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Giovan Battista Marino, La strage degli innocenti, 1632

concordanze di «ch»

nautoretestoannoconcordanza
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bella il fren reggesti, ¶ ch’Atene o Roma eroe
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con l’alito crudel ch’avampa e fuma, ¶ la
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serpi innanellato il crine, ¶ ch’orrida intorno al volto
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de’ gran conflitti, ¶ esca ch’accese in Ciel tante
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a la bella dea ch’odia la guerra; ¶ gl
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occhi converte, ¶ né men ch’a morte a se
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che vergine sia donna ch’è sposa, ¶ e poi
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anni; ¶ et oltre poi, ch’umiliato e fatto ¶ al
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de la tremenda corte ¶ ch’ella di Dite, in
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schiume di Cerbero nodrita, ¶ ch’al manco braccio avviluppata
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entro le vene ¶ fiamma ch’aviva ogni virtù sopita
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gli rimembra ¶ e ciò ch’udì ne la memoria
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Vano e folle timor ch’abbia colui ¶ che ’l
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il re palesa ¶ ciò ch’a lui di temer
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temer porge sospetto; ¶ Urizeo, ch’a buon fin la
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trarli dal petto; ¶ Burucco, ch’a la strage ha
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al carro d’or ch’il dì n’apporta
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in cima. ¶ Il sedil ch’egli preme eletto e
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tempestandol col piè, par ch’abbia in ira. ¶ L
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Versomi in gran pensier ch’entro i confini ¶ di
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e questo ¶ capo real, ch’a me, non so
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e per vana pietà ch’ad altrui porto ¶ contro
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età mia più fresca ¶ ch’immaturo capriccio e frettoloso
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e frettoloso ¶ raro adivien ch’a lieto fine riesca
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destrier frena e corregge ¶ ch’accenni di servir, più
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atterra. ¶ Tolga il ciel ch’al mio re d
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mal sicuro, ¶ un mal ch’apportator d’affanni estremi
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solo onora et ama, ¶ ch’a te lontano ancor
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fraterno ¶ simulacro vogl’io, ch’aver ti parve ¶ notturno
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è del tutto o ch’è verace ¶ quest’antico
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che sia fallace, ¶ però ch’assai sovente astuto ingegno
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clemenza ¶ quel fervido valor ch’avampa e bolle ¶ tempri
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vidi piegar tenera verga; ¶ ch’al fin se l
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molto più regnando. ¶ Convien ch’attento vegghi e che
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aiti. ¶ Ma poniam pur ch’alcun non fia giamai
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alcun non fia giamai ¶ ch’a la corona tua
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carissimi a Dio però ch’ei gode ¶ in terra
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fur che messaggier divini? ¶ Ch’altri semplice plebe e
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dietro si tiri, ¶ sì ch’ella qual fatidica e
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la pietà de’ figli; ¶ ch’ama gli ozi domestici
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morso non riterrà sì ch’io non dica ¶ ch
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ch’io non dica ¶ ch’a gran re gran
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miro al mio pro ch’a l’altrui danno
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il rege e voi, ¶ ch’a i ripari del
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La cosa a quel ch’espresso omai si vede
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commosso, ¶ Menade sembra, allor ch’orribilmente ¶ rota se stessa
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in sé medesmo avolto ¶ ch’entro il rapido gorgo
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de la secreta ¶ macchina ch’apprestata è lor da
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di vivo umor stille ch’ei versi ¶ largo prezzo
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real, popolo eletto, ¶ città ch’appellar tua spesso degnasti
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giusto conforto ¶ fia dever ch’addolcisca i miei dolori
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doglio. ¶ Vagliammi questi gemiti ch’io spando, ¶ giovinmi queste
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spando, ¶ giovinmi queste lacrime ch’io scioglio; ¶ sovra l
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fervidi preghi ¶ né voler ch’a Pietà pietà si
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piovi ¶ con la man ch’ogni duol ristora e
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sommo bene. ¶ Nova pietà ch’ogni rigor gli ha
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Creator si stampi. ¶ Par ch’i dolci occhi in
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oscuro ingegno? ¶ Meglio quel ch’ei non è, che
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perché la Chiesa mia ch’ei va fondando ¶ di
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tuo cordoglio. ¶ Io vo’ ch’a queste mie vittime
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tempo a pien maturo ¶ ch’a lo scampo commun
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ciglia, ¶ e dal mondo ch’eterno arde e riluce
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che son stelle oro ch’è sole. ¶ Già la
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o vento. ¶ Vedi non ch’altro in que’ riposti
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bela agnello, ¶ se non ch’a piè del taciturno
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leggiere. ¶ Non è però ch’occhio celeste inganni ¶ illusion
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i cari suoi ciò ch’altrui cela ¶ quasi in
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l’aurora, ¶ e più ch’altra stagion la mattutina
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ordin vi lesse, ¶ zelante ch’al suo scampo ei
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t’invia. ¶ Là, fin ch’abbi del Ciel novo
