Angelo Galli, Canzoniere, 1459

De potentia Amoris ¶ 2 ¶ Scendono i fulgor giù de mano

le nostre prove ¶ lasciano i liti et l'abitata

despietato gelo ¶ cum tucti i mali che ce cela

escon le rose ¶ e i fior, scigur dal ghiaccio

terra queste rose ¶ e i capei d'oro in

volgian doi stelle sotto i cegli negri ¶ sì dolcemente

Livio et de Marone i versi ¶ serebber scarse a

al mondo, ¶ donna, sonno i costum degli occhi tui

ch'aria pur tocco i labra de coralli. ¶ Per

ché, quando parla, tucti i sensi mei ¶ danno tributo

lingua che 'l dica. ¶ I gabbati occhi alora in

in secreto ¶ la rete, i lacci, le lusenghe et

posson ciò che vogliono i begli occhi. ¶ Qual ne

vezosi ¶ da far piatosi i draghi ¶ a le parole

visti el dì volare, ¶ i corvi far lamenti in

vendecta chiame ¶ a tucti i cel, ma loro hanno

come pria. ¶ Lassa agitare i toi capegli al vento

ove bear se ponno i basi mei. ¶ Candida biacca

treza d'oro; ¶ e i labra, che me fòro

si sta dentro, sopra i panni. ¶ Qual forza, quali

mio tesoro, ¶ me giungono i begli occhi ¶ et per

d'oro, ¶ là donde i primi stocchi ¶ trasse a

fiocca ¶ voi reterite tucti i vostri odori ¶ et anche

gli occhi, perché sete i lor splendori, ¶ beat'è

piova amor da tucti i celi. ¶ Per dicta cagione

non renforzi a coppia i sospir mei. ¶ Et quando

aspro doma et speza i monti et l'arme

dea terestra ¶ c'ha i labra pien de senno

in te cum tucti i confin soi, ¶ non fuor

dove fanno dolce ombra i panni tuoi. ¶ Tu sai

giù la festa e i balli ¶ et stommi in

chi vole, ¶ però che i dicti de madonna stonno

do' stesse altro non i seria honore, ¶ ché lì

alegreza, ¶ nome che metterebbe i toni in bando, ¶ nome

el tuo tarcascio, lì i guadrelli ¶ et tende l

fe' Narciso per errore: ¶ i doi bei lumi Dio

Son conversi in natura i mal costumi, ¶ ch'ora

faria scì proximano ¶ che i labra toccarian la guanza

pur almeno ¶ supliran, credo, i duri mei pensieri». ¶ Vita

sacra testa, ¶ anze legave i bei raggi d'Apollo

sue parole ¶ hanno fellicitati i giorni mei. ¶ O mondo

ben far stanco ¶ che i vostri fiori ognor non

illustrissimo Signiore. ¶ 64 ¶ Amor, ché i tener fianchi scì me

entro ni balli, ascolto i canti e i soni

ascolto i canti e i soni? ¶ El stringer dolce

El stringer dolce e i fortivi sermoni ¶ recevo alor

veggio, ¶ retorno a contemplare i sacri doni. ¶ O belle

perdecter già la vista i fila d'oro! ¶ Per

preco, ¶ traria per mezo i fianchi la mia vita

a ciò che piangiamo i nostri guai? ¶ Quanta doglia

stesso el veto, ¶ socto i suoi piedi star sempre

sole. ¶ Da lunge fanno i begli occhi oriente ¶ et

sia lontana. ¶ 74 ¶ Me fosse i ferra tuoi, finestra mia

mio, ch'ella me i porga et poi m

che fan del sole i suoi raggi men belli

nel tuo bel viso i fior bianchi et vermelli

l'ardito che socto i bei celli ¶ mirando fixo

observarte lialtade, ¶ starme socto i tuoi panni in ogne

duro core ¶ che basce i labra che tu m

la mia morte mandi i messi? ¶ Et tu, madonna

in braccio da tucti i beati, ¶ che de la

tanto desiata ¶ t'hanno i languidi et tristi spirti

chiaro giorno. ¶ Sian benedecti i doni et la finestra

che non fusser più i basi et li sospiri

me tra' del pecto i duri omei, ¶ mi faccia

Malatesta. ¶ 104 ¶ Non son questi i begli occhi ov'io

chiusi? ¶ Non son questi i begli occhi c'han

han confusi ¶ al sole i raggi, che non ha

parecchio? ¶ Non son questi i begli occhi, el lume

delusi? ¶ Non son questi i begli occhi ove io

aparecchio? ¶ Non son questi i begli occhi ove lo

