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Autunno: la prova

15. Il circolo virtuoso fra lo scopo e il risultato

Il dubbio relativistico dà sempre buoni risultati, ma non è detto che questi risultati riescano poi anche ad entrare nel lavoro di rielaborazione della relazione. Purtroppo, però, qui sta un fallimento clamoroso perché se una cosa non entra in quello che si dice o in quello che si scrive è come se quella cosa neppure ci sia. Però c’è una differenza: se non si dice, qualcuno magari può chiedere di dire, ma se non si scrive, allora la partita è davvero persa perché chi scrive, in genere, non è presente quando viene letto quello che ha scritto.

Eccomi di nuovo, dunque, con il foglietto delle topiche in mano, dopo aver espresso alla classe il senso di questo preambolo, a ripassare lo schema di stesura. Questa volta me la prendo con lo SCOPO, e in particolare con la discordanza fra SCOPO e risultato che si rileva nelle loro relazioni.

Parlando di questa cruciale questione sottolineo il fatto che, in prima approssimazione, non sono tanto interessato alla qualità della stesura, bensì alla sua coerenza interna, spiegando che anche il cerchio più sbirolo possiede una certa dignità circolare. Basta che sia chiuso.

Giuro di aver profuso una massa imponente di spiegazioni, raccomandazioni, blandizie e minacce su questo punto dolente della questione, di aver mostrato in pratica che cosa intendo quando affermo che lo SCOPO di una relazione deve andare d’accordo con il risultato: niente da fare.

Falangi di studenti frettolosi, ma soprattutto egocentrici, continuano a pensare che, una volta dichiarato uno SCOPO, sia possibile poi disinteressarsene sovranamente, e suggellare la propria fatica con un risultato> che non ha nulla a che vedere con le promesse fatte in principio. C’è una propensione studentesca a scrivere di getto, fatta di approssimazione e pigrizia, che lascia di stucco e che gli insegnanti durano spesso la più vana fatica nel tentativo di estirpare. L’idea di rileggere il testo prodotto, per molti studenti è paragonabile a quella di rimasticare la gomma che hanno ruminato un’ora prima. Improponibile.

Questi sono gli studenti frettolosi. Ma vi è anche una seconda categoria di studenti i quali ottengono lo stesso risultato dei frettolosi, muovendo tuttavia da premesse ben diverse. Non capita di rado, infatti, di imbattersi in relazioni di buona qualità, diligentemente riviste e corrette, nelle quali, però, la concordanza scopo-risultato resta una vana utopia. Si tratta degli egocentrici, ovvero quegli studenti che, in perfetta buonafede, ritengono che il frutto della loro operosa applicazione debba essere sempre interamente degustato, dal principio alla fine. Non li sfiora neppure, infatti, il pensiero che, del loro lavoro, qualcuno potrebbe voler conoscere soltanto lo SCOPO e il corrispondente risultato – giusto per farsene una idea – rimandando ad un secondo tempo, eventualmente, una lettura più approfondita.

‒ Ragazzi, vi leggo in maniera anonima una mezza dozzina di coppie scopo-risultato che alcuni di voi hanno partorito – annuncio dopo aver stigmatizzato la colpa, e procedo alla lettura omettendo i nomi dei colpevoli.

Delicatezza inutile. Uno dopo l’altro si buttano contro la spalliera della sedia e poi sul banco coprendosi il volto mentre io sciorino, uno dopo l’altro, i loro scopi e i loro risultati i quali, così congiunti appaiono, più scriteriati dei nonsense di Edward Lear. Quelli, almeno, un rapporto fra il primo e l’ultimo verso lo conservano:

C’era un vecchio di Wick
Che diceva: “Ticche tick, ticche tick;
Ciccabò, Ciccabì”,
E non più di così,
Quel laconico vecchio di Wick.

Ridono. Si vergognano e ridono e io confesso che questo riso è contagioso per tutti. Domani torneranno a scrivere altri nonsense nelle proprie relazioni e io tornerò naturalmente a rimproverarglieli, ma per adesso ridono sinceramente di se stessi. E questo è bene.

Non c’è concordanza che tenga, comunque, fra scopo-risultato, se il primo appare variamente difettoso, il che rappresenta una delle topiche più ripetute nell’omonimo foglietto. Lo scopo può essere sensatamente paragonato al sommario di un articolo scientifico, quindi è del tutto evidente l’importanza di non dimenticarlo e la difficoltà di scriverlo, breve e succoso come deve essere. Ebbene, per mettercelo, nella relazione, ce lo mettono sempre – questo bisogna riconoscerlo – ma troppo spesso lo fanno in maniera del tutto improponibile.

Limitando a dieci il numero di aggettivi con cui posso qualificare molti degli scopi che ho letto nelle relazioni che ho corretto voglio citare, in ordine alfabetico: contorto, fuorviante, impreciso, incompleto, incorporeo, malinteso, oscuro, prolisso, stravagante, tautologico mentre, come dirò dettagliatamente più avanti, lo scopo di una relazione di laboratorio deve essere semplicemente preciso.

D’altra parte, cercare di concentrare in due sole righe – come raccomando – tutto il significato di un esperimento che a volte si presenta molto complesso è una abilità molto difficile da acquisire ma è assolutamente indispensabile. La sua portata, fra l’altro, va ben al di là dell’esperienza scolastica. Un consiglio tecnico che dò per rendere questa acquisizione più rapida e più produttiva è il seguente:

Selezionate con cura tre o quattro sostantivi che costituiscono i perni attorno ai quali ruota tutta la sostanza dell’esperimento; quando li avete scelti cercate poche altre paroline con le quali collegare i sostantivi tra loro per formare una frase chiara ed essenziale.

E funziona? Dipende, è ovvio. Ci sono studenti che si sforzano di lavorare di fino lo scopo della propria relazione come se fosse una pietra preziosa, e altri studenti che invece tirano fuori le parole come si fa con i numeri dal sacchetto della tombola.

Insomma, ci sono studenti che ascoltano e studenti che non ascoltano. È questo, soprattutto, che fa la differenza. Comunque sia, è importante insistere con determinazione e sfinirli sulla base del ragionamento di Beccaria, secondo il quale “La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro piú terribile, unito colla speranza dell'impunità”.

La legge, ovvero lo schema di stesura da rispettare, viene presentata in prima classe subito dopo il primo esperimento, e i capi d’accusa contenuti nel foglietto delle topiche da evitare vengono contestati puntualmente, sistematicamente, quietamente, implacabilmente, volta per volta, anno dopo anno, ad ogni riconsegna della relazione corretta, fino in quinta.

Se dopo trenta e passa relazioni svolte, uno studente si mostra ancora recidivo, allora vuol dire che è proprio un colpevole senza speranza di redenzione. Scolasticamente parlando, s’intende.