Alessandro Braccesi, Soneti e Canzone, 1473?

ver, caro signore, ¶ quel che la lingua falsa o

intesi el sinistro rapporto ¶ che ti fu facto, o

unica spene. ¶ Proterva lingua, che quasi mi hai morto

experta, ¶ perché tu sai che in alcun può aver

amor aver oggecto. ¶ Fa che 'l mio prego, adunque

senza sdegno o spavento ¶ che Morte possi dar gli

mi legasti, Amore, ¶ sì che pien di desir e

resto. ¶ 60 ¶ Quella dolze speranza che nel core ¶ l'ardente

iace; ¶ adunque, onde è che giorno e nocte pace

non perder la cosa che già piace, ¶ per prova

già piace, ¶ per prova che 'l dilecto si disface

soave la speme ¶ fin che la vive, così poi

patire ¶ ognihor la morte, ché chi ama teme ¶ del

per la gran doglia che sentiva il core, ¶ temendo

la mie sorte, ¶ poi che 'l bel volto mostro

quant'era il duol che mi face' mancare. ¶ Cagion

cor monstrava pregno. ¶ Or che da me tanto timore

ad contemplar la vista ¶ che mi fa co' suoi

duce, ¶ al vago aspecto che come un sol luce

Non suol mai donna che abbia il cor gentile

ben senza contasto approvo ¶ che per mie colpa tanto

non però 'l nodo che strecto mi tiene ¶ cerco

quando io penso poi che possedere ¶ cosa mortal non

e guai ¶ in forma che del viver mi sgomento

gente. ¶ 68 ¶ I' so' tal che credia già fusse in

ghiaccio la fiamma incredibile ¶ che 'n puerile età mi

più ch'un vetro che 'n terra rompe celere

mio foco, e dubito ¶ che chi nol crede goda

indelebil foco e sùbito, ¶ che sempre poi è stato

Dal giorno in qua che fu l'empia partita

fu l'empia partita ¶ che mi lasciò con l

sarò della letitia usata, ¶ che tener l'alma al

altro piacer non trovo ¶ che veder lei da cui

truovo riposo, ¶ né cosa che mi allenti el gran

dolore. ¶ 71 ¶ Io so ben che·lla terra non produce

prodeza, ¶ l'aspecto adorno che più che 'l sol

aspecto adorno che più che 'l sol luce, ¶ quella

Chi può adunque negare ¶ che donna tu non sia

cel così quel punto che la luce ¶ mi fe

del mondo, certo piacque, ¶ ché mal fuggir si può

mio dilecto, ¶ della querela che fa 'l signor mio

nel caldo pecto. ¶ Amor, che me li ha facto

sì subgietto, ¶ sa ben che 'n terra lei, in

donato, ¶ come esser può che sol d'un vil

a quel bel nodo che mi tien legato, ¶ ringratio

l mio benigno fato, ¶ che 'n tanto ardor mi

tanto piacer ne prendo, che beato ¶ esser mi pare

secondo vento. ¶ Sol prego che 'l bel volto si

ale, ¶ sol per far che 'l mie laccio sie

con acerbe mie pene ¶ che ripensando al tempo già

condition mutare! ¶ Così quel che mi fu grato già

perché più mi cale ¶ che 'l passato piacer non

divina et excellente gratia ¶ che sol la mente satia

speranza. ¶ E 'l tempo che m'avanza ¶ fa' ch

di mie salute, ¶ sì che tuo gratie in me

chi ti legge: ¶ di' che d'amor la legge

ritornassi e 'ntendessi anco ¶ che 'l suo signor lo

perché, gentil signora, ¶ tu che 'l possiedi, sai bene

possiedi, sai bene in che modo ¶ non sta 'l

in poter, e sai che 'l dolze nodo ¶ non

giammai, ¶ né bramo altri che voi, o chiamo, o

dal giorno in qua che di te innamorai. ¶ Sento

la speranza diventar minore ¶ che fa multiplicar la mie

il mio lamento, ¶ poi che fortuna contrasta al volere

tanto dolce e soave ¶ che 'l cor altro piacer

d'arrivare in porto, ¶ che fa più la mie

penso al gran don che 'l cel n'ha

