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il corpus scripta


esplorazioni verbali


invenzioni verbali


Paolo Cognetti, Il ragazzo selvatico, 2013

concordanze di «del»

nautoretestoannoconcordanza
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scogli ¶ per i mari del vento – ¶ e cantavo fra
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Pozzi, Nevai ¶ Inverno ¶ Stagione del sonno ¶ In città ¶ Qualche
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persone che, per rifiuto del mondo, avevano cercato esperienze
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pratica di rassegnazione prima del necessario. Volevo vivere profondamente
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colori bruni e ocra del disgelo; i versanti in
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tutto. Adesso il senso del ritorno non era la
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venti, e poi godere del pallido sole di marzo
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Savoia, quando l’officina del meccanico era ancora la
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Le nevicate d’aprile del 1986 gli diedero il colpo
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poi. Con la fine del Novecento arrivò anche quella
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Novecento arrivò anche quella del vecchio albergo: venduto, demolito
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Benché protette dall’ombra del bosco ogni giorno si
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cuore batteva più veloce del normale e mi sembrava
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Questo è il motore del vecchio frigorifero che parte
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fuori, verso le tre del mattino, che cosa sono
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neve prese il posto del prato. L’acqua sgorgava
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si doveva l’esistenza del villaggio, non si era
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ero il signore assoluto del feudo, potevo chiamarmi re
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il giudice, lo scemo del villaggio: avevo così tanti
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rondine a marzo, neve del cuculo ad aprile, e
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di capriolo in attesa del parto.” ¶ Verso le sette
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diventò abbagliante, per via del sole spuntato dalle nuvole
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dalle nuvole poco prima del tramonto. Infilai giacca a
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mia presenza, il fumo del camino, la roncola e
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ma in una posizione del tutto innaturale, e non
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selvatici e gli alberi del bosco, e infine gli
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larice caduto. Della neve del giorno prima non restava
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cui dividere il piacere del fuoco. ¶ Orto ¶ Dopo la
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aveva preso, le vene del legno in rilievo come
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posto echeggiarono le note del Suonatore Jones di De
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E perfino la libertà del prato. Mi sentivo un
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dalla neve. Alla fine del bosco trovai un ponticello
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attente a ogni scricchiolio del legno, ogni fruscio che
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sopra il mormorio continuo del fiume. Sentire la vita
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alzata la luna, e del mio fuoco non restava
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bocca il sapore aspro del vino, e sotto la
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soli la maggior parte del tempo. La compagnia, anche
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quali, per la debolezza del corpo, la sua immaginazione
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infanzia, o alle origini del proprio mestiere. ¶ Così ora
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giugno regnava il giallo del tarassaco, e se mi
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che spostava i confini del pascolo, avanzando i paletti
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all’opera. ¶ Dalle grida del pastore scoprii che si
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insieme superarono il confine del pascolo, gettandosi nell’erba
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quel caldo opprimente, umido del loro fiato e sudore
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della mano. Il secchio del latte poi lo lasciava
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goccio per il caffè del mattino. A quel punto
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le padelle alla luce del tramonto, e usando acqua
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era toccato al parabrezza del trattore, che così era
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nell’erba, il gorgoglio del torrente, i sospiri delle
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ero abituato al calore del falò. Nel salutarmi Gabriele
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prima. Ormai valeva meno del lavoro che costava, ma
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polvere, procurandomi i calli del manovale e il collo
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e il collo bruciato del contadino, la pelle irritata
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Solo che i crochi del disgelo erano bianchi come
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casa. Con la sofferenza del corpo, anche, perché appena
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e ramponi sui seracchi del Monte Rosa, ci calavamo
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solo il bianco indistinto del ghiaccio e della nebbia
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campi, lui alla guida del trattore e io seduto
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piccone, issando i travi del tetto con uno scivolo
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suoni. E gli abitanti del bosco si proteggevano dileguandosi
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solo pietraie, i laghetti del disgelo e le ultime
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Respiravo l’aria intatta del mattino, appena prima che
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cengia nella posa solenne del capo, quattro giovani stambecchi
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me e il resto del branco. Mi fissava facendo
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vedere distintamente le strade del fondovalle, dove il sole
