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Autunno: la prova

13. Incominciare con un bel titolo è meglio

La prima relazione, di solito, è un disastro quasi per tutti. Ci sono bravi studenti che tornano al posto sbigottiti dopo aver visto un tre sulla propria relazione corretta e appena restituita.

‒ Io non sono abituato a prendere questi voti – mi disse candidamente uno di loro, una volta.

Aspettai la seconda relazione, e poi la terza. Alla quarta dovetti consigliargli:

‒ Forse è meglio che cominci ad abituarti.

Però questa non è la regola, per mia fortuna. Ho frequentemente consolato molti studenti afflitti dalle difficoltà iniziali, assicurandoli che il loro impegno alla fine sarebbe stato premiato Quel tre, infatti, talvolta diventa un cinque nella seconda relazione, e muta in sette nella terza, e poi si attesta sulla linea del sette-otto. Più spesso lo studente si adatta alla linea di galleggiamento del sei oppure nuota a farfalla tra il cinque e il sette.

In tutti i casi, comunque, ho dovuto constatare che riuscire a produrre un testo altamente normato come quello tecnico-scientifico è un traguardo molto arduo per la maggior parte degli studenti, nonostante l’attività della mia bottega e il mio sforzo di schematizzazione.

Io penso che il nocciolo di tutta la difficoltà stia nel riuscire a mortificare a sufficienza il proprio egocentrismo espressivo per coltivare una forma di altruismo letterario che metta al centro del discorso non chi scrive – come di norma succede, per esempio, nella poesia lirica – bensì chi legge. Di fronte a questa difficoltà, allora, non basta mostrare la scaletta del fai-così-e-cosà e neppure un esempio del guarda-come-si-fa; occorre anche molta pazienza, sia nel mostrare esempi da seguire, sia nel ricordare qual è la strada maestra. Garantisco che con gli studenti volonterosi il risultato è assicurato.

Per quest’ultima necessità, prima di restituire un pacco di relazioni corrette, ho preso l’abitudine di richiamare le voci dello schema di stesura già riportato che, volta per volta, mi sembra che siano stati particolarmente maltrattate da un gran numero di studenti. Mi presento perciò davanti alla classe, esattamente una settimana dopo la consegna delle relazioni da parte degli studenti, impugnando il foglietto delle topiche, ovvero un pezzo di carta dove annoto, durante l’estenuante processo di correzione, tutti gli errori e gli spropositi collettivi che riesco a intercettare, sia quelli di sostanza, sia quelli di forma.

Già il titolo, spesso, lascia molto a desiderare, sebbene io tenga a sottolineare, fin dal primo momento, che su questo elemento della relazione io non andrò mai a sindacare in modo tale che il mio giudizio rappresenti una causa efficiente per un voto scarso.

‒ A parte gli insulti – dichiaro solennemente – nel titolo potete scrivere quello che vi pare.

A dire il vero a me piacciono i titoli un po’ ad effetto, allusivi e spiritosi, che si addicono malissimo ad una tesi oppure ad un articolo scientifico, ma si adattano bene, invece, ad un saggio di duecento pagine. A rigore, dunque, bisognerebbe evitare sia i doppi sensi sia le spiritosaggini nella denominazione di una relazione di laboratorio che è un genere letterario molto più vicino alla tesi di laurea che al saggio maturo. Ma questa è una deroga che mi permetto personalmente e che consento perciò agli studenti.

Incoraggio in loro, anzi, una sorvegliata creatività nell’intitolare il testo, persuaso come sono che lavoro rigoroso non debba fare necessariamente rima con lavoro noioso. Quello che giudico inaccettabile è la genericità o la sciatteria che segnalo appena posso e invito ad emendare.

‒ Hai intitolato la tua relazione: Studio di una legge – osservo al trasandato di turno – Siccome però il lavoro di laboratorio che ci attende prevede lo studio di una quindicina di leggi, come pensi di intitolare le prossime quattordici relazioni?

La risposta, in genere, è una faccia che denota vergogna, pentimento e propositi di un ravvedimento operoso. Quanto essa sia anche sincera vengo a saperlo alla prossima relazione. Ad ogni modo, non sono stato ancora insultato – voglio dire per iscritto, benché immagini che tramite qualche obliquo sussurro la cosa sia accaduta, altrimenti sarei sulla via di una ingombrante santità – e assisto invece con benevolenza ad una ricca produzione di titoli bizzarri e insensati fra i quali, tuttavia, alle volte brilla qualche autentica gemma letteraria.

D’altra parte, non si può misurare l’attesa creativa con un metro troppo corto. Molti studenti, per esempio, copiano letteralmente i titoli delle mie relazioni e vanno avanti per anni su questa strada. Però è difficile che succeda sempre così; prima o poi, infatti, tendono tutti a deragliare dall’esempio proposto e ad esplorare vie personali. Per qualche studente incline al conformismo si tratta semplicemente di sostituire un nome o un aggettivo; altri, più disinvolti, si slanciano invece in sgangherati paragoni e cervellotici doppi sensi, ai quali non nego comunque un misurato encomio.

In tutti i casi mi consolano molto sia l’intensità sia la sincerità di questi sforzi creativi profusi senza speranza di ricompensa materiale ma per il puro piacere di escogitare una locuzione spiritosa. E talvolta, come ho accennato, il risultato è di grande felicità.

Andrea B. intitolò la propria relazione dedicata alla reazione di neutralizzazione, rappresentabile da una curva dal caratteristico profilo sinuoso: Attenzione: curva ad esse. Non male, anche se un po’ divagante.

Alessandro M., però, propose L’e“S”perimento, assai conciso e oscuro quanto basta per creare un effetto divertente. Bravo Alessandro.

Sempre a proposito di curve, Alessandro P. escogitò “Occorre” Gauss, giocando sul doppio senso del verbo occorrere (da cui occorrenza), che significa sia capitare, sia necessitare, entrambi pertinenti per un esperimento di metrologia più sofisticato del primo della serie. Bravo di nuovo.

Per Marco L. la conservazione dell’energia è diventata Energia a lunga conservazione. Qualcuno saprebbe fare di meglio?

Mi rammarico di non aver raccolto sistematicamente i titoli migliori, perché farebbero un degno contrasto a molti stupidari studenteschi. Comunque, il titolo più bello lo ha inventato Giovanni V., però non voglio riportarlo qui perché penso che faccia più figura in un paragrafo successivo ed è lì, perciò, che rimando il lettore impaziente.