna. Non riconobbi piú
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e giocavamo, d’estate, alla settimana; d’inverno, alla
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alla settimana; d’inverno, alla trottola sul ghiaccio. La
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tutto scorticato… ¶ – Cosí vicino alla strada? – dissi. ¶ – No, veniva
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drizzò. Cinto, in fondo alla riva, adesso lo guardava
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di carte; e arrivammo alla strada, sotto il muretto
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m’incamminai e fino alla svolta mi sentii quegli
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mosche, prendevo il caffè alla finestra guardando la piazza
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avevo sempre l’occhio alla strada, ai passanti, alle
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col Cavaliere, sotto, davanti alla piazza scottante. Il Cavaliere
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che qui in cima alla collina la terra fosse
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la conca in cima alla vigna di Gaminella. Ma
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lui. – Lo fanno grosso alla Stazione, ma di qui
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non va in mezzo alla gente, verrà su come
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due fratelli che stavano alla Madonna della Rovere, in
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mattinata in banca e alla posta. Una piccola città
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Nido, passai la Mora. Alla casa del Salto trovai
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Avevo calcolato di arrivare alla stazione 37 col buio e
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che due macchine: andavano alla costa. Nel mio senso
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dal nord e andava alla costa. Mi rimisi a
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tappa in una conca – alla stazione 37 quella sera non
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agli Italiani di darsi alla macchia, di fare la
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fatto piú bene lei alla chiesa di dieci tangheri
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quante volte erano andati alla caserma dei militi. Poi
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alle campagne, ai raccolti, alla salute dei vivi e
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i piedi di costa. Alla svolta di un filare
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alle stanze del grano. Alla festa di San Rocco
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aveva mandato a giornata alla Mora. Avevo tredici anni
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e si raccoglievano, servivano alla signora, alle figlie, che
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coi primi freddi, entrai alla Mora. L’ultima volta
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che l’Angiolina mandava alla Serafina. Li avevamo trovati
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Gaminella. ¶ Chi mi accolse alla Mora fu Cirino il
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ch’era già scuro, alla luce della lampada a
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solo con Cirino davanti alla tavola coperta di pane
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Cirino mi disse che alla Mora ce n’era
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mi metterò a parlare alla figlia del Cola – non
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Gaminella non ero niente, alla Mora imparai un mestiere
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collina e io, avvezzo alla vigna di Gaminella dove
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San Rocco li portavano alla fiera e il massaro
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a discorrere in fondo alla vigna. E i braccianti
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scappavo sullo stradone fino alla casa del Salto, nella
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a caccia. Scavezzacollo, ma alla mano. Trattava gli affari
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era da far qualcosa alla grondaia sul terrazzo, e
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Irene, la bionda, appoggiata alla ringhiera con un asciugamano
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avesse lividi da mostrare alla Mora. Poi c’erano
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questo era niente rispetto alla vita che faceva adesso
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prenderli, e abbaiava, abbaiava alla luna che gli pareva
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aspettare, venne lui, disse alla donna: – Dàgli a sto
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si lamenta di dolori? ¶ Alla sua età, disse la
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disse. ¶ Poi si fece alla proda del prato e
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diceva il Valino, – tocca alla padrona. ¶ – Come sono le
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Poi tacemmo. Io pensavo alla vecchia. Dietro le canne
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volta che mi vide alla Mora – ammazzavano il maiale
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piú di un anno alla Mora e c’eravamo
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prima della grossa grandine, alla sfogliatura. Eravamo nel cortile
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Suonava bene già allora. Alla fine tutti avevano ballato
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e mi vide davanti alla censa che guardavo le
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le strade, andavano fino alla Stazione, a Sant’Anna
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la luna, e bevevamo alla bocca discorrendo di ragazze
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Mentre facevano le feste alla bambina, io non sapevo
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estate li sprecai tutti alla festa, al tirasegno, in
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i fogli in mano alla gente neri di titoli
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delle angurie, in mezzo alla gente, ai teli di
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che andavano in festa, alla fiera, alle giostre di