d'una dolceza tale ¶ che fruir altro alla mente

degno ¶ è di supplicio che non è il mal

mi tien sì tristo, che più non son degno

perduto la forma, ¶ poi che per me quel sì

ch'io non senta che 'l bel piè al

sarò fora ¶ del dolor che mi ha dato el

non eri già degno ¶ che così fusse offesa la

saxo, ¶ io prego Giove che ti traghi fora ¶ d

d'ogni periglio e che ti facci degno ¶ di

quïete è la radice, ¶ che se mai tempo fie

quella man l'opra, ¶ che del bel piè cavato

mille volte il giorno ¶ che dato ha 'l piè

me felice giorno, ¶ poi che m'hai tracto di

per sì benigna opra, ¶ ché d'ogni bene al

giorno, ¶ ond'io prego che mai si cangi el

bella opra. ¶ E tu, che d'ogni cosa se

dolceza in questo stato, ¶ che già mai non senti

sì lieto giorno; ¶ di che ringratio l'etterno factore

offenderà il sinistro giorno. ¶ Che laude e gratia n

e troppo iniquo Amore, ¶ che pietà non avesti a

lunghi affanni, ¶ qual più che mai è dal suo

sano; ¶ né spero pur che Morte mi discioglia ¶ da

da tanto strecto nodo che legata ¶ già più d

Or godi, Amor, poi che hai posto l'assedio

volte soletto, ¶ nella stagion che la nocte è più

l sai ben tu, che cagion n'hai, ¶ a

vago de' mie guai! ¶ (che, quando 'l penso, l

veduto ¶ o nell'uscir, che non parlo menzogna. ¶ Agli

non è piaciuto ¶ altro che 'l vago tuo legiadro

posa. ¶ 44 ¶ S'io veggio che, pensando al mio signore

a questo errore? ¶ Veggio che nel pensar cresce l

dolze pensero, ¶ da poi che meco fermo ti stai

stai sempre, ¶ né vuoi che d'altro ma sol

te pensi, ¶ pregoti almen che quel ch'i' bramo

bramo e spero, ¶ anzi che sì gran fiamma mi

dell'ingegno l'acume, ¶ che nel cor mio n

Amor, io mi credea che tu m'avessi ¶ assicurato

veggio l'alma più che mai accesa ¶ da tal

accesa ¶ da tal foco che mai non sarà spento

cor sento, ¶ ch'altri che morte potrà tòrre il

il peso ¶ o far che' pensier mia sien volti

l credessi, ¶ tempo sarie che di me ti 'ncrescessi

mio furore, ¶ iniquo fato che mi stai dintorno! ¶ Almanco

una speranza verde, ¶ insin che gli occhi belli non

avermi acceso il core, ¶ che, per accrescer più 'l

è tardo. ¶ So ben che di veder io non

sì bella man, non che strignerla un poco, ¶ se

un poco, ¶ se non che tuo pietà mio merto

e lungo gioco, ¶ acciò che più m'avampi ¶ et

multiplicate sì le pene ¶ che, s'altri non m

sarà finita ¶ la guerra che mi fa quest'alma

l dolor si raviva, ¶ che del suo colmo è

martyre invola. ¶ Gli occhi che paion due nocturne stelle

hora il mese, ¶ da che trovar non posso altra

aspecto, ¶ co' sembianti gentili ¶ che fan ch'io m

e pur veder altri che lei non chiegio, ¶ s

più guai, ¶ altro pensier che questo non albergo, ¶ e

aspro mio tormento, ¶ tanto che al fin Amore o

martyr e rio. ¶ Forse che mi trarranno ¶ o l

ch'io aggrado ¶ più che la vita o 'l

donna si riposa. ¶ So che non ti fie ascosa

ella t'ascoltassi, ¶ dille che 'l gran dolor non

pel mio nativo fato ¶ che la mie barca tien

Lasso, ch'io vegio che fra tanti scogli ¶ romperò

el porto, ¶ da poi che così vuole el duro

in fredda terra ¶ o che 'l mio legno franga

altro aita ¶ se non che 'l mie crudele acerbo

è sempre 'l fine ¶ che, poi che surti stan

l fine ¶ che, poi che surti stan securi in

tema del futuro danno ¶ che, compensando col piacer l

