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il corpus scripta


esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Lorenzo Viani, Ritorno alla patria, 1930

concordanze di «dalle»

nautoretestoannoconcordanza
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1930
col tetto rosso, acceso dalle prime saette del sole
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da un detenuto che dalle celle, per le fessure
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traliccio dei fili, fermati dalle spille, fioriva di ricami
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e di rogo, perchè dalle trombe del naso gli
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spaurite. ¶ — Via i panni dalle finestre, il gobbo fa
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una ragazza detta Esmeralda, dalle sembianze di quella che
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e gemè acqua schietta dalle labbra. Uno gli disse
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quella sua faccia ingiuriata dalle crivellature del morbo era
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altare. ¶ Tutti i pomeriggi dalle secche della Pinciana, chiamavano
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una branca di cenciosi dalle mani artigliate i quali
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stesi eran tosto spriccati dalle funi, le galline parate
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tromba delle scale sconnesse, dalle mura sfiatavano giù parole
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con la vela nera. Dalle lame di ponente si
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croce, tu finisci strozzato dalle mie mani medesime: porco
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ascose come sepolte vive. Dalle loro celle esalava la
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bocca; quand’era lessata dalle salive, l’ultimo se
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Le cellette delle suore dalle cui finestrelle ricevevano la
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il Giallone perchè proveniva dalle guardie di finanza. ¶ — Lasciai
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bacino stretto era schiacciato dalle testate dei trocanteri: a
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vero! ¶ Gli antesignani provenivano dalle città. Là il seme
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I vecchi che provenivano dalle antiche società segrete avevano
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le donne erano penzoloni dalle finestre. La gente persa
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Casa che suda gelo dalle pietre; alte muraglie la
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tra due casamenti altissimi dalle cui finestre si affacciavano
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Gli uccelli si levavano dalle ceppe degli ontanelli e
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esaltatore dell’io, turbinato dalle allucinazioni, si dibatteva contro
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le gru si levavano dalle lame e stridevano roche
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baleni; ciclopico libro aperto dalle tempeste secolari, fosco di
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le zampe nei solchi, dalle froge umide fiatavano vapori
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d’un tronco sfarinato dalle bùriche nell’anima morta
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scoscendimento di blocchi rotolati dalle piene, guidava a’ pie
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contro montagne ciclopiche squartate, dalle cui viscere precipitava una
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cose favolose: dei pappagalli dalle penne viola, rosse e
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più il primo pezzo, dalle mani screpolate e terrose
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ghiove della terra angolosa, dalle bocche asciutte, dagli occhi
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Gli scafi dei piroscafi dalle fiancate abbrumate, rosso sangue
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Geenna di fumacee eruttate dalle ciminiere alte come torri
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timore di essere massacrati dalle locomotive. Gli uomini, che
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la poveraglia era protesa dalle murate, le madri sporgevano
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salmastra, gli occhi, liquefatti dalle lacrime, che fissavano il
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rantoli delle acque che dalle covette gemono nei cantacci
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spavento comprende il viandante. ¶ Dalle loro esce il lupo
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faceva schizzare in alto dalle fessure, rispose con un
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percuotono ali d’uccello, dalle ondate pesanti e estese
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di catena che colavano dalle gubìe come lacrime nere
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tutte guardavano in sù. Dalle finestre della casa si
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percalle di vario colore. Dalle porte di un corridoio
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soverchio delle acque colanti dalle nevi disciolte sul giogo
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la nave, assommasse disperato dalle profondità a domandare, con
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e verdi che traboccando dalle ceste colme ruzzolavano sul
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di un baraccone scarnata dalle intemperie, col fasciame schiantato
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piedi che si scorgevano dalle scarpe rotte, facevano, una
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agli assiti, agli orti dalle vegetazioni nere e ferruginose
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ogni lato era costituito dalle parole: “Ragione, Libertà, Uguaglianza
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dei pipistrelli neri vertebrati dalle loro braccia scarnite le
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Signore! ¶ Sul cervello manipolato dalle deduzioni come mani gelide
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Repentinamente l’accattone sciolse dalle bende e dalle pastoie
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sciolse dalle bende e dalle pastoie una corporatura possente
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di una polla stillata dalle barbe dell’albero, il
