Vittorio Alfieri, Filippo, 1783

noi può tanto. ¶ So le tue pene, e i

angosce tue? ¶ Carlo ¶ Sì: le mie angosce ¶ principio han

In pianto i giorni, ¶ le lunghe notti in pianto

di ferro egli ha. Le mie difese lascia ¶ alla

altro: e se finor le cure ¶ non dividevi del

gli affetti, e non le voci ¶ di tua virtude

brama? ¶ Deh, pur mentisser le inaudite accuse! ¶ Isabella ¶ Già

estinta: ¶ né altrui fidar le paterne tue cure. ¶ Di

né accennar: tacerli, ¶ dissimularli, le più volte è forza

muove il piede ¶ ver le mie stanze tacito. La

resta ¶ di versar, mai. Le rie profane grida ¶ perfino

non la indugiar... Ritorce ¶ le sue vendette in chi

sue vendette in chi le sturba, il cielo. ¶ Perez

discordi son tra lor le accuse. O il prence

puoi romper senza noi le leggi. ¶ Assolvi, assolvi; ma

i rimorsi adunque, ¶ fra le torbide cure, e i

placido scende ad ingombrar le ciglia ¶ de´ traditori e

re i pretesti; — ¶ ma le discolpe son di me

tra figlio e padre, ¶ le leggi, il cielo, e

tiranno è questa. Ecco, le braccia ¶ alle catene io

fossi, ¶ a penetrar tutte le ascose vie ¶ dell´intricato

dover tradisti, ¶ l´onor, le leggi? ¶ Isabella ¶ ... In me