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accanto a un silo del cemento in cortile, così
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chiesi che ne fosse del grande ciliegio selvatico che
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di nuovo lo sguardo del vecchio stambecco e adesso
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incastrate in una crepa del terreno, e anche in
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rabbiose, increspando la superficie del lago e spingendo le
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me incombeva il profilo del monte che avrei dovuto
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Ferro, il quarto racconto del libro, Levi ricorda la
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il collo, finché fui del tutto sveglio. La mattina
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me e la cima del monte mille metri più
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cenge, e alla luce del sole tracciava venature scintillanti
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di sbagliare, e padroni del proprio destino.” ¶ Rifugio ¶ Per
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agitati. Era l’odore del fuoco a ricordarmi dov
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profumo diverso da quello del larice che usavo a
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disuso. Estinta la civiltà del mulo il colle era
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bandiera fu la clessidra del mio tempo lassù. Quando
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non restava che metà del bianco, un moncone di
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rappresentava bene lo spirito del colle, il nostro vivere
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sempre dalla stessa parte del tavolo, accanto alla finestra
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colle, toccava il muro del rifugio, girava i tacchi
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di bellezza. Le forme del ritorno erano altrettanto incantevoli
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per migliorare l’efficienza del rifugio. Se si ritrovava
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la dispensa avevo recuperato del riso, legumi secchi, farina
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tintinnio era la musica del colle insieme ai fischi
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scomparire dietro una curva del sentiero, provando un senso
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nuvole. Tra le cose del rifugio avevo trovato una
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dopo giorni al chiuso del rifugio avevo una gran
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forse anche le trote del lago avevano visto pochi
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ma di carattere, cioè del modo di sentire noi
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Quali fossero i pericoli del fondovalle non c’era
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la fine della stagione del rifugio e l’inizio
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sci, in qualche spiaggia del sud con il sole
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poi chiudemmo la porta del rifugio e prendemmo il
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alto verso il filo del crinale e mi sembrava
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a scusarsi a nome del suo vitello. Era molto
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mesi. Contemplavo le tavole del tetto, i profili dei
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gufi disegnati dai nodi del legno; mi ricordavano la
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finalmente entrata nella stagione del raccolto. Allora mi sedetti
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degli alberi, il gioco del sole tra i rami
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betulle, tutta la varietà del bosco intorno a casa
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fanno pensare alle foreste del nord, ai laghi e
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dalle valanghe. La povertà del terreno ne fa un
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casa e il fuoco del mio camino. Una fila
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rami garantisce la solidità del tronco: di larice sono
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valle risalgono all’inizio del ’700. Io osservandole penso a
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sorprendersi per la forza del vento e poi lo
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quanto, dentro al rottame del gatto delle nevi che
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dell’uomo, ma anche del suo bisogno di dare
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alle rocce al calare del sole, a guardarsi negli
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soltanto un altro albero del bosco. Di soprassalto mi
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ascoltare. Però non parlava del sonno che sentivo avvolgere
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delle stufe, e quello del letame che i pastori
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era disaffezionato, ma non del tutto. Io credo che
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Finita quella, prese possesso del cantuccio in ombra sotto
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e molta più fatica del normale. A Gabriele non
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io pregavo il dio del bosco che i colpi
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più sentito il bramito del cervo né gli spari
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è finita la bombola del gas. La fiammella azzurra
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a parte il crepitio del fuoco e il topo
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a controllare l’opera del gelo: spezzavo la lunga
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caffè, ricostruivo i percorsi del topo che mi teneva
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mensola della pasta e del riso, scavato tra le
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scavato tra le assi del pavimento per estrarne briciole
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la baita dalle tracce del suo passaggio. Avrei dovuto
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a comprare i cartoni del supermercato. La verità era
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mia porta al calare del buio. “In casa avevo
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inselvatichito sparsi la cenere del camino. Non sarà stata
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avere poche ore prima del buio. Poi fu come