Vittorio Alfieri, La congiura de' Pazzi, 1789

che tua; poiché null'altro contiene, che la quintessenza

Raimondo ¶ Soffrire, ognor soffrire? altro consiglio ¶ darmi, o padre

pur nato da null'altro io fossi, ¶ marito qui

vecchiezza! — Ah! se null'altro, ¶ che tremare, obbedir, soffrir

si dee più ch'altro? Inerme Silla ¶ si fea

il gonfalon ti dava; ¶ altro nostro voler, più giusto

riuscir non mai: ch'altro chiegg'io? ¶ Da lui

non ti sia? Null'altro ¶ far vogliam noi, che

Torgli il suo ufficio, altro non è che il

che mal lo ascondo; altro ei non sa: non

ben fia codesto, ¶ ben altro ardire. ¶ Raimondo ¶ È vero

da medìcei signori attender altro, ¶ che oltraggi e scorni

dovresti ¶ più d'ogni altro sentir s'ei pesa

Or cittadini entrambi, ¶ null'altro siamo: e a me

ei sia tiranno. ¶ Legame altro per me non resta

ma l'uno all'altro il vieta. In lor

s'ei fassi all'altro amico. Eccoti sciolto ¶ il

fan di noi. S'altro motor v'avesse, ¶ dirti

affidi? ¶ Raimondo ¶ E s'altro fosse, al mio furor

dammi il tuo assenso; altro non manca. ¶ Già in

nebbia palustre. Ardir qual altro ¶ può Roma aver, fuor

l'un colpo all'altro ¶ tardo succede, anco d

me stesso incresco. ¶ Bianca ¶ Altro ben veggio; ¶ pur troppo

moglie a te; null'altro io son: deh! parla

vita. ¶ Guglielmo ¶ Or, s'altro ¶ non temi; e poiché

pur madre ¶ più ch'altro sei, torna a' tuoi