Vittorio Alfieri, Antigone, 1783

ei spense. ¶ Invendicata ancor tua squallid'ombra ¶ si aggira

tremante ¶ porse ardir la tua voce: osai mostrarmi... ¶ Felice

incesto; ancor la madre tua respira; ¶ esul non hai

il volgo, a cui tua legge spiace; ¶ e assai

mi sto. Rotta ho tua legge: io stessa ¶ tel

è il re. ¶ Creonte ¶ Tua rabbia imbelle ¶ esala pur

notte entrai, per ischernir tua legge. ¶ Di velenoso sdegno

saria ¶ piena allor la tua gioia! Ma, odioso, ¶ più

A me la negheresti? ¶ Tua legge infranto han le

licenza. ¶ Emone ¶ In far tua legge, ¶ credesti mai, che

il mio sperar di tua pietade?... ¶ Creonte ¶ Vano. ¶ Emone

pietade? ¶ Giocasta infin, già tua sorella, e cara, ¶ dicevi

te figlio?... ¶ Creonte ¶ Ardisci; ¶ tua man le rende in

figlia, ¶ s'ella esser tua consente. Or, fia la

v'avesse! ei di tua mano illustre, ¶ degno ei

in salvo oggi la tua!... Potessi, ¶ almen potessi una

il vo', che la tua fama in parte ¶ né

se puoi ¶ viver, senza tua infamia; e che? sì

Antigone ¶ Non posso ¶ esser tua mai; che val, ch

io scelta, ¶ fra la tua morte e l'onta

stringa ¶ pietà di Tebe tua: respira appena ¶ l'aure

assolvi ¶ tu col disfar tua legge. A tutti è

il regno a posta tua... Son sempre io padre

io t'amo; eppur tua man rifiuto, ¶ sol perché

io, ¶ che non la tua pietà. — Di qui si

cor fidarmi, e in tua virtù primiera, ¶ ch'io

coraggio addoppia il mio; tua pena in parte ¶ fia