Aldo Palazzeschi, Il codice di Perelà, 1911

dal freddo e dalla paura. Corsi a casa pensando

mi lasciai vincere dalla paura e ne fui terrorizzata

mente si placò dalla paura, dall’insensata paura. Una

dalla paura, dall’insensata paura. Una volta là dentro

avevo portato via? Per paura, per lasciarmi guidare da

da una fantasima: la paura. Ma paura di che

fantasima: la paura. Ma paura di che? Di me

di che? Di me, paura? Mi avessero appesa ad

affranta, senza stanchezza, senza paura: di che, di chi

di che, di chi paura, ora che avevo ritrovata

un prodigio. ¶ – Io avevo paura che gli tirassero una

e insaccano, perché hanno paura che dica il resto

prenderci ogni cosa per paura che ci dica di

che quelli incalzati dalla paura fossero lontani chi sa

lo tengono stretto per paura di perderlo, i macacchi

questo mondo, noi abbiamo paura di lui? ¶ – Il fumo

cascati bene. ¶ – Io ho paura. ¶ – Di che? ¶ – Di tutto

faccia impaurita. ¶ – Oh! ¶ – Avete paura? – le disse sorridendo Perelà

disse sorridendo Perelà, – avete paura di me? ¶ – Perdonatemi, signore

se non mi farete paura io non avrò paura

paura io non avrò paura. ¶ Perelà la guardò tanto

Oh! Non mi fate paura, povera gente, vi sfido

che scandalo. ¶ – Io ho paura, me ne vado. ¶ – Paura

paura, me ne vado. ¶ – Paura di che? ¶ – Non te

un debole che ha paura. ¶ – Non è lei che

Anche te, hai avuto paura. ¶ – Al Re! ¶ – Sentite che

è in piazza, la paura fa novanta, il popolo