Giovan Battista Marino, La sampogna, 1620

i quali (così soglio dir sempre) se potesser vedere

ma voglio più tosto dir ciò ch'io sento

i buoni non sanno dir se non bene, sì

i malvagi non possono dir se non male. ¶ Poco

poco che si può dir quasi nulla, né so

tutte le palle (come dir si suole) riescono ritonde

le fronde e parea dir ciascuno: ¶ ecco, io t

un, non so se dir deggia ¶ boschetto o paradiso

dolce voce, ¶ chi potrà dir che non avesser occhi

testa, ¶ pur come lor dir voglia: ¶ "Son io, chi

altra stella –. ¶ A questo dir la sconsolata tace, ¶ né

di diletto –. ¶ Più oltre dir non volse, ¶ e del

smisurati cedri, ¶ non saprei dir per quale ¶ virtute occulta

a sì gran torto, dir si possa degna? ¶ Quando

beato. ¶ Io non so dir qual fato il re

del già commesso pegno; ¶ dir con quai strida, e

tanto merito, ¶ potrai ben dir di reggere ¶ di tutto

poi disgrazia, ¶ per non dir forse invidia. ¶ O troppo

la donzella, ¶ non voglio dir gelosa, ¶ che di ciò

vergine a quel dire ¶ dir non so che volea

che tanto non sapea ¶ dir d'amar, quanto amava

rivolse, ¶ o Tisbe, indi dir volse. ¶ Ma 'l bel

scusi ¶ che 'l mio dir non intendi. ¶ S'amor

Fileno ¶ Lasso, e che dir più deggio? ¶ Dirò (né

Io dissi, o pur dir volsi, ¶ ch'intenderti non

cruda ¶ ascoltassi il mio dir, con argomenti ¶ efficaci e

tutto ardisco. ¶ Non mi dir, ch'io non t

farne onta e vergogna. ¶ Dir del lavor, che non

Fuggi (mi prese a dir) deh fuggi, o figlio

può del magnanimo Destriero ¶ dir gli stimoli ardenti, e

Febo spesso al suo dir fermo si volse ¶ e

far segno: ¶ – Perfida (sembra dir, tutto turbato) ¶ perfida, hor