pel troppo strecto nodo ¶ che m'avolgesti al cor

punto e l'anno ¶ che 'l bello aspecto vidi

mortal chiodo. ¶ Fallace Amor, che sotto breve gioco ¶ el

foco! ¶ Io 'l so che 'l provo, e ben

e fo come coloro ¶ che del perduto cognoscono el

Amor n'è cagione ¶ che mi ha facto prigione

d'aspecto sì gentile, ¶ che s'io potessi in

ogni punto aspecto morte ¶ che vinca questa sorte, ¶ la

porto la debil barchetta, ¶ che nel solcar s'affretta

giugner al suo fin che si nasconde. ¶ Forse mi

amata mia inimica, ¶ di' che lei mi nutrica ¶ nel

nel cor tal fiamma che, se presto il foco

fie poco ¶ lo spatio che terrà mie vita humìle

grave è 'l duol che mi trafigge il core

intero, ¶ quale altro mai che morte dislegasse. ¶ Ma or

lusinghier mi trasse, ¶ sì che d'ogni salute mi

dispero. ¶ 35 ¶ S'io credessi che pur delle mille una

parte di quello ardor che mi disface ¶ alquanto il

quel dolze tempo ritornasse ¶ che tenne gia mia vita

di tanto ben privato ¶ che, lieto, sol mi manteneva

sono ad tale stato ¶ che giorno e notte a

troppo iniquo fato! ¶ Miser, che a me già più

sospir, horror, singulti amari ¶ che pascon sempre l'alma

scarsi, ¶ fra'quai, quel che parea più seco e

ronco ¶ produr sì dolci che non può narrarsi. ¶ 38 ¶ Tòrmi

di ferro o veneno, ¶ che nascondermi al bel viso

accesa. ¶ Se quel sol che sol luce agli occhi

ascoso e tolto, ¶ altro che veder tenebre non chieggio

huomo in volto ¶ fin che 'l mio sol tornar

repetendo gridava: — Or vo' che mora — ¶ Davanti poi ad

gonnella, ¶ una vergine bella, ¶ che con parole accorte dal

tempo; ¶ ond'io, pensando che sì dolce tempo ¶ non

cacciata dentro a' boschi, ¶ che si fa preda a

ne' primi accenti ¶ più che vento non scosse già

stagione, ¶ né vegio cosa che mi piaccia in terra

d'accenti ¶ queruli sì che moveranno i boschi ¶ meco

del mio contrario tempo, ¶ che mi fa avere in

né gioiosi accenti, ¶ poi che ne' boschi ho perso

adunque omai ritorna, ¶ acciò che più lascivia non ti

passati danni ¶ col fren che ne conduce al vero

giovenil core. ¶ Da poi che 'l cel col suo

Amor, di tal dilecto ¶ che concesso hai al mio

a tante acerbe pene ¶ che tanto tempo già mi

beltate e raro ¶ splendor che vinci ogni mortal belleza

alle parole sagge accorte ¶ che più che la mie

sagge accorte ¶ che più che la mie vita l

il mie sole, ¶ poi che salute aver non posso

medicina sòle, ¶ non più che per dolceza io vengo

nocte posa. ¶ Infelice alma, che di tanta posa ¶ hor

darmi, o scelerata lingua, ¶ che m'hai col tuo

maladecta quella iniqua lingua ¶ che facto ha lachrimabil la

presente posa, ¶ a ciò che il suo tenor muti

senti' nell'infiammato core ¶ che da poi in qua

priego, invidïosa, audace lingua, ¶ che 'n te ritorni il

il core, ¶ a ciò che in te si muti

alla cima, ¶ da poi che di me stima ¶ non

né spero altro socorso che la morte. ¶ 24 ¶ Vivo sol

la mia debil navicella, ¶ che facto l'ha suo

di Nicolò Ceco ¶ Quel che 'l mal fato a

all'intellecto suo riluce, ¶ ché tutta insieme con lui

d'Argo vide più che in lui si sciolse

Sia maladecto il giorno ¶ che con la tua saecta

credo horamai ¶ se non che morte finisca e' mie

senza intelletto e gusto, ¶ che 'l corso di mia

sì crudele e fero, ¶ che pur non cessi un

è il tuo regno ¶ che tormenti, ira, passïone e