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una vita; ¶ fa’ tu ch’a buon camin drizzino
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hai ¶ più preggiato tesor ch’un puro affetto, ¶ e
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furor sett’urne piene, ¶ ch’a parir d’Asia
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lume e ’l caldo ¶ ch’ovunque va soavemente irraggia
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figlio ¶ move l’Angel, ch’al par del sole
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n contro al balen ch’arde e sfavilla ¶ con
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e de’ suoi dèi, ch’alto tremoto infranse, ¶ le
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Qui, finché ’l Ciel ch’al patrio nido il
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il pigro ingegno, ¶ però ch’assai sovente altrui consiglia
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orrida scena. ¶ Lo stuol, ch’infellonito il ferro gira
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penna oscura e vile, ¶ ch’a ritrar tant’orror
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suoi color comparta ¶ sì ch’emula al tuo lin
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danno e vostro, ecco ch’armati ¶ mille ne vengon
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madri. ¶ Fabrica in Bettelem ch’alta s’appoggia ¶ sovra
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e di matrone. ¶ Tosto ch’entraro e ’n vista
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l’ultimo spirito spiraro ¶ ch’a i primi sospiri
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ferisci, e campami costui, ¶ ch’è de l’anima
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e tu ne ridi? ¶ ch’io ami quel che
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sangue il fero orgoglio ¶ ch’assai n’ha più
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mi vaglia a mercé ch’io mora seco. ¶ Crudel
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altro dolor se non ch’egli abbia ¶ troppo picciole
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Né meno a sé ch’a i figli, in
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se non forse però ch’ella piangea. ¶ Una ve
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calcandolo lo sprezza. ¶ Ella, ch’altro non sa, rivolta
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non mi degg’io ¶ ch’alberghi in petto uman
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tratta e boschereccia ronca ¶ ch’usa podar già tralci
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avea, quasi farsetto indosso ¶ ch’a pena il ricopria
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ciera, ¶ in somma tal ch’era uomo e parea
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offerse ¶ che, se non ch’egli altrove i lumi
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lumi volse, ¶ se non ch’ella d’un velo
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la soccorre? ¶ dove sarà ch’aita invan non chieda
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ecco un altro crudel, ch’al primo figlio ¶ che
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allaccia, ¶ ragion non è ch’io te da lui
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dal busto. ¶ Vedel là ch’un pomo ei sta
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froda pietosa altrui rivela ¶ ch’ascoso il tien de
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la materna vesta; ¶ semplicetto ch’egli è, né sa
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insegni? ¶ Altro non veggio ch’una orribil massa ¶ di
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occhi, occhi pietosi ¶ in ch’io mille dolcezze ognor
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più toccando infrango. ¶ Lassa, ch’io pur miseramente estinti
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io. ¶ Se’ tu colui ch’io generai primiero? ¶ Già
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e con sanguigne creste, ¶ ch’al novo sol presso
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gl’innocenti ei mira ¶ ch’unito verso il limbo
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mano armata, ¶ nel sangue ch’ella asciuga il ferro
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ecco pur quell’amor ch’ambo vi strinse ¶ sì
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una selce alpestra, ¶ sì ch’ei viene a pagar
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fele. ¶ Et ecco già ch’omai si leva et
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d’atro sangue brutto, ¶ ch’anelando e sudando in
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tuoi. ¶ V’era tal ch’era padre e pur
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viscere sparte. ¶ Se ciò ch’allor fec’io silenzio
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pur di saper ciò ch’esser deggia, ¶ il nostro
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le materne celle ¶ carni ch’eran di lor nate
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con l’anima coprire, ¶ ch’io non sarei di
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l’impeto la voce, ¶ ch’urtò la porta, poiché
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altro. ¶ Meraviglia fu ben ch’a noi non fosse
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e minaccioso ¶ schernir pria ch’uccidesse i cari pegni
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stelle, o cari figli, ¶ ch’a mio talento, in
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ire ancor, per quel ch’io veggio, ardenti -. ¶ Qui
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magnanima et ardita, ¶ quel ch’è pur noto appalesar
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anima fra tante ¶ piaghe, ch’a la sua fuga
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Riconoscere Albina omai devete, ¶ ch’ebbi Alessandro, il regio
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pegno in cura; ¶ quegli ch’or là nel suol
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e sbigottita, ¶ pensi ciascun ch’aspra e novella e
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serba in vita, ¶ però ch’una sol morte a
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contro ’l Ciel commessa ¶ ch’io deggia in cotal
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tolto, ¶ non mi torrà ch’almen ne l’ore
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miglior se ’l dì ch’apristi, ¶ o pargoletta mia
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torto ti fu, stolta ch’io fui!, ¶ che darti
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tuo vel, non men ch’amato amaro, ¶ scarso non
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questo ¶ lo scettro imperial ch’ei ti prepara? ¶ O
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almen quell’animette ignude ¶ ch’io spogliai dianzi, or
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raggi ¶ precursori del dì ch’a noi s’appressa
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morir pria per lui ch’egli per voi; ¶ colti