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in viola. ¶ Aranci silvestri dalle rame cariche mettevano fantastiche
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i lor tronchi arabescati dalle sellovanie e dalle edere
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arabescati dalle sellovanie e dalle edere granite d’acini
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uccelli. ¶ XV. ¶ Isaia proveniva dalle terre della Lucchesia, il
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spaurito suo padre, ridotto dalle fatiche uno scheletro. ¶ — Se
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madri. ¶ — Dunque voglio togliere dalle tribolazioni dei campi, dalla
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dalla lavorazione dei frantoi, dalle fumate dei metati il
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dal mare. Io, su dalle pianacce, ho tante mai
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tori furenti sbuffavano fuoco dalle narici zampando sulle giovenche
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gli aprirono, lo protessero dalle bestie. ¶ I cani l
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Sono stato imprigionato laggiù dalle parole. ¶ — Son le catene
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dai terrori che rombano dalle terribili fenditure della cascata
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misteriose, quelli che liberano dalle preoccupazioni mortali. ¶ XVII. ¶ Il
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cani di padule. Salaros, dalle mandibole armate di denti
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le midolla, l’uccellame dalle grandi ali sciamava sopra
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insenatura appozzata basivano coccodrilli dalle squame embricate e mobili
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ai superstiti, lo divelgevano dalle visceri e lo mangiavano
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risgrondavano sulle acque torbe. Dalle lame spuntò una mandra
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conciato dall’acqua, scarnito dalle penitenze, arso dalla sete
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i conforti che provengono dalle altre generazioni, rompono la
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profumo del latte materno dalle labbra con l’acido
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che erano state musate dalle belve, strisciate dalle serpi
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musate dalle belve, strisciate dalle serpi a cui aveva
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Le imbarcazioni incocciate, sollevate dalle gru, venivano agganciate fuori
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morte. Un boato uscì dalle interiora della nave: segnale
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stavano bevendosi le cervella. Dalle mani nodose e potenti
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La tradotta si scassò dalle pareti affumicate di sotto
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fatto di trasti divelti dalle rotaie recintava l’orto
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squallide del casone, proiettate dalle parole deliranti degli antesignani
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I frumenti rigogliosi intristiti dalle malerbe piegavano il capo
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le maledizioni e gemevano dalle labbra cadenti bava come
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fresca e salmastra entrava dalle finestre spalancate, un odore
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trepidazione medesima di quando dalle spaventose fenditure di Itacà
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muri delle case schiantati dalle granate mostravano l’ossame
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In una selva scentata dalle schegge, colle ceppaie vegetate
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luna sorta con stupore dalle quote le spingeva già
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nelle scarpe che sfrullate dalle ruote s’eran piantate
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stagno di Pietra Rossa. Dalle feritoie vedo un paesaggio
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orecchi. ¶ Il soldato che dalle feritoie delle trincee aperte
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pietre, le calotte schiacciate dalle scheggie roventi schizzavano le
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calce viva. Quelli sventrati dalle lame diacce avevano aggrovigliati
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delle mandibole, solidamente, trapelavano dalle labbra carnose e bollenti
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pareva invulnerabile. I soldati dalle altre quote, mischiati ai
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la buccia della mulattiera dalle gambe sfasciate seminava dietro
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espiavano i prigionieri, smattugiti dalle cannonate. ¶ Noi confitti al
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capo abbozzito, incimurriti sparavano dalle canne del naso torcia
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boccone. ¶ Acqua schietta gemeva dalle bocche degli scannati. ¶ I
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la pioggia dirotta travasata dalle fenditure delle doline si
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vincastri, pesticciati, schiantati, sbarbati dalle granate, gemmarono stenti. Il
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cirri bianchi che salivano dalle pianure di Bestrigna sembravano
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neri spollinavano la notte dalle ali che al tepore
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foderava il panciotto. ¶ Occultati dalle pampine, migliaia di soldati
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se non potrò salvarmi dalle scheggie, di noi Malfatti
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per un soldo andava dalle selve al ponte della
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gli occhi metà coperti dalle palpebre rilassate e la
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nella cappa del camino: dalle ginocchia in giù era
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quelle col cervello manipolato dalle deduzioni, mantrugiato dalla logica
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sassaia. Le granate ingorgate dalle quote le macinavano in
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l’otre tirente, scarnati dalle scheggie, dimembrati, coi crani