invoco ¶ l'infortunata Troia, ¶ che 'n cener fu conversa

suo sangue aspersa, ¶ sì che si spense ogni suo

lagna ¶ di te ciò che 'l mar bagna. ¶ Perfido

da te sì accecata ¶ che 'l suo candido corpo

del tuo ceco furore, ¶ che Clitemnestra con Egisto spinse

sì pietà 'l vinse ¶ che crudeltate il tinse ¶ contra

te scelerata matrigna. ¶ Ma che narrar bisogna ¶ le tue

protervo, insidïoso, ¶ volubil più che foglia, ¶ pien d'infinita

questo gran mostro: ¶ digli che, s'io potessi, ¶ stratio

potessi, ¶ stratio non è che di lui non facessi

duol tanto m'acoro, ¶ che maraviglia fia s'io

dal giorno in qua che 'l vago lume persi

l vago lume persi, ¶ che mai po' gli ochi

stanchi e mesti apersi, ¶ che cosa grata porgessino al

pene acerbe tante, ¶ poi che del vago aspecto son

vago aspecto son privato, ¶ che 'l viver m'è

fosco, nubilo e villano ¶ che tiene il nostro sol

vivendo mille morti ognora, ¶ che mi recon la vita

vita in tanto tedio, ¶ che morte mi saria felice

altro rimedio ¶ non ho che 'l tuo: vien presto

sforza al seguitarvi Amore, ¶ che bench'io vi cognosca

pregio più singular degna. ¶ Che vita fia la mia

mia, misero lasso!, ¶ poi che vostra biltà meco si

ardore! ¶ Misero a me, che t'ho io fatto

ho io fatto, Amore, ¶ che mi fai guerra sì

Ancidi l'alma, poi che mi tòi quella ¶ qual

tòi quella ¶ qual più che la mie vita amo

tormento è più crudel che 'l mio, ¶ poi ch

mia chiara stella ¶ me che la seguo aver messo

l'erbetta posa ¶ tanto che qualche posa ¶ prenda del

core, ¶ ch'io temo che di fore ¶ non esca

suo camino, ¶ da poi che 'l mio destino ¶ e

legato, ¶ ch'or più che mai in servitù mi

vixuto in tante pene ¶ che di lachrime arei facto

l'ale, ¶ da poi che fermo nel mio pecto

di caligine fosca, e che la stella ¶ per la

di trovar merzé non che salute, ¶ e le forze

l misero cor rugge, ¶ che 'l fin non so

disïato male ¶ possa schifar, che mi fa sì languire

languire. ¶ Io credo, Amor, che con le tue fiere

diffido; ¶ e temo già che dopo tanti affanni, ¶ dopo

a sì grave dolore ¶ che mi disface pel superchio

a tanto iniqua sorte, ¶ che, per giugnere al fin

così voi donna, più che neve bianca, ¶ co' vostri

stanca. ¶ Chi negar pò che di Cupido il foco

e con Amor godete, ¶ che di mia libertà v

ha facto dono. ¶ Omè! che troppo agli occhi miei

leggiadro il vostro aspecto, ¶ che m'ha rinvolto in

stima di mie pene, ¶ che mi distrugon dentro al

lato, ¶ purché quel dì che tanto spesso temo ¶ la

dubiosa mente rassicuri, ¶ a che pensando tutto languo e

sento o più gagliardi ¶ che 'l timor ch'altri

dolceza immensa, ringratiando Amore, ¶ che facto m'ha di

mio signore, ¶ se non che la mia fede e

della mia servitute, ¶ sì che exemplo di fede mi

altro dilecto non ho che 'l vedervi, ¶ ciascun piacer

penso ¶ e temo più che morte il dispiacervi. ¶ L

tante e grave doglie ¶ che per costei dato m

una fusca ombra fascia, ¶ che ciascun animale insieme attrista

per l'alma luce che da·llor si sfascia

tenebre rimango ¶ oscure più che densa nocte e trista

trista, ¶ e pel dolor che l'alma sente, piango

tu fussi sempiterna cura ¶ che 'l mio core infelice

Condocto sono ad tal che, s'io credessi ¶ che

che, s'io credessi ¶ che Morte presto di tanto

socto giogo sì grave, ¶ che troppo crudelmente impera e