nato? ¶ Non son questi i begli occhi ov'io

senza arte la natura i pose. ¶ S'el ve

perché t'han visto i suoi lumi sereni. ¶ Ancora

piena par de tucti i beni, ¶ ché forse hai

mille miglia ¶ et lassati i mei giorni tristi et

la più piacente; ¶ leva i piedi al danzar, l

sol fiammeggiar più che i doi begli occhi ¶ et

la pioggia che versano i miei lumi; ¶ non l

ogni altro loco no i paresse un tosco. ¶ Del

lungo martire ¶ et vederai i miei ultimi sospire, ¶ profondi

et caldi più che i primi assai. ¶ Et così

assai. ¶ Et così, vedo, i toi mantenuto hai, ¶ come

morte non me chiuda i cegli. ¶ Perché pensando ne

par che stien fermi i giorni et l'hore

tal che s'aquetariano i disir mei, ¶ ma tu

imbruna ¶ son le catene, i lacci, l'esca et

me febrizano adosso tucti i polsi; ¶ né so come

via, rendime la luce. ¶ I miei giuditii veri non

non son fole, ¶ senza i begli occhi già non

quando a la memoria i bei costumi ¶ reduco, cresco

che come stipa accenderebbe i fiumi. ¶ Pensa quale io

viso, ¶ che sopra tucti i celi alora scando, ¶ et

scando, ¶ et godo tucti i ben del paradiso ¶ et

del paradiso ¶ et tucti i mal sofferti mecto in

che revestito v'hanno i fiori et l'erbe

furon de l'inverno i grandi oltraggi, ¶ ma hora

casi amari ¶ socorre solamente i naviganti, ¶ ma tu dai

transiti amanti: ¶ ché, vedendo i mei giorni breve et

un sol nato tucti i doni, ¶ ma li più

bianchi, ¶ inde per mezo i fianchi ¶ Amor m'ha

el car monile ¶ profila i cigli suoi de color

sciugarme el pianto che i mie' occhi versa. ¶ Mano

chiaro, ¶ c'harebbe forza i dolcissimi acenti ¶ quetare el

quetare el mare e i venti; ¶ unde, quanto più

più longhi homai che i dì de maggio? ¶ Non

gente come a riva i burchi, ¶ et lei tucti

et rocto l'ale, i strali et l'arco

mondo orbo infelice, ¶ quanto i begli occhi de pietade

le rose, le viole, i fiori e i gigli

viole, i fiori e i gigli. ¶ Io tal mi

dolceza de suoi dicti ¶ i venti stiano et torne

stiano et torne adietro i fiumi. ¶ Mandato da l

facto gli anni e i giorni miei scì corti

angosciosa ¶ (celar nol poss'i' già) la vita mia

fier dolci et lieti i passati anni, ¶ hor son

a lei non tocca i panni; ¶ l'altra, più

per sé torse tucti i casi rei, ¶ e 'l

terra l'erba e i fiori ¶ et se 'l

bianco ¶ per natural cordoglio i suoi bei fiori, ¶ et

per tempo io coglierò i bei fiori. ¶ Verde sempre

mutar verso et darme i fructi et fiori. ¶ Per

me più rapta che i volanti ucelli: ¶ amor, senno

gli stessi io sempre i mesi et gli anni

dei. ¶ Ridon talvolta perché i dolci homei ¶ crede mancati

lei. ¶ Talvolta io veggio i begli occhi ridenti ¶ volgerse

giù le lacrime e i sospiri! ¶ Tanta dolceza mai

uscir mai de tucti i fochi, ¶ et quanti angioli

la luce divina, ¶ onde i falsi concepti et pensier

vero non fia, ¶ che i pensier manda dove non

el sole, ¶ torno sfogando i miei ad ogni passo

mostrò tal stupor socto i bei ciglia. ¶ Questo è

cum l'atender corto ¶ i suoi begli occhi, quando

avara. ¶ Voria ch'ella i chiudesse a tucto 'l

ch'ogne voglia terrena i mecte in bando. ¶ Et

far fugir ad altri i pensier rei; ¶ et gli

col bascio, pria che i labra despiccasse, ¶ Vil voglia

vostro amico ¶ che dentro i vederia senza alcun velo

del mondo et forsa i secreti del celo; ¶ sì

un sguardo faccia suscitare i morti, ¶ abacta savii et

col suo sguardo honesto i ciba et satia; ¶ ma

dolce, vaghe, amorose ¶ pregano i basci altrui che lor

la bella donna, se i toccasse. ¶ Et s'io

se 'l vel no i coprisse, ¶ el capel d

