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Giovanni Crisostomo Trombelli, Le favole di Fedro liberto d'Augusto [traduzione da Fedro], 1735

concordanze di «io»

nautoretestoannoconcordanza
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Agnel tremante: intorbidar poss’io ¶ L’onda, che dal
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acerbi motti ¶ M’oltraggiasti: io non era allora nato
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se fuggir’ l’altre, io pur fuggito. ¶ FAVOLA XII
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dì costretta ¶ Verrà ch’io sia; dove dovrò cercarvi
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natura osi cotanto, ¶ Ed io lo soffra, doppiamente io
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io lo soffra, doppiamente io muojo. ¶ FAVOLA XXII. ¶ La
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me tu il facessi, io l’avrei caro, ¶ E
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a lui rivolto, ¶ Ch’io taccia, dice, tu lo
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lega insieme, ¶ Il comando io n’ottenga; sì n
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giunto ¶ Ne chiede parte; io lo farei, risponde, ¶ Ma
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più care le guanciate io vendo. ¶ FAVOLA VI. ¶ L
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pro (dice l’altro) io fui negletto: ¶ Nessun ferimmi
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e intero l’orzo io serbo. ¶ * Sicure son le
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vorrà fortuna a’ boschi io riedo. ¶ La notte vien
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studj da gli affari io rieda. ¶ Fia dunque allor
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Muse a’ liminari aspiri. ¶ Io che pur nacqui su
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natali in certa guisa io trassi; ¶ Io cui brama
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certa guisa io trassi; ¶ Io cui brama d’aver
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Il varco aprimmi Esopo; io dietro a lui ¶ Più
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fosse un sol Sejano, io mi direi ¶ Dal mal
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tragga, ove il comune io purgo, ¶ Porrà lo stolto
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addito. Il pubblico costume ¶ Io sol disvelo. È malagevol
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l’ingegno loro ¶ Acquistaro; io che nacqui a’dotti
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rimasugli ancora! ¶ Ciò ch’io dir voglio, sa chi
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che m’oltraggiar’, nemica io riedo. ¶ FAVOLA III. ¶ Esopo
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l’altra: tue parole io nulla apprezzo: ¶ Bensì temo
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folli ciance altrove arreca: ¶ Io so quando posarmi, o
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Il ventre ti distese? Io più robusto ¶ Di te
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magion guardi la notte. ¶ Io son pronto; nè boschi
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forza, e dura vita io meno; ¶ Quanto più agevol
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mi vien talento, ¶ Possol’io far? O questo no
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Cane, le tue venture: io non le curo. ¶ Regnar
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non vo’, se libertade io perdo. ¶ FAVOLA VIII. ¶ Il
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E però le fatiche io mal non soffro, ¶ Rispose
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a te giovar poss’io. ¶ * A colui si dirige
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da lor l’Autore io non discerno. ¶ Perchè dunque
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dunque la fe giurata io serbi, ¶ Tal vo’ la
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dal ventre il lascia, io cerco. ¶ Io colei cerco
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il lascia, io cerco. ¶ Io colei cerco, che sue
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a’ figli toglie, sicchè io n’abbia, il latte
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bianco, o pur nero io dovessi? ¶ Ma via, saputo
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ha in grado; ¶ Ch’io per le frutta sue
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gravi studj scarco, ¶ Scrivendo io scherzi; ma tu queste
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lo scopra; ¶ E ch’io nol finga, mostrerà il
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che giacente entro farina io scorgo, ¶ Salva così come
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a voto, ¶ Partì, dicendo, io non la curo: è
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gli dice, e preda io n'ebbi, ¶ E appresi
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altro indi s’accenda, io fo divieto. ¶ Così non
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dicano alcuni in contrario, io li reputo avanzi d
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disse, ecco se tutto io serbo, ¶ De le cose
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cose attendo, e nulla io veggio. ¶ FAVOLA XXIII. ¶ La
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assaggio. ¶ Fra gli altari io dimoro; in capo a
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De le caste matrone io m’intrattengo; ¶ Nulla fatico
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morte ¶ T’adduce; nulla io soffro, e ricca casa
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E varie ingombran cure, io non rassembri, ¶ Poscia perchè
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la nostra brevitade ¶ Promettesti, io richieggo, e quel che
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Ma dal confín prescritto io mi dilungo. ¶ È pur
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indovina mente, ¶ Ciò ch’io omisi per fama indi
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Dietro a sua scorta io son di molte autore
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il plauso di ritrarne io bramo. ¶ IL POETA. ¶ SE
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lui diedi ciò ch’io dar dovea, ¶ Perchè stima
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ti conobbe ingannar puoi: ¶ Io che vidi qual forza
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come che più danno io n’abbia. ¶ * Non egualmente
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anzi che tu nascessi ¶ Io già il sapeva. * Il
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non son, condanni. ¶ * Perchè io ciò scriva ben, Fileto