tempestata nave, ¶ priegoti almen che mi conduca all'ora

pene fora. ¶ E poi che spento il corpo in

sepulto ¶ un fido amante che, per amar tanto, ¶ ha

n'ha 'l vanto. ¶ 19 ¶ Che vuoi tu fare, Amor

duol punto di spatio? ¶ Che ti giova di me

fe' servo a costei ¶ che stata m'è cagion

trovar pace in colei ¶ che mi fa guerra col

più difesa ¶ e so che morte finirà la guerra

la sua dura impresa. ¶ Che poss'io far, se

da sì lunga offesa, ¶ che vinto ha 'l corpo

vita duce, ¶ splendido più che stella d'orïente, ¶ con

io n'accuso Natura, ¶ che vi creò cagion delle

ch'io credo horamai che non sia in terra

da' mie stanchi passi, ¶ che la cagion non sappi

del mio male. ¶ Io, che cognosco la mia lunga

mi vien sì grande, ¶ che le lachrime spande ¶ per

gusto sì tòsche vivande, ¶ che più difesa alcuna non

contra 'l colpo mortale ¶ che l'infelice core ha

avuto il core, ¶ sì che dentro non fussi entrato

senza arme. ¶ Da poi che 'l cel, diss'io

è pur mio destino, ¶ che poss'io far, se

conforme e vicino? ¶ Forse che quella chiara honesta luce

quella chiara honesta luce, ¶ che più che 'l sol

honesta luce, ¶ che più che 'l sol riluce, ¶ arà

della mia doglia. ¶ Forse che Amor, poi che avuto

Forse che Amor, poi che avuto ha la spoglia

fu morta ¶ dal disir che transporta ¶ qualunque prova l

né spero aver fin che di questo campo ¶ me

e dubito anco, poi che sia partita ¶ l'alma

a questo fatal vampo ¶ che mi fa nella mente

questi sono i fructi ¶ che gusta chi d'amor

ch'io li miri, ¶ che l'ardor cresce più

quant'io veggio più che' miei martyri ¶ si mostran

invito, ¶ né trovo altro che sfoghi il mio dolore

il mio dolore ¶ o che 'l facci minore, ¶ né

tempo pure un passo ¶ che 'l bel viso, omè

vago aspecto, ¶ alle chiome che paion di fine oro

accuso il fallir mio, ¶ ché, perch'altro dilecto il

il cor non trova ¶ che 'l veder que' begli

veder que' begli ochi che l'han morto ¶ né

in guisa d'uom che s'oblia di se

la bella donna, ¶ dille che fin a qui pur

io son corso. ¶ Or che di tanta speme son

lei ha voluto, ¶ di' che, se pur di me

crucïarmi con maggior dolore ¶ che quel furtivo sì dolze

già non potesti fare ¶ che madonna non dessi aperto

m'invoglia, ¶ Amor fa che di lei sol parli

giorno, oïmè lasso! ¶ o che madonna cangi sì bel

m'hanno legato, ¶ o che ragion converta in freddo

stato? ¶ 15 ¶ Come esser può che la mie vita spenta

alla mia ¶ non credo che si trovi doglia alcuna

bestemmio e la fortuna. ¶ Che debb'io fare, adunque

stato ¶ misero infortunato, ¶ poi che 'l mio mal l

è gran maraviglia, ¶ poi che riluce in terra un

terra un altro sole ¶ che gli ochi stanchi miei

è 'l grave sguardo che mie vita adombra, ¶ dal

e più mi struggi che la neve il sole

ochi pari un sole ¶ che mi disface, né trovo

Celeste lume, unica maraviglia ¶ che vinci per biltà le

altro piacer non chieggio che 'l tuo aspecto, ¶ speranza

e più l'offende che la vista il sole

dolze aspecto. ¶ Leggiadro aspecto che m'ancidi il core

più volte Amore ¶ o che più lieve facci la

tormento qualche lena, ¶ o che vostra belleza sia minore

ombra ¶ per lo splendor che da lor si diserra

vo dietro a quel che mi distrugge ¶ e di

quel ch'è cagion che 'l misero cor rugge

viso adorno, ¶ più lucido che 'l sole, ¶ e l

et ardo. ¶ Amor, poi che tu m'hai ¶ servo