et lioni et mansueti i draghi. ¶ Costei che rende

del mondo lì tucti i bei volti. ¶ L'altre

più grave sorte, ¶ chiuse i begli occhi repentina morte

paradiso ¶ et a tucti i beati, credo, vai ¶ monstrando

noi de pianto sfoghiamo i lumi, ¶ ché l'infelice

tale in celo, ¶ Apollo, i raggi tuoi perdon la

qui vistivan la neve i panni negri, ¶ qui me

sopragionto giorno. ¶ Già portò i negri panni ¶ madonna per

altri gli porti, ¶ ché i giorni miei son scorti

doglia! ¶ 230 ¶ Io voria che i pensier che porto scripto

lei ¶ per adornarne tucti i regni soi, ¶ che fo

Et lui, che vede i giorni mei scì corti

io, come se fa i miser fugendo, ¶ volando al

departille? ¶ Facti ben sonno i dì funesti et sevi

te usai ¶ mentre ch'i' vissi in testo mondo

io, è gito fra i contenti. ¶ Ma tu, morte

contenti, ¶ che lasci sempre i rei e i buon

sempre i rei e i buon ti tolle? ¶ L

corre et non discerni i mali. ¶ Tu porti per

fo del Gabriello, ¶ ascolta i preghi d'esto ingrato

commesso vera perdonanza. ¶ Matre, i spirti ho tanto al

per quel muno ¶ che i re fier ciascheduno, ¶ te

che mia folia; ¶ e i preghi de Maria ¶ non

losenghero, ¶ la carne blanda, i sensi al cascar pronti

ragion ciascun sentero. ¶ S'i preghi to col'exaudir

Dio gli vedi tucti, i miei affecti; ¶ non men

gloriosi, ¶ beati festi ancor i tre Giohanni: ¶ beati festi

tre Giohanni: ¶ beati festi i tuoi dilecti sposi ¶ Antonio

sposi ¶ Antonio et Luca, i doi gran paduani, ¶ quanto

costei la corona e i ben mundani. ¶ Teneti, avari

ben mundani. ¶ Teneti, avari, i thesor vostri strecti, ¶ per

cusì a nostra posta, i sensi sono ¶ cum la

In terra fuoro altissimi i tuoi carmi, ¶ hora ogni

L'antica legge ha i dieci suo' precepti ¶ et

l'affecto: ¶ che sonno i doi che disse el

ascoltar la lunga pena, ¶ i suoi dispregi e 'l

unde sperar si debba i fructi ancora, ¶ pur che

et infelice. ¶ Erano frequentati i gran mestieri ¶ de la

del propheta a mente i stava. ¶ La matre alora

cum l'amato ¶ tucti i labori son da lui

despregio del mondo ¶ e i vostri honori ben vetuperava

el buon Yesù cum i suoi remoti ¶ dagli altri

cui fuor sempre sancti i primi moti, ¶ ne venne

et vederai portarla fra i contenti, ¶ la tua madonna

fanno a gran signori i reverenti, ¶ et dissi: «O

felice, ¶ ma gente lacrimosa i stava atorno ¶ in veste

sforza; ¶ et però satisfare i disii tui ¶ qui mi

ascoltar le vene e i polsi ¶ teneva io, quando

erit tibi gloria» ¶ ciascuna i disse cum tanta dolceza

matotina, ¶ che par che i piova amor da tucti

piova amor da tucti i celi. ¶ Colei è Chiara

tua vicina; ¶ mira co' i piace che la mia

vera citadina. ¶ Ode che i dice cum sì dolce

nel mondo austero ¶ che i tenesse sì sancta ogne

mente et l'intelecto, ¶ i modi, la manera e

modi, la manera e i bei costumi ¶ sonno del

pena tanta, ¶ l'angustie, i duoli», io dico seguitando

io dico seguitando, ¶ «e i duri omei chiamando, ¶ e

più beata, ¶ de tucti i ben dotata, ¶ esser dovresti

de cento miglia ¶ dove i begli occhi tuoi mirar

già la francheza ¶ e i magni gesti antiqui tornati

fragile et caduco, ¶ che i mortal cechi giù chiaman

a tempo et sopra i cel reluco; ¶ et, mentre

te rendo ¶ da tucti i colpi de fortuna ria

Prima che se vestisse i panni negri, ¶ che già

ascosa. ¶ La voglia ingorda, i sensi et pensier egri

Penneo; ¶ et altretante volte i braccia mei ¶ al pecto

pio, ¶ a cui tucti i secreti sonno porte, ¶ vedendo

disconsolata! ¶ Né tacere anche i casti affecti tui ¶ e

