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invenzioni verbali


Dante Alighieri, Divina Commedia, 1321

concordanze di «fé»

nautoretestoannoconcordanza
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magrezza, ¶ e molte genti già viver grame, ¶ questa
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mise e così mi intrare ¶ nel primo cerchio
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Rachele, per cui tanto , ¶ e altri molti, e
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sì rotta, ¶ che libito licito in sua legge
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colpa». E più non parola. ¶ Io li rispuosi
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alto, là dove Michele ¶ la vendetta del superbo
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sconoscente vita che i sozzi, ¶ ad ogne conoscenza
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al maestro; e quei segno ¶ ch'i' stessi
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strada lorda, ¶ e non motto a noi, ma
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motto a noi, ma sembiante ¶ d'omo cui
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la bella Deianira, ¶ e di sé la vendetta
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e Dïonisio fero ¶ che Cicilia aver dolorosi anni
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porte; ¶ ma vergogna mi le sue minacce, ¶ che
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come a porco, ¶ li sentir come l'una
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donno in mano, ¶ e sì lor, che ciascun
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suoi dolente, ¶ quattro ne volar da l'altra
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la prima paura mi doppia. ¶ Io pensava così
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ritenne ¶ di quel soverchio, naso a la faccia
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agguato del caval che la porta ¶ onde uscì
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canto. ¶ Tre volte il girar con tutte l
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vanni. ¶ La terra che già la lunga prova
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che de l'anella sì alte spoglie, ¶ come
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sé ribelli; ¶ Achitofèl non più d'Absalone ¶ e
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rispuose l'un, «mi mettere al foco; ¶ ma
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tanto il dolor le la mente torta. ¶ Ma
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sì fatti animali, assai bene ¶ per tòrre tali
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mi si tolse e restarmi, ¶ «Ecco Dite», dicendo
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e questi, che ne scala col pelo, ¶ fitto
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per paura di lui del mar velo, ¶ e
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con cenni ¶ reverenti mi le gambe e 'l
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quel da Esti il far, che m'avea
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la croce ¶ ch'i' fe' di me quando 'l
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la Pia; ¶ Siena mi , disfecemi Maremma: ¶ salsi colui
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quel da Pisa ¶ che parer lo buon Marzucco
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che per non aver ». ¶ Così rispuose allora il
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io varcai Virgilio, e fe'mi presso, ¶ acciò che
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poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra
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mal per te si . ¶ O Roboàm, già non
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Almeon a sua madre caro ¶ parer lo sventurato
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l crudo scempio ¶ che Tamiri, quando disse a
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non ti temo!", ¶ come 'l merlo per poca
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e, per ammenda, ¶ vittima di Curradino; e poi
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con tanta guerra ¶ mi desideroso di sapere, ¶ se
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la tua affezion mi palese, ¶ mia benvoglienza inverso
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quarto cerchio ¶ cerchiar mi più che 'l quarto
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quant' oro fu bello, ¶ savorose con fame le
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mover la piuma, ¶ che sentir d'ambrosïa l
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che per sua matera constare. ¶ Anima fatta la
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più savio di te già errante, ¶ sì che
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che per sua dottrina disgiunto ¶ da l'anima
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che di volger mi caler non meno; ¶ e
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esso a sé piace, ¶ l'uom buono e
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onde buon zelo ¶ mi riprender l'ardimento d
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foco acceso, ¶ ci si l'aere sotto i
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natura ¶ a li animali ch'ell' ha più
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qua dal rio mi paura. ¶ Poi vidi quattro
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amor, più mi si nemica. ¶ Tanta riconoscenza il
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seguitavam la rota ¶ che l'orbita sua con
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mi fei, ¶ qual si Glauco nel gustar de
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l'erba ¶ che 'l consorto in mar de
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che per parlar distinto. ¶ sì Beatrice qual fé
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Fé sì Beatrice qual Danïello, ¶ Nabuccodonosor levando d
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periglio, contra grato ¶ si di quel che far
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non perder pietà si spietato. ¶ A questo punto
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suo bel volto, ¶ e pianger di sé i
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più lucente se ne 'l pianeta. ¶ E se
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E sai ch'el dal mal de le
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Sai quel ch'el portato da li egregi
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tolle. ¶ E quel che da Varo infino a
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è pieno. ¶ Quel che poi ch'elli uscì
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tuba. ¶ Di quel che col baiulo seguente, ¶ Bruto
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d'esservi entro mi assai fede ¶ la donna
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ond' io fui, ¶ che del sangue suo già
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s'imprenta, com' io fe' di lui; ¶ ché più
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gira ¶ con tant' ordine , ch'esser non puote
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a tutto 'l mondo paura; ¶ né valse esser
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Ma l'orbita che la parte somma ¶ di
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non sapëan dove; ¶ sì Sabellio e Arrio e
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ne la mia mente sùbito caso ¶ questo ch
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li occhi miei si più bella, ¶ così con
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poï il suocero il lor parente. ¶ Già era
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io trovai lì, si prima corusca, ¶ quale a
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ancor nel segno ¶ che i Romani al mondo
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sotto buona intenzion che mal frutto, ¶ per cedere
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ci si ritenne, ¶ si sì chiaro, ch'io
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servigio di Dio mi fe' sì fermo, ¶ che pur
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l'ardente Spirto vi almi; ¶ e credo in
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quante Iesù ai tre più carezza». ¶ «Leva la
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se natura o arte pasture ¶ da pigliare occhi
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che ' miei di rimirar più ardenti. ¶ CANTO XXXII
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ch'ogne vista sen più serena. ¶ «O santo
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a la 'mpresa ¶ che Nettuno ammirar l'ombra