a costei, ¶ pregoti almen che lei ¶ senta parte del

parte del foco, ¶ acciò che de' mie' guai ¶ merzé

condocto sono in loco ¶ che giorno e nocte mai

il suo divin costume, ¶ che mia virtù s'asconde

e quel celeste lume ¶ che farebbe al sole ombra

fu il colpo mortale ¶ che de' belli ochi uscìo

nato è il disio ¶ che mi conduce ad morte

vedere altro non cura ¶ che 'l bello aspecto in

da me tolto, ¶ tal che spesso di me sovente

Una petra più lucida che 'l sole ¶ e d

la mia vista accese, ¶ che lo stil manca a

mi strugge, ¶ chi fa che sì lontan dal ver

submersa rugge? ¶ Chi fa che di me stesso tanto

l'ultima sera ¶ anzi che l'età verde sia

una sì chiara luce ¶ che più che 'l sole

chiara luce ¶ che più che 'l sole a mezzo

un nodo strinse ¶ tal che col ferro bisognando sciorre

sua amata nynpha diva, ¶ che 'l ferro dal suo

incolpi più le stelle ¶ che quel celeste, raro, honesto

troppo mia errante voglia ¶ che nel cor mi hanno

fulgor del sacro viso ¶ che nacque per tenermi sempre

voglia. ¶ Io non credo che mai sì intensa voglia

maladico le crudeli stelle ¶ che piovvon tanta gratia in

membra con suo stipa, ¶ che 'l duro corso lor

mutin le stelle ¶ o che s'allenti la mia

mie' guai. ¶ Amor, tu che 'l mio duol nutrichi

stanca, ¶ la qual vedi che manca ¶ sol per superchio

ch'io non credo che morte tanto prema, ¶ quando

posso un punto, non che un'ora, ¶ star ch

acora. ¶ Quelli ochi belli che 'l mio core adora

se di lui più che d'altri sia ¶ la

tutto fòra. ¶ Ma quel che più m'accora ¶ è

più m'accora ¶ è che madonna, che sa mia

accora ¶ è che madonna, che sa mia tormenti, ¶ par

sa mia tormenti, ¶ par che lieta si goda e

più mi prema, ¶ altro che veder lei già mai

ne trema, ¶ e par che l'alma tema ¶ che

che l'alma tema ¶ che 'l dolze sguardo di

l'ardi. ¶ Misero, aimè! Ché tardi ¶ m'acorsi del

sano. ¶ Ben posso dir che quando costei nacque ¶ venisse

per farmi morire, ¶ e che la tela ordire ¶ de

il giorno infortunato dire ¶ che costei tanto alla mia

vero ardore, ¶ cocenti più che tempestoso foco, ¶ e per

pregno di tanti guai, ¶ che sempre poi vissuto sono

l fiero sguardo. ¶ Io che 'l senti', gridai: — Omè

in terra, ¶ come huom che la virtù de' sensi

hora: ¶ altro non è che in vita mi sostenga

al cel, da poi che, come appare, ¶ verde mantiensi

giovenile aspecto ¶ l'ore, che in te forza non

legge, ¶ né tanta gratia che dal cel t'è

senza invidia o defecto ¶ che tu non sia dalla

piene ¶ di varii exempli che chi giugne al sonno

Vincon li molti quei che poco ponno, ¶ dove non

paese ¶ el fure quel che 'l tesor tiene aperto

fo come l'amante ¶ che teme, e la paura

la generosa tua fiereza, ¶ che d'Italia solevi essere

foresta ¶ potente e formidabil, che minaccia ¶ far la tua

nel covil giunta, ¶ il che l'experïentia spesso insegna

sì scema o munta ¶ che, se volessi far quel

se volessi far quel che tu puoi, ¶ tuo spada

dishonore. ¶ Come esser può che non pigli spavento ¶ de

de' pericoli e guai che soprastanno ¶ a tua salute

né cerchi al mal che vien rimedio porre, ¶ quale

con mille allor quel che hor puoi fare ¶ al

ne' perigli più vera ¶ che ricorrere a Dio principalmente

opere tue tucte preclare, ¶ che tua fama faranno duratura

nostri ¶ con quella humanità che a ciascun mostri.