feci te, che socto i ciglie ¶ pusi doi vere

che non voresti ¶ che i secreti de Dio te

la morte ha chiusi i doi bei ciglia? ¶ Ah

mal si convene ¶ havere i sensi troppo al pianger

fia magior secordia che i defoncti ¶ pianger così, et

onde escon tucti aurati i miei quadrelli, ¶ el viso

l suo alto intellecto, ¶ i bei custumi, i saggi

intellecto, ¶ i bei custumi, i saggi blandimenti, ¶ non el

sollo. ¶ Altri versi che i mei ne serian macri

lei omne fateza ¶ e i panni lunghi cum la

giù dal celo tucti i beni, ¶ tal che lui

gli è rimasa ¶ che i re de questa casa

ché talor piglia tucti i membra tuoi, ¶ l'andare

membra tuoi, ¶ l'andare, i veli et fasse proprio

vale; ¶ el naso profilato, i ciglia equale. ¶ Et per

inganni, ¶ te fece socto i panni. ¶ Nulla parte de

ancudene et martello. ¶ Racoglie i servi antiqui tuoi perfecti

terzo Amor me sprona i fianchi ¶ a darte cosa

scì me giovan narrando i dolci acenti ¶ ch'io

lieta fome, ¶ ché veggio i spirti tuoi tanto contenti

e 'l lauro secco i tronchi rinovelle ¶ per adornar

già 'l tristo otio, i torpenti age, ¶ fugendo el

lei verage. ¶ Le rete, i cani, i ben volanti

Le rete, i cani, i ben volanti ucelli, ¶ l

acque profonde, le campagne, i boschi, ¶ gli amici cari

provato et prova, ¶ che i vecchi son scacciati per

languidi et tristi e i pensieri egri, ¶ fugir le

egri, ¶ fugir le feste, i giuochi, i balli, i

le feste, i giuochi, i balli, i canti, ¶ de

i giuochi, i balli, i canti, ¶ de queste donne

escon de fuora socto i manti negri. ¶ Meser Antonio

al taglio ¶ et poco i punge homai tuo lontan

formarla vi fuoron tucti i dei, ¶ nascendo una angiolecta

soffrir di possenti occhi i colpi rei, ¶ quando solo

racto al sei, ¶ quanto i son breve a la

a le bocte e i colpi rei, ¶ a quel

sua gente ripercossa. ¶ Come i begli occhi vaghi a

alor pòi dire: «Ecco i nimici mei», ¶ sforzandote de

El tempo, l'ore, i giorni freddi o estivi

de gratia pien son i bei rivi, ¶ el disio

fia la lingua e i sensi ¶ come fra perle

lei et tuo honore. ¶ I miei sospiri in pace

tiensi, ¶ meglio assai cantaria i tuoi immensi ¶ disiri, la

su gli ripensi, ¶ e i fior del suo bel

ma voi asieme ognora i pensier vostri ¶ dite et

forma, ¶ se non seranno i suoi più che ombra

esser da men che i bruti sozi, ¶ nati a

per pentimento a terra i cigli ¶ et «Miserer» gli

restoro dia de piglio. ¶ I suo' fedel seguaci a

occhi, mano et bocca i piedi agrappa, ¶ perché tua

amore è ben, ché i guai ¶ son dolci et

amorosa. ¶ 331 ¶ Io aspecto che i fiumi et le larghe

ché de qua remariano i doi begli occhi ¶ senza

l core et senza i proprii occhi ¶ andarà el

lungo sogiorno ¶ farò dove i miei spirti a morte

a morte vanno? ¶ Senza i begli occhi che nel

che vincono de lustro i solar rai; ¶ dai fior

terreno. ¶ Quella parte che i' lasso del mio core

poi bando a tucti i guai ¶ et per altre

lei ¶ sortimo teco tucti i casi rei; ¶ né lamentar

mio pensier che vede i pensier tui, ¶ el cor

degli occhi mei? ¶ Credo i sian pur colà dove

disio, ¶ ma men sonno i conforti che i miei

sonno i conforti che i miei guai, ¶ fin ch

son breve et lunghi i pianti, ¶ ché senza gli

parte de la prefata. ¶ 343 ¶ I lieti acolti, i dolcissimi

prefata. ¶ 343 ¶ I lieti acolti, i dolcissimi homei, ¶ gli acenni

gli acenni, le lusinghe, i blandimenti ¶ d'amor, che

rei, ¶ né son minori i tuoi che siano i

i tuoi che siano i mei; ¶ ma essendo noi

ché te tornano adietro i giorni et l'hore

forti dal suo arco: ¶ «I fingon — dissi — o son