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strappavo le gambe, rompendole alla giuntura. «Peggio per voi
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di fiori. E pensavo alla faccia di Irene e
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i bricchi o suonava alla Stazione, soltanto d’inverno
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intorno, a casa sua, alla Mora, nei cortili. Arrivava
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bel giorno aveva detto alla moglie di provare a
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avevano quand’ero entrato alla Mora. Io facevo l
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della bella stagione andavamo alla costa in automobile e
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domani. Any time. ¶ Riportandola alla pensione le dissi che
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a casa, tornò ancora alla costa. Ma non uscí
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inviti a Canelli e alla Stazione per una festa
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un parco, che intorno alla casa c’era tanta
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era passata per andare alla Stazione. Anche la messa
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le occupasse – nemmeno dietro alla Santina ci stavano volentieri
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Le ragazze sospiravano appoggiate alla ringhiera. Il toscano si
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ero rimasto io solo alla Mora. Ci fu un
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ultimo anno che stetti alla Mora io prendevo cinquanta
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prendevo cinquanta lire e alla festa mi mettevo la
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condussi in biroccio fino alla svolta della salita e
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biroccio e mi feci alla porta. Nella prima sala
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degnò mai di venire alla Mora, mandava a volte
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lui andare in festa alla Stazione… Ci troverebbe i
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verità. Se ci pensi alla verità, vieni matta. Guai
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a lei la guardava. ¶ Alla Mora un giorno era
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cuoio. Lei portava invece alla vecchia il giornale illustrato
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e i cuscini. Né alla Mora né a Crevalcuore
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rassegnò. Adesso correre toccò alla matrigna e all’Emilia
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fatto; adesso, quando eravamo alla casa del Salto e
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neri, dei capitalisti… Qui alla Mora era niente, ma
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Io tendevo l’orecchio alla luna e sentivo scricchiolare
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Poi ha dato fuoco alla paglia e mi cercava
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letame bruciato che prendeva alla gola. Mi scappò un
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Era corso tutt’intorno alla casa. Aveva dato fuoco
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fuoco anche al fienile, alla paglia, aveva sbattuto la
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che nella stalla o alla pioggia dietro l’aratro
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da Alba, e perfino alla Mora cominciavamo a dire
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casa coi tappeti, davanti alla chiesa, e certi giorni
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mai. ¶ Ripresero a venire alla Mora a trovarle i
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di nuovo pazza. Ricomparvero alla Mora l’Arturo e
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Matteo – il ragioniere veniva alla Mora in bicicletta, era
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Canelli. Dava dei pranzi alla Croce Bianca, era in
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Matteo piantò una sfuriata alla moglie e alle figlie
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satire. Diede la colpa alla matrigna, ai fannulloni, alla
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alla matrigna, ai fannulloni, alla razza puttana delle donne
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gatto. Andò a Canelli alla Casa del fascio; andò
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che tutti l’aspettavamo alla Mora. Tornarono, ma stavolta
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Virgilia a me e alla Giulia – si chiamavano la
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Genova, e la vita alla Mora sembrava riprendere un
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col nostro cavallo, e alla domenica in chiesa dava
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chiesa dava l’acqua alla mano d’Irene. Era
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in casa dal mattino alla sera e girava nei
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misero in fila davanti alla chiesa, la madonna usciva
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guardar suonare. ¶ Poi poco alla volta Silvia si calmò
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strada di Gaminella – davanti alla bottega passavano macchine, autocarri
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sua madre… stavano ancora alla Mora… ¶ Si voltò e
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Santa per quei bricchi alla festa, come avevo fatto
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gente ne dice tante. Alla Mora ci stava già
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paese, devo dir grazie alla Virgilia, a Padrino, tutta
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per i boschi; accudiva alla casa, faceva il pane
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subito trovato da impiegarsi alla Casa del fascio, e
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aveva ripreso l’impiego alla Casa del fascio, si
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ci aveva creduto. Fino alla fine non ci aveva
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Santa venne in bicicletta alla Mora e di là
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non ne poteva piú. Alla Mora non poteva tornare
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e segnalato dei depositi alla Casa del